IL NEOREALISMO CINEMATOGRAFICO

Un nuovo sguardo, un nuovo linguaggio

Nei 1945 l'Italia è un cumulo di macerie e la gente ha fame, ma è proprio a partire da questa fame e da queste macerie che, con uno straordinario spirito di rivalsa, il paese cerca di risollevarsi. A questo generalizzato fenomeno di rinascita non è naturalmente estranea nemmeno la componente intellettuale della nazione la quale, dopo un lungo letargo del Ventennio, ha finalmente scoperto nella lotta di Liberazione e nel conseguente contatto con le masse diseredate un nuovo e differente modo di porsi di fronte alla realtà. Finalmente, dopo i rimproveri mossi da G. De Sanctis, che pur distinguendo nella sua Storia della Letteratura Italiana (1870-1872) tra una scuola democratica e una scuola liberale, poneva in risalto la mancanza di una narrativa in grado di rielaborare i sentimenti e gli ideali popolari vicini alle lotte risorgimentali, si giunge, passando dalla letteratura al cinema, a un filone autenticamente popolare capace di esprimere le più pure istanze sociali: il Neorealismo. Già impiegato a partire dagli anni Trenta per le arti figurative e la letteratura, questo termine, secondo quanto riferisce L.Visconti, sembra fu applicato per la prima volta al cinema dal montatore M.Serandei a proposito di Ossessione. Al di là di quella che può
essere la paternità terminologica e importante notare che tale vocabolo all'epoca si riconnetteva idealmente ad un’antica tendenza della cinematografia italiana, che risale al 1913; tendenza che, sebbene sia stata, più di ogni altra, vitale, non ha goduto, per molto tempo, degli appoggi ufficiali né delle lodi della critica; ed e' passata per anni e anni in secondo piano rispetto alla produzione più spettacolare». U.Barbaro alludeva in questo passaggio a film quali Sperduti nel buio (1914) di N.Martoglio e Assunta spina (1915) di G. Serena che si richiama¬vano palesemente ad un Verismo di marca letteraria. Ed é proprio al Verismo e alla lezione della letteratura realista francese del secolo scorso (Balzac e Zola) che la critica guarda alla ricerca degli antecedenti storici del Neorealismo. A queste lontane fonti si può quindi aggiungere l'influenza del cinema francese degli anni Trenta (J.Renoir, M.Carne, J.Duvivier), di film come i già citati Ossessione, I bambini ci guardano, Uomini sui fondo, che gettano uno sguardo più crudo e anticonformista sulla realtà, e dei registi russi che danno invece voce alle istanze sociali. A questo quadro di riferimento, comunque schematico, è infine tutt'altro che estraneo l'apporto critico di riviste come “Cinema” e “Bianco e Nero”, per cui scrissero futuri registi come DeSantis, Pietrangeli e Lizzani, che sollecitavano una spinta realista nel cinema nostrano. Tuttavia il fatto veramente determinate che, come accennato, da origine al nuovo flusso culturale e' la Resistenza. Durante gli anni 1943-45 gli intellettuali, scesi in campo accanto al popolo, cominciano a lasciare le nicchie aristocratiche in cui si erano rifugiati e imparano a conoscere modi di vivere, speranze, esigenze, esperienze dei più emarginati, sviluppando in tal modo una coscienza nuova e una radicale volontà di rinnovamento. Movi¬mento composito che abbraccia diverse esperienze espressive, il Neorealismo influenza con le sue istanze sociali, svincolate da ogni forma di calligrafismo e di artificio, diversi campi artistici. Si parla cosi, accanto a un più noto Neorealismo cinematografico, di un Neorealismo pittorico e letterario. Nello specifico, se il Neorea¬lismo cinematografico ha finito per identificarsi nell'immaginario collettivo con Neorealismo “tout court”, ciò e dovuto principalmente alla sua carica diffusiva e alla sua capacità di essere più facilmente usufruibile come spettacolo da parte di un pubblico molto vasto. Rifiutando il cinema fascista dei telefoni bianchi e della commedia rosa di intrattenimento, in parte diretta conse¬guenza della letteratura languida di Romanticismo della seconda metà dell'Ottocento, il Neorealismo recupera accanto alla compo¬nente ideale i fermenti di giustizia sociale che perva¬devano la nazione, gettando al contempo un più libero sguardo sui disastri, le sofferenze, i problemi irrisolti che il fascismo e la fine del conflitto avevano purtroppo lasciato in eredità. La fame di cui si accennava all'inizio del paragrafo diviene allora anche fame di realtà e di vero e si trasmette a livello artistico in una diversa ricerca formale e contenutistica. Meglio ancora che scuola, movi¬mento o tendenza, come qualcuno ha preferito dire, il Neoreali¬smo può essere definito come un nuovo, rivoluzionario sguardo sul mondo; uno sguardo che, scaturito da una coscienza comune della realtà, risente di un insieme di spinte provenienti dal basso per cui l'individuo che si pone a dar voce a questo mutato sguardo e a questa mutata coscienza sembra dover agire in base a una sorta di mandato collettivo. Se ciò e stato possibile è perché in Italia, negli anni immediatamente seguenti al secondo conflitto mon¬diale, erano presenti particolari situazioni politiche, sociali e culturali che hanno permesso al popolo durante una breve quanto prolifica stagione, di avere nelle proprie mani certe leve del co¬mando e di avvedersi delle condizioni morali e materiali nelle quali versava. In effetti in Italia, fatte salve le peculiari differenze riscontrabilì nell'impianto ideologico deI cinema sovietico, im¬pianto invece assente nel Neorealismo definibile al contrario come composito fenomeno privo di unitarietà e tendente piuttosto all'a-narchia intellettuale, si verifica col Neorealismo quanto trent'anni prima era già avvenuto in URSS con la nascita del grande cinema muto sovietico Come in URSS all'inizio degli anni Venti, in Italia dopo il 1945 il cinema si impadronisce attraverso alcune opere e alcuni autori della direzione culturale del paese, sperimentando quei contenuti e quelle forme espressive che il regime precedente, in Russia gli Zar e in Italia il fascismo, aveva represso. L'Italia che esce dal conflitto a pezzi e' un'Italia da ricostruire nell'industria, nell'agricoltura, nel commercio e nelle arti e la Resistenza, intesa come momenti di azzeramento di un passato ormai insostenibile, può in effetti essere considerata come una forma particolare di rivoluzione. E' in questi frangenti di crisi, nei quali si vuoi chiudere con le esperienze del passato e sul futuro si riversa una valanga di sogni, ma anche di incertezze, che si finisce per fare i conti con l'unico dato sicuro rappresentato da un presente in via di rapida trasformazione in cui l'arte, in quanto espressione della vitalità interiore psicologica, intellettuale, morale dell'essere umano si propone come veicolo privilegiato della visione della realtà e del mondo che via via sta scaturendo. Tra la fine dell'era fascista, con la sua politica dirigista intesa a imbrigliare ogni attività cinemato¬grafica in un sistema di controlli ferrei, e la nascita di un nuovo ordine democratico nel quale, almeno sulla carta, ogni voce avrebbe dovuto avere possibilità di farsi sentire, si apre un periodo di estrema libertà in cui, senza controlli, a ognuno è finalmente data l'opportunità di affermare la propria personalità e le proprie idee. Negli anni della frattura tra “il non più e il non ancora”, il presente cinematografico manifesta l'esigenza di una profonda riforma della vita morale, di un'ansia di conoscenza di tutto quanto in prece¬denza era stato precluso, dì uno slancio perentorio e irrefrenabile all'abbattimento dei miti cresciuti nel Ventennio, In questa stagione di passaggio caratterizzata dall'impulso irrefrenabile a rivelare l'Italia agli italiani, senza più l'ausilio di maschere, ipocrisie o tabù, il Neorealismo si incunea come esperienza principe di un diverso e più autonomo sguardo sulla realtà e sulla Storia. Si individua qui, in questo fondamentale momento di riappropriazione dello sguardo e di riscoperta del visibile, il cosiddetto fenomeno della “seconda vista” che porta a scorgere, al di là della realtà apparente, la sostanza vera, autentica delle cose. Svincolato da un'ideologia produttiva unitaria e coercitiva, il cinema che nasce nel secondo dopo guerra si rapporta alla tremenda realtà circostante e, scoprendo la propria pochezza, cerca di inventarsi un modo originale di guadare il mondo. Contro il dirigismo di regime il cinema torna allora alle origini, si fa “primitivo”, rinviene nell'improvvisazione, nel caso, nella costruzione quotidiana della sceneggiatura, nella recitazione non professionale, in una certa ruvidezza dell'immagine e del montaggio, la sua essenza. Il linguaggio si fa semplice ed elementare e pare abiurare i grandi punti di riferimento del passato. Il cinema americano, i maestri sovietici, le avanguardie sembrano cancellate e tutto viene digerito e rifunzionaliz¬zato per poi essere inserito in una nuova ottica. Il rapporto tra regista, macchina da presa e spettatore muta: si comincia a credere che il punto di vista della cinepresa non debba più coincidere con quello dell'autore, ma possa invece riflettere punti di vista plurimi e coinci¬denti con i molteplici sguardi della gente. Avviene cosi un avvicinamento tra il pubblico e l'opera sia per quanto concerne la forma, sia per quanto riguarda i contenuti. L’immediatezza delle tematiche e della messa in sena crea una sorta di corto circuito tra i due mondi che ora più che mai si trovano accomunati sullo stesso piano nella visione e nella comprensione dei dati reali. Come noto C.Zavattinì, indubbiamente il più importante sceneggiatore e teo¬rico del Neorealismo, «l'artista e l'uomo apparivano cosi uniti, che non si sa bene dove cominciava l'uno e dove finiva l'altro; più che il come, prima colpiva la cosa da raccontare, e se questo movimento postulava l'uomo prima dell'artista, l’artista era felice di venire dopo l'uomo». La Resistenza porta nella Storia il popolo, lo rende protagonista, lo eleva a costruttore di piccoli eventi che come i tasselli di un grande mosaico contribuiscono alla costruzione del quadro storico d'insieme. Finalmente, con la lotta di Liberazione, la Storia non si fa più, come durante il regime, nei ministeri, ma sulle piazze, nelle strade, nelle campa¬gne, dove la gente vive e soffre giorno dopo giorno. Alla vita ufficiale del paese, condotta secondo rigidi dettami imposti dal¬l'alto, si sostituisce un modo di vivere spontaneo in cui vita e morte, riso e tragedia si fondono in un tutt'uno inestricabile. La lingua stessa muta; non più quella pomposa, “romana” e dannun¬ziana dei discorsi mussoliniani, ma quella frammentata e istintiva dei dialetti. Il Neorealismo scopre tutto questo e lo fa suo. Scopre la dimensione quotidiana del vivere e lo spazio pubblico in cui si svolgono drammi che tutti possono riconoscere, scopre che non esiste più uno sguardo privilegiato che impone una lettura preco¬stituita e coercitiva della realtà, scopre l'esistenza di personaggi che si muovono con naturalezza in questo spazio scenico, tanto da giungere a far corpo con le cose che li circondano. E mentre la definizione spaziale assume una valenza morale, sociale e ideolo¬gica, la scelta di concentrarsi su un personaggio e una storia qualsiasi si risolve in un atto d'amore che permette la conoscenza di un mondo. Il personaggio si fa allora veicolo di apprendimento, riversatore nella grana dell'immagine di tutto un insieme di im¬pressioni e di scoperte cui il regista si premura di dar forma. A questo proposito e' forse utile riportare una dichiarazione di R.Rossellini relativamente al suo modo di procedere nella crea¬zione dello spazio scenico «D’abitudine, – scriveva il regista romano- nel cinema tradizionale si “taglia” una scena in questo modo: piano totale, si precisa l'ambiente, si scopre un individuo, ci si avvicina ad esso, piano medio, piano americano, primo piano, e si comincia a raccontare la sua storia. Io procedo nella maniera esattamente opposta: un uomo si sposta e grazie al suo spostamento si scopre l'ambiente in cui si trova. Comincio sempre con un primo piano, poi il movimento di macchina che accompagna l'attore copre l’ambiente». Un’estetica del “pedinamento del vicino di casa” introduce così lo svelamento di un universo di gesti e di storie minute. Tuffi, durante la guerra, avevano, infatti, sperimentato il mercato nero, le sevizie dei tedeschi, la fame, le privazioni e tutti potevano dunque riconoscersi in quelle storie che erano ancora cronaca ma che nessuno, proprio perché ancora cronaca, si premu¬rava di narrare. Ciò che era sotto gli occhi di tutti trova invece col Neorealismo una dignità prima improponibile. Cosi, quando la Storia e ancora cronaca il Neorealismo ha il coraggio di prendere la cronaca e di elevarla a Storia. Esso ricompone i frammenti di una realtà ridotta in macerie e cosi facendo restituisce dignità a persone e avvenimenti che questa dignità non sapevano più di avere. Ogni scheggia di realtà che è portata davanti alla macchina da presa ritrova la sua capacita di produzione simbolica e metaforica e nacqui stando immediata rappresentatività della realtà complessiva si ricontestualizza in un quadro d'insieme a tutti comprensibile. In questo senso il Neorealismo è arte nazional-popolare in quanto assume a protagonista della sua narrazione il popolo, con tutte le sue varie componenti individuali, mettendone in risalto i drammi, le sofferenze, le gioie. Sullo sfondo di una storia sociale complessa e fatta di grandi avvenimenti che poi i libri di storia si faranno carico di descrivere, il Neorealismo trasforma i singoli in individui attraverso un inusuale processo di autocoscienza rappresentativa. Volendo a questo punto riassumere i dati peculiari che identificano l'esperienza neorealista possiamo individuare i seguenti elementi:
a) scelta di tematiche “basse” e popolari facilmente comprensibili a tutti;
b) immediatezza, naturalezza e spontaneità nella messa in scena e nella recitazione;
c) riappropriazione dell'esperienza del “vedere” rispetto a tutto ciò che il fascismo aveva cercato di nascondere;
d) tentativo di rendere il più possibile diretta la comunicazione tra opera e spettatore;
e) riaffermazione del potere della realtà rispetto alla forza rappresentativa dell'immagine;
1) mancanza di un messaggio facile e già preconfezionato;
g) inclusione nella scena cinematografica di soggetti, personaggi, ambienti che fino a quel momento ne erano stati invece
esclusi.
Data la non omogeneità, culturale, ideologica e politica, dei registi che si sono appropriati dello sguardo neorealista risulta chiaro che tutte le componenti fin qui delineate presentano in ciascun autore caratteristiche originali. La provenienza dei vari autori e a ben vedere la più disparata: Rossellini aveva girato film di propaganda nel periodo anteriore al 1943 (La nave bianca (1941); Un pilota ritorna (1942); DeSica, con al suo fianco l'inseparabile Zavattini, aveva alle spalle una notevole esperienza attoriale e alcune regie; DeSantis era un critico militante della rivista “Cinema” poi passato alla regia; Visconti, infine, possedeva una vasta conoscenza letteraria, teatrale e delle arti figurative. E questo solo per attenerci ai nomi più noti. Tuttavia, nonostante le peculiarità proprie di ognuno, e possibile individuare, almeno in una prima fase dell'esperienza neorealista, una certa unitarietà di fondo sia a livello linguistico, sia a livello tematico. Distinguiamo, in effetti, una prima fase che va dal 1945 al 1948, migliore e come già detto più unitaria, in cui si assiste a una più intensa collaborazione tra artisti, registi e politici, da una seconda fase che va dal 1949 all 1956 in cui il quadro si irrigidisce e i rapporti di collaborazione e di osmosi tendono a tramutarsi in direzione dei poli culturali sui registi. A questo mutamento non è estraneo il cambiamento dell'assetto politico che vede l'affermarsi come partito di governo della Democrazia Cristiana col conse¬guente definitivo ingresso dell'Italia nell'orbita del blocco occiden¬tale. A partire dal 1948, che è un po' l'anno cardine con quella pellicola fondamentale che è La terra trema di L.Visconti, a quasi più nessuno sarà concesso di realizzare liberamente e con coerenza i soggetti desiderati. Privo di un alveo ideologico definito in cui scorrere, il Neorealismo da questa data finisce per risentire in maniera oppressiva delle accuse che gli vengono mosse tanto da destra, quanto da sinistra. Parte della sinistra, che si riconosce nell'estetica del realismo socialista, rinfaccia al Neorealismo di limitarsi alla denuncia senza avere il coraggio di passare alla fase critica, mentre parte del mondo cattolico gli rimprovera l'ardire di gettare uno sguardo disincantato e indiscreto sulle piaghe della nazione. Ai denigratori, che pescano un po' qua e un po' la nei due schieramenti, si oppongono le forze più progressiste e liberali che riconoscono al Neorealismo il merito di aver introdotto nella narrativa cinematografica una vena autenticamente popolare in grado di dar voce agli interessi dell'opinione pubblica e ai problemi di giustizia sociale. Sotto il prevalere delle varie spinte critiche, se non addirittura dirigistiche, e a seguito anche dei mutati equilibri politici e culturali, questa grande stagione di anarchia e di emanci¬pazione espressiva che va sotto il nome di Neorealismo imbocca lentamente, ma inesorabilmente, la strada dell'omologazione ai canoni culturali del nuovo sistema che si è venuto a creare e si instrada lungo nuovi e divergenti sentieri di ricerca.

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