Recensione al libro di Duccio Demetrio, Elogio dell’immaturità. Poetica dell’età irraggiungibile, RCE, Milano 1998
L’autore suggerisce l’idea di un’immaturità alternativa che sappia continuare ad alimentare dimensioni di innocenza e speranza, con il potere di rinnovare l’anima creativa e risollevare la stanca maturità dalla sua pesante monotonia ed assenza di desideri. L’immaturità diviene così luogo dell’anima che non coincide sempre con il disagio e la malattia. Il disagio esistenziale dell’immaturità poetica non coincide con una comune depressione, non un misterioso male oscuro, ma il male di vivere che nessun farmaco può guarire.
L’immaturità è viaggio poetico e desiderio d’erranza, di continua ricerca, esplorazione negli anfratti più segreti e inconsueti dell’esistenza.
L’immaturità è creazione artistica, poetica, letteraria quale continuum salvifico di redenzione dal persistente ed inappagato desiderio d’erranza ed evasione.
Immaturo è l’adulto “paiandrico” un puer aeternus che alterna il sé infantile all’animus razionale e adulto, nell’incontro androgino tra animus e anima, in cui gli archetipi maschile e femminile si fondono, diventando creativi e portatori di piccole e grandi immaturità salvifiche.
L’immaturità è quello status esistenziale di continua ricerca e velleità d’evasione poetica, come un sentire vitale, una energia che apre verso la vita e suscita stupore “infantile” per ogni aspetto di essa.
L’immaturo è una personalità sempre protesa alla novità, a cercare e trovare il principio del bello in ogni cosa e in ogni persona, verso la conoscenza e la cultura nel senso ampio e universale del termine, verso tutto quanto nobilita l’essere umano, dove la fanciullezza coincide con una “dimensione del mondo interiore coltivata fin da piccoli e con l’aiuto di qualche adulto, preveggente, un poco immaturo, prezioso, méntore”.
L’immaturità è un varco, una speranza nel mondo e per il mondo, una via d’uscita, una porta verso l’infinito, un invito a convivere con il sintomo di un disagio profondo, con angosce e paure innate, che fanno vivere con sofferenza la propria inadeguatezza, il proprio stare con gli altri, il proprio esistere… comunicabile solo con il racconto, la scrittura, la poesia, nella conversazione, nel monologo che diventa autobiografia, intimo diario, pacata riflessione interiore, anche innocente perché non apporta dolore ad altri: è rinnovata consapevolezza di esserci per sé e per gli altri nell’esplorazione inappagata, oltre ogni divieto.