CEFALONIA: Paolo Paoletti a Massimo Filippini: “più le spari grosse e più vendi”

di Massimo Filippini

Nell’archivio di posta elettronica del mio PC ho ritrovato alcune mail intercorse tra me e il ricercatore Paolo Paoletti l’insegnante fiorentino di tedesco che i suoi amici comunisti o quanto meno di sinistra, spacciano per illustre storico e ricercatore di archivi militari il quale, avendo sentito -il 15 novembre 2007- l’accenno fatto, dal TG 2 delle 20.30, ai risultati delle mie ricerche riportati nel libro “I CADUTI DI CEFALONIA: FINE DI UN MITO” (IBN Roma 2006), da cui –sulla base di documenti e non di chiacchiere a vanvera- è stato 'ridimensionato' a circa ‘2.000’ (duemila) il numero dei Caduti a Cefalonia, inviò il 17 novembre successivo il seguente messaggio di protesta al Direttore di RAI 2:
“Al Direttore del TG2. Signor Direttore, trovo veramente paradossale che nelle settimane in cui dalle risultanze delle indagini tedesche emerge una conferma decisiva alle dimensioni della strage di Cefalonia (tra i 4 e i 5.000 morti, come ho scritto nel mio ultimo libro del 2007 “Cefalonia 1943: una verità inimmaginabile”, nell'articolo apparso sul n. 38 de L'Espresso e in quello di oggi 15.11 su La Repubblica ), il TG2 delle 20,30 passi la 'notizia' che i morti in combattimenti furono meno di 400 e circa 1.700 i caduti in totale. E' vergognoso che la TV di Stato offenda le vittime dimenticate della strage di Cefalonia accogliendo la tesi di Massimo Filippini che ha cancellato dall'elenco dei morti migliaia di caduti, rimasti senza nome, i cui cadaveri furono distrutti dai carnefici: bruciati nei falò, gettati in mare o sepolti sotto i detriti di cave di pietra, di cui si è avuto notizia solo in questi giorni. Come ha potuto dar credito ad una persona che ha negato perfino l'esistenza di soldati decorati dall'Esercito? Distinti saluti Paolo Paoletti”.
Il testo su riportato –a scanso di cattive interpretazioni da parte di chi legge- necessita preliminarmente di una precisazione nel senso che egli più verosimilmente intese dire che “i fucilati dopo la resa furono meno di 400 e circa 1.700 i caduti in totale”.
Ciò premesso, viene da chiedersi se ci sia stato qualcuno che –leggendo la sdegnata protesta dell’illustre ricercatore- non abbia provato un moto di sdegno verso quel Massimo Filippini autore di un siffatto stravolgimento dei fatti, operato cancellando ‘migliaia di caduti’ e negando “perfino l'esistenza di soldati decorati dall'Esercito” e, per converso, se ci sia stato qualcuno che abbia dubitato delle assolute certezze di cui era portatore il nobile estensore di un messaggio così intriso di sincero amor patrio e giustamente critico contro un’indegna e meschina persona in esso rappresentata, cioè lo scrivente.
A dire il vero ebbi anch’io la sensazione di essere incorso in una colossale cantonata e per un istante dubitai dell’esattezza di quanto avevo scoperto ma l’esitazione durò poco perché dopo un rigoroso controllo della documentazione in mio possesso mi convinsi –una volta di più- di essere nel giusto: d’altronde autorevoli conferme non mi erano mancate come quelle di G. Rochat (costretto anche a ‘ridimensionare’ verso il basso le cifre ‘sparate’ in precedenza) e di H. Frank Meyer anch’egli pervenuto nei suoi studi a cifre delle vittime oscillanti intorno alle 2000 unità fino ad arrivare alla recente ‘consacrazione giudiziaria’ delle mie ricerche contenuta nella CTU del prof. Carlo Gentile scritta su richiesta del dr. G. Tornatore PM nel processo iniziato il 5 maggio us al Tribunale militare di Roma contro l’ex s. ten. Muhlhauser imputato di ‘concorso’ nelle uccisioni degli ufficiali dopo la resa italiana a Cefalonia, in cui si indicano in circa 2000 (duemila) TUTTE le Vittime di Cefalonia “morte sotto i bombardamenti, in combattimento e fucilate dopo la resa”.
Forte di tali dati inoppugnabili e suscettibili solo di parziali correzioni -in ogni caso minime e quindi inidonee a riportare in vita il ‘MITO’ edificato su montagne di morti- e senza peraltro avere la pretesa di essere depositario della loro esattezza all’unità- scrissi a Paoletti la seguente mail di cui riporto uno stralcio:
27 marzo 2009 h. 9.12 da Massimo Filippini a Paolo Paoletti:
‘(omissis)’
‘Quanto ai morti tu hai scritto a pag. 18 de I Traditi (di Cefalonia): “Dei 12.500 militari della Divisione Acqui a fine guerra ne erano caduti 10.500 più o meno quante sarebbero state le vittime di tutte le rappresaglie naziste contro la popolazione civile italiana tra il settembre 1943 e il maggio 1945”.
E giustamente hai aggiunto che si trattò di un eccidio 'ciclopico' che poi hai ridotto a 'circa 4000' morti ammazzati.
Come vedi le hai raccontate grosse e non ti vuoi rassegnare ad ammetterlo.
(…) Un'ultima cosa: Lanz non contò certo i morti personalmente quindi la sua cifra di 'circa 4000' fu ovviamente approssimativa così come la frase secondo cui 'la div. acqui fu annientata' non significa (…) che venne sterminata ma fu solo messa in condizioni di non nuocere se mai ne fu in grado.
MF”.
Mi attendevo da Paoletti una risposta arguta e irridente -come egli è solito fare- unitamente ad uno sfoggio di cultura storica sul punto in questione non disgiunto dai rimproveri che il ‘nostro’ è uso rivolgere ai suoi interlocutori e a me in particolare ma, con mia grande sorpresa, ricevetti la seguente risposta che mi lasciò letteralmente esterrefatto:
sabato 28 marzo 2009 h.0.07 da Paolo Paoletti a Massimo Filippini:
“Diciamo che quel numero suggerito da Sommaruga è stato un errore di gioventù (anche se avevo 58 anni!). (…)Vedi …più le spari grosse e più vendi (ho seguito l'insegnamento del tuo amico B.). E' stato il libro più venduto…
PP”..
La suddetta risposta indipendentemente da qualsiasi considerazione di carattere etico –in cui pur sono specializzati i cialtroni comunisti- dimostra ampiamente la ‘qualità’ dell’impegno di Paoletti improntato –è lui stesso a dirlo- a ‘spararle grosse’ al pari del mio amico “B” (cioè Berlusconi) come egli spiritosamente afferma, attribuendo nel suo libro ‘I Traditi di Cefalonia’ del 2003 al ‘fascista’ gen. Gandin la ‘responsabilità’ della strage -non avvenuta- di 10.500 suoi uomini successivamente ‘ridotti’ a ‘circa’ 4.000 cifra mantenuta inalterata -con pervicacia degna di miglior causa- malgrado le smentite documentali del mio “I CADUTI DI CEFALONIA: FINE DI UN MITO” ridimensionante le Vittime a meno di 2000 cui egli nulla oppose se non la ridicola lettera inviata al TG2 da cui emerse la sua assoluta ignoranza sull’argomento fino a giungere recentemente alla suddetta ammissione delle proprie menzogne espressa in tono sarcastico con ciò dando prova del più assoluto dispregio per gli ignari suoi lettori destinatari di ‘balle’ scritte -come da sua ammissione- al solo ed unico scopo di far diventare il suo “il libro più venduto”.
Ogni commento sarebbe superfluo ma non è ancora finita perché di recente, come se non bastasse, è uscito un altro suo saggio dedicato agli Ufficiali fucilati nella vile rappresaglia tedesca del 24 e 25 sett. 1943 in cui egli mostra chiaramente di aver perso la bussola anche se la baldanza ed il ‘trombonismo’ a lui congeniali gli impediscono di riconoscerlo essendosi dedicato in esso ad una disamina confusa e ripetitiva e a tratti incomprensibile, di dati numerici tratti da ‘altri’ elenchi (quelli di Padre Formato e Padre Ghilardini) da lui mostrati come una ‘novità’ peraltro già da me citata ed analizzata nel mio libro che gli inviai ‘in omaggio’ mentre il suo, per averlo, ho dovuto ordinarlo ed acquistare ‘in contrassegno’.
La conclusione che si trae da questi ulteriori giochi di prestigio -compiuti senza mai riconoscere di aver sempre sbagliato in precedenza- anche se differisce ovviamente dalla ‘confessione’ resami nella mail su riportata è altrettanto sconsolante soprattutto in considerazione del fatto che un “oracolo” come lui –apprezzato da certa stampa di Sinistra come REPUBBLICA e ESPRESSO- dopo averci parlato per anni di “ciclopico” (sic !) eccidio arriva alla conclusione che ‘il numero dei fucilati intorno alla Casetta Rossa rimarrà per sempre imprecisato’ cui segue l’incredibile osservazione con la quale per non confessare di aver raccontato balle per anni, con la massima improntitudine egli scrive testualmente: “Lo stesso discorso vale per il numero complessivo dei caduti”.
Avete capito bene. Il grande ricercatore Paoletti dopo avermi qualificato non solo come ‘revisionista’ ma anche come ‘riduzionista’, rimproverandomi aspramente nella lettera alla RAI e in interventi sulla stampa della Sinistra di aver sostenuto (documentalmente, NdA) che a Cefalonia NON morirono 10.500 soldati della ‘Acqui’, irridendo e sminuendo le mie ricerche a destra e a manca come a Cefalonia dove è considerato una sorta di ‘guru’ dall’Associazione italo greca Mediterraneo (la quale farebbe bene a chiudere i battenti stante la faziosità e l’ignoranza abissale di chi la dirige), se ne esce da ultimo con una serie di argomentazioni sibilline non per riconoscere di aver sempre sbagliato in precedenza ma per dire che il numero dei Caduti di Cefalonia resterà per sempre imprecisato con ciò evitandosi di dover dare spiegazioni sulle sue macrospiche ‘castronerie’ ed anzi assolvendosi pienamente – con un brillante giro di parole- da quanto in malafede sostenuto in precedenza.
Come prestigiatore di certo l’insegnante di tedesco a riposo Paoletti –il ‘professore’ per gli amici- avrebbe fatto una brillante carriera ma come storico si è dimostrato una vera e propria frana o come dicono a Roma un’autentica ‘sòla’.
Concludendo risulta evidente che riconoscere i propri errori non è congeniale per chi è allineato con la Sinistra la quale pretende di imporre le sue frottole anche a costo di cadere nel ridicolo come ha fatto e fa il mio ex amico Paoletti cui –nel ringraziarlo per la confessione sia pur involontaria resa nella mail su riportata- ho dedicato i seguenti versi in cui ho accennato a due suoi libri il primo inneggiante al ben noto Apollonio e l’altro alla questione di Cefalonia in generale. Spero lo inducano al pentimento anche se so bene che la mia sarà fatica sprecata:

“Questi è Paoletti Paolo cavaliero, apologeta alquanto inveritiero,
di quel che fece un tal Renzo Apollonio che certo non fu un uomo ma un demonio
Il libro ch’egli ha scritto or non è guari è degno certo del miglior Salgàri
ma sulla storia autentica, Paoletti dimostra sempre i soliti difetti
che certo non depongono a favore di chi si atteggia a gran ricercatore,
mentre al contrario è solo un romanziere versato assai nel dir cose non vere.
Sul numero dei morti a dire il vero, risulta che ne sappia men di zero
e addirittura fa l' impertinente, malgrado che ne sappia poco o niente.
Se questo è il modo di narrar la storia meglio sarà per lui coglier cicoria:
senz'altro è meglio un buon agricoltore di chi si atteggia a gran ricercatore”.

Massimo Filippini

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