LA FESTA POPOLARE: UN’INTERPRETAZIONE PEDAGOGICA

“La festa come rito comunitario e cultura della convivenza”
Franco CARDINI

Aspetti antropologici del fenomeno festivo.

La festa è un microcosmo variegato con un certo grado di complessità per le varianti culturali, antropologiche e tradizionali, in essa comprese. Risulta un momento della vita sociale di durata variabile, che interrompe la sequenza delle normali attività quotidiane, opponendovisi come periodo di particolare effervescenza. La festa si caratterizza, rispetto al resto del tempo, per l’interruzione del lavoro produttivo, manifestando l’opposizione al sistema costituito e vigente attraverso i momenti dell’eccesso, della trasgressione e infrazione di norme e divieti precostituiti, dell’inversione, dello spreco, della distruzione.
L’assolutismo monarchico, il clero, il razionalismo utilitarista e razionalista si sono battuti insieme contro le feste, considerate attività e forme di associazione intrinsecamente sovversive, eversive, rivoluzionarie, portatrici di cambiamento, perché non motivate da esplicito ed utilitaristico rendiconto, ma rappresentanti un contesto ludico e ricreativo, ambito di rigenerazione per il popolo in un tempo libero da obblighi a fini materiali. Ma già Rousseau aveva denunciato il carattere contradditorio di una concezione che pretende di ridurre la coesione, l’associazione e il legame sociale, collettivo alla pura razionalità utilitaristica, perché impedendo le feste al popolo, si elimina la voglia di vivere, l’istinto creativo e vitale e perciò la motivazione stessa del lavoro. Soprattutto si distruggono le basi e i fondamenti della società, dal momento che gli individui sono respinti nell’isolamento, nella solitudine, eliminando le occasioni che promuovono socievolezza in ambiti di amicalità e interscambio affettivo.
L’istituto festivo è la riaffermazione e al contempo negazione dell’ordine sociale esistente, in un mondo che riproduce il tempo della vita quotidiana per affermarlo, negarlo e, infine, migliorarlo; è un hortus conclusus, uno spazio/tempo, luogo dell’anima, un ambiente magico dove si partecipa ad un lavoro di preparazione svolto collettivamente. Come sostiene il Bachtin , il momento celebrativo del rito ha rapporto con gli scopi superiori dell’esistenza umana ( la rinascita, il cambiamento, il rinnovamento, la rigenerazione). Il carnevale, festa popolare per antonomasia, consiste in un regno utopico dove il popolo penetra in un universo simbolico di libertà, uguaglianza e abbondanza, contrapposto ai rituali ufficiali della chiesa e dello stato feudale che non distraggono dall’ordinamento esistente, ma lo suffragano, consacrano e rafforzano nelle sue gerarchie, norme e tabù religiosi. Il carnevale, rito del rinnovamento racchiude in sé il principio comico, l’espressione ridanciana, lo scherzo, il riso del popolo (come nell’opera di Rabelais) nella totale liberazione dalla serietà gotica, per aprirsi a una nuova concezione libera e lucida tipicamente rinascimentale. Il carnevale come ogni festa popolare presenta diversi linguaggi espressivo-comunicativi schietti e genuini, appunto comico-carnevaleschi, compresi nel realismo grottesco, un sistema di immagini tipiche della cultura comica popolare, in cui l’elemento materiale e corporeo, positivo, universale, proprio dell’insieme del popolo si oppone al totale distacco dalle radici materiali del mondo, i cui simboli sono la fertilità, la rinascita, la crescita in abbondanza. Il “basso materiale e corporeo” è la terra, il grembo materno, la placenta primigenia, le nostre origini a cui tutti dobbiamo tornare e far riferimento per poi svincolarcene assumendo coscienza del sé, recuperando la memoria personale, la propria storia di vissuti, suffragando così la nostra indipendenza e adultità: questo è il compimento del festivo. Ogni esperienza è un parto che ci fa assumere responsabilità, trasformandoci da figli /allievi a tutori /generanti.
Secondo Freud, in Totem e Tabù (1913), la “festa è un eccesso permesso, anzi offerto, l’infrazione solenne di un divieto”, essenzialmente una trasgressione legittimata delle regole, delle norme, dei tabù religiosi, mettendo in evidenza però, il carattere codificato, controllato e, in definitiva, repressivo dell’ apparente libertà festiva e quindi la funzionalità alla conservazione dell’equilibrio sociale di quegli “sfoghi” ed “eccessi” legittimati che Marcuse identificherà come “desublimazione repressiva”.
Tale aspetto repressivo risulta, probabilmente, più accentuato nel contesto attuale che in passato, in rapporto alla progressiva confusione tra festa e vacanza i cui sfoghi ed eccessi sono divenuti sempre più funzionali alla produttività, al consumismo esasperato e all’alienazione dell’uomo in identificazioni sostitutive, che apparentemente lo allontanano dai suoi reali problemi.
Roger Caillois considera la festa un intermezzo di confusione universale in cui l’ordine cosmico è soppresso (ricalcando le orme dell’Eliade del “Mito dell’eterno ritorno”). Con apparente paradosso ha cercato di individuare il corrispettivo moderno della festa nella guerra, come tempo dell’eccesso, della violenza, della distruzione, dello spreco, della sospensione e trasgressione di ogni norma corrente del vivere civile. In Caillois si avverte l’insegnamento degli antropologi francesi Durkheim e Mauss, secondo cui il fenomeno festivo è un’occasione per il gruppo di riscoprire le proprie origini, in un recupero periodico della propria storia, dove la comunità rifonda se stessa e trova la propria ragion d’essere.
Secondo Antonino Buttitta “ così come ogni anno, all’approssimarsi dell’inverno la natura muore, anche il tempo può morire. Tutto ciò però non accade al di fuori della volontà degli dei e degli uomini. Se essi lo vogliono la natura rinasce, il tempo consumato si rigenera e ricostruisce…”. Il festivo è considerato come una generazione periodica del tempo, mediante la ripetizione simbolica della cosmogonia, dell’atto della creazione. Con il ricordo dell’evento mitico (cosmogonia) e la ripetizione di esso, il rito rivive e recupera l’evento rifondatore, separandolo in “illo tempore”, in un passato fuori dal tempo. Infatti, secondo Cardini, l’uomo “prelogico” non teme il tempo ciclico della ripetizione, del ritorno a sé stessi, alla propria storia, in senso rigenerativo, ma il tempo lineare che prevede una fine, un annullamento nichilistico. Per Eliade, la ripetizione, l’ ”Eterno ritorno” è concepito come recupero di modelli, archetipi, azioni esemplari fondati da eroi o santi civilizzatori, in una valorizzazione metafisica dell’esistenza umana perché connessa a radici trascendenti. L’opposizione tra tempo festivo e tempo normale partecipa della dialettica sacro-profano, per cui la festa risulta periodo di elezione finalizzata alla celebrazione di riti sacri. Accentuando, appunto, la presenza rituale, con i corrispettivi modelli mitici (miti cosmogonici, miti dell’età dell’oro), Eliade interpreta l’istituto festivo come il momento apicale, il continua esistenziale in cui la comunità rivive il caos, stadio di indifferenziazione originaria e “ricrea” il cosmo, l’ordine, e anche studiandola e interpretandola, irrazionalisticamente, come spia di un preteso desiderio, attribuito al cosiddetto “uomo arcaico”, di negare il tempo profano per attingere il tempo sacro delle origini.
La vita arcaica è, dunque, immersa nella sacralità e (noi aggiungiamo) anche nella “ripetizione” ciclica del rituale, del mito cosmogonico, caratterizzante l’ontologia dell’uomo “prelogico”, (o meglio “arcaico”), con la funzione di segregare, isolare la temporalità dell’evento esemplare festivo, mitico e separarlo dalla realtà quotidiana, dal trascorrere lineare del tempo. Dunque per Eliade il sacro si esprime in forme tutte legittime presso i più svariati popoli, per cui risultano illogiche le lotte confessionali e i particolarismi. In una prospettiva filosofica fenomenologica, Eliade come Kerenyi astraggono l’istituto festivo dal contesto storico globale, inserendolo in una prospettiva a-storica, in cui il tempo sacro, contrapposto al tempo profano ordinario, è concepito quale occasione di suprema liberazione e catarsi dai limiti della condizione esistenziale per raggiungere l’assoluto. L’antropologia storicista, invece, considera la festa in stretto rapporto funzionale con l’aspetto profano dell’esistenza perché conclude e riapre il ciclo normale del tempo e del lavoro, concentrando il sacro nell’ambito del rituale, permettendo, nel restante tempo, di essere liberi per l’attività profana.

La metafora educativa del ciclo della vita parallela al calendario festivo agricolo e liturgico: nascita, crescita, morte e resurrezione.

Il rito celebrato nei giorni di festa proietta la vicenda quotidiana del gruppo in una prospettiva a-storica, in “illo tempore” per reintegrare la comunità nella sua realtà economica, sociale e storica. La festa scandisce nelle popolazioni contadine le fasi del calendario agricolo che sono state inglobate dal cristianesimo nella liturgia, nella scansione liturgica dell’anno, insieme ai rituali arcaici precristiani, rigenerando, così, e dando nuovo significato al senso del sacro.
Il calendario liturgico agricolo racchiude la metafora pedagogico/educativa, con il recupero del senso ciclico di rinnovamento di ogni vita nella celebrazione dell’evento festivo.
Il solstizio d’inverno sancisce la nascita, il Natale, l’avvento del Cristo portatore di luce, di vita nuova, dopo il grigiore dell’inverno, della morte nel caos primigenio.
Il solstizio di primavera è la resurrezione, la rinascita, il cambiamento, la transizione “a vita nuova”, il trapasso ad una diversa esistenza, rigenerante e ricreata, con la stagione primaverile.
L’estate con le sue messi comporta la crescita di quanto si è seminato.
La verifica del seminato avviene in autunno con la vendemmia e la raccolta di frutti, periodo in cui nuovi semi cadranno nel terreno o verranno trasportati dal vento in altri “giardini” e colture e forse lì daranno vita a nuovi germogli di cui altre persone, magari sconosciute, trarranno giustamente profitto. Il seme rimarrà in incubazione tutto l’inverno per germogliare ciclicamente con il nuovo anno.
Come da metafora anche nell’educazione l’educatore trasmette seminando valori e significati, pur non sapendo che frutto darà il seme, se riuscirà a germogliare o morirà sopraffatto dalla gramigna o dalle intemperie.

Dal tempo sacro al tempo libero e profano: rifondazione del momento festivo comunitario.

Nella festa sussiste un’organizzazione e scansione sociale del tempo contrapposto al tempo individualizzato odierno. Nell’attuale società occidentale orientata al consumo di passatempi e beni effimeri, privi di valori autentici, in una prospettiva evasivo-compensativa, ed edonistica, il tempo libero risulta a-finalizzato, privo di occasioni per la formazione integrale dell’uomo, in una deviazione cronica estetizzante ed individualistica.
Nel contesto occidentale attuale il tempo libero risulta autoamministrato, non speso in senso comunitario e collettivo, ma appartiene all’uomo come momento psicologico nei luoghi solitari, personali e remoti della psiche (solitudine, individualismo). Per questo motivo si verifica crisi nell’associazionismo e nel collettivo: la personale identità dovrebbe invece essere risocializzata e partecipata. E’ crisi dell’istituto festivo perché viene meno il popolo che lo celebrava, per l’assenza di una classe sociale portata alla condivisione di valori e ideali comuni e comunitari, improntati su rivendicazioni contro un’espropriante logica consumistica e capitalistico- produttiva.
Il popolo del festivo in occidente è stato travolto dalla rivoluzione industriale, dallo sviluppo tecnologico, dall’alienazione, dall’eclissi del sacro. Si avverte un fenomeno presente da tempo, ormai consolidato: la mancanza di comunità. Si manifesta con la scomparsa della famiglia estesa, la riduzione di momenti comunitari all’interno del nucleo familiare, la difficoltà, soprattutto nelle grandi città, di “vivere il quartiere” e di praticare scambi sociali in luoghi di ritrovo per il tempo libero o nello svolgimento di pratiche confessionali (oratorio, chiesa) o politiche (partito). Nel contesto sociale contemporaneo occidentale mancano luoghi “epifanici” di manifestazione di una presenza comunitaria e solidale, dove si celebrino riti collegati alla quotidianità, per attribuire senso e significato autentici all’esistenza nell’arco della giornata. Come sostiene Inghilleri , si avverte la necessità di un cambiamento profondo nella società, che recuperi l’alleanza tra individui e il buon funzionamento di gruppi e istituzioni, al fine di accompagnare lo sviluppo della persona e i suoi continua esistenziali.

La festa popolare: un’interpretazione pedagogica.

Oggi è avvertibile l’esigenza di un recupero del valore del popolo nel suo momento di festa, intesa come spazio/ambiente dell’anima, luogo di riflessione e confronto culturale e interculturale, tramite l’organizzazione associazionistica di volontariato culturale, dove le attività e i laboratori creativi per il recupero storico, ambientale del territorio favoriscano l’incontro, attraverso valori condivisibili, in iniziative per occupare collettivamente il tempo libero come tempo festivo e comunitario, contrapposto alla logica individualistica di un tempo privato e personale.
Ma l’associazionismo culturale può costituire un’alternativa alla scomparsa della festa solo se vissuto da ogni singolo con consapevolezza di appartenenza, senso di partecipazione e coerenza di intenti. Soprattutto risulta necessario il volontariato, la partecipazione gratuita, per una rigenerazione creativa nella riappropriazione di valori di cui il consumismo ci ha privato. Dunque il significato del dono, della gratuità nel lavoro di preparazione svolto collettivamente. La festa diventa il culmine celebrativo in tale momento della sua preparazione, nella sacralità della creazione, della cosmogonia (nascita, vita e morte dell’evento e di noi stessi in una nuova rigenerazione), in cui viene consumata per poi essere spartita e partecipata in senso comunitario. La festa costituisce l’apice del momento di maturità di un’attività, se vissuta e resa propria con valori, significati e simboli condivisi dalla collettività, dal “popolo del festivo”. Senza la consapevolezza di sé, della propria adultità e, al contempo, di appartenenza e senso di partecipazione gratuita, l’associazione culturale diventa una banale agenzia del tempo libero, che genera un inutile gregarismo privo di significati pedagogici. Nell’associazionismo culturale vissuto con tali presupposti si attua una rieducazione del collettivo, tramite il recupero della memoria storica personale, della storia di sé e del territorio in cui si vive, per una rieducazione alla cognizione della memoria collettiva, non intesa come cristallizzazione del tempo, del passato in un parametro comunemente attribuito al marxismo, di tipo storico-economico (l’analisi della storia), ma significa tenere conto dell’anima, della memoria dell’uomo, che è momento fondamentale dello spirito, al fine di recuperare e riattualizzare punti di riferimento di carattere storico, anche geomorfologico, in cui potersi individuare, identificare e riconoscere, sul territorio, “paesaggio della memoria”, dove opera l’attività associazionistica, vivendo un sentimento festivo comunitario nella riappropriazione ultima e originaria del rapporto con l’ambiente, la natura, in attività comunitarie attive sul fronte del volontariato culturale, dove si metta al primo posto la cultura finalizzata alla tutela dell’eco-sistema, del territorio e della relativa salvaguardia storico-culturale, ambientale e sociale, reinventando, tramite l’animazione sociale, il proprio contesto di vita, recuperando così una nuova identità in un rinnovato concetto di adultità, di età adulta, orientata verso la prospettiva attuale di una comune azione associativa attiva e militante, finalizzata alla riappropriazione di uno spazio di vita a misura d’uomo, dove i cittadini e le istituzioni si rieduchino reciprocamente all’ambiente, per migliorare la qualità dell’esistenza quotidiana, superandone i disagi impliciti, perché “giovani si diventa inventando un paese”. Nel contesto associazionistico, vissuto alla luce di questi valori, è riattualizzabile lo spirito festivo, perché, come sosteneva Gramsci, cultura è anche organizzare la cultura, di conseguenza “festa” è innanzitutto partecipare alla preparazione comunitaria della festa.

1. Bachtin M., L’opera di Rabelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Einaudi, Torino 1979
2. Caillois R., Théorie de la fete, in “Nouvelle Revue Francaise” 1940
3. Buttitta A., L’utopia del carnevale, in A.A.V.V., La vita recitata. Una storia di carnevale, Palermo 1980, p. 17
4. Cardini F., I giorni del sacro
5. Eliade M., Il mito dell’eterno ritorno. Archetipi e ripetizioni, Borla, Torino 1968
6. Kerenyi K., Religione e festa, in Jesi F., La festa. Antropologia, etnologia, folklore, Torino 1977
7. Inghilleri P., Crescere e cambiare per tutta la vita, in Adultità n.9, 9 Aprile 1999

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