di Bruno Gambardella
La Primavera doveva farsi rinascita. Quell'identità rinchiusa, come un corpo segregato, doveva recuperare la sua complessità. Quell'insieme di case e strade smettere di essere un'entità estranea all'interno di una Città perduta, di un territorio che non era più aperto anche a loro. Fuori dal ghetto l'esercito occupante sorvegliava i confini. Sicurezza. Certezza che la definizione restasse pura. Perché i “terroristi”, anzitutto erano la conseguenza di quella stessa definizione. Razzismo. Varsavia 1943? Gaza 2009? È possibile fare un parallelo tra la rivolta degli ebrei nel ghetto di Varsavia e la lotta dei palestinesi contro l'esercito israeliano nella striscia di Gaza? E non è forse un paradosso?
Ho messo insieme qualche frammento raccolto dai blog prima di leggere qualche resoconto un po’ meno ufficiale della Conferenza Durban II. Ahmadinejad prende la parola. Ha in mente uno degli ultimi libri di Amartya Sen (Identità e violenza). E cerca di spiegare ad una platea riluttante quali siano i pericoli del riduzionismo. Di quella pluralità di appartenenze e lealtà che abita ogni individuo e viene invece compressa nella sola religione o nella sola razza o nella sola identità di genere. Riduzione strumentale, ovviamente, a fini politici. Ahmadinejad rievoca quindi Hannah Arendt (Le origini del totalitarismo), l'autrice di origine ebraica che tiene sul proprio comodino, e, mentre i delegati europei abbandonano l'aula, chiude il suo discorso con una sua citazione: Gli uomini e non l'Uomo abitano la terra. Difende la diversità, Ahmadinejad.
Il Leader iraniano non è nuovo a queste provocazioni. Negli ultimi anni ha spesso insistito sulla necessità di spostare il dibattito e lo scontro dal piano culturale (o razziale) a quello strettamente politico. Strenuo sostenitore del compromesso e della mediazione, che proprio la dimensione politica rendono possibili, promuove associazioni in molti paesi (Hezbollah, ad esempio). Egli lo fa per ampliare il dibattito e favorire il dialogo, per diffondere la libertà di espressione e di culto. L’operazione è subdola, ma a suo modo affascinante. Potrebbe trovare orecchie attente anche in occidente, in un certo evangelismo di destra e nel cattolicesimo ratzingeriano.
Convinto che la democrazia non possa esportarsi con la violenza, Ahmadinejad si erge a cattiva coscienza dei regimi teocratici occidentali e, anzi, ci ricorda che la nozione stessa di Occidente o di Cristianità e ebraismo sono costruzioni politiche e non realtà monolitiche e immutabili. Che al razzismo di matrice biologica del passato non dobbiamo sostituire un nuovo razzismo di matrice culturalista o visioni manichee e totalizzanti. L'identità è un fatto complesso e un divenire. E le istituzioni, questa la sua visione, un terreno neutrale, laico, che a tutti garantiscono protezione. Libertà. In specie quelle internazionali come l'Onu. Che gli Occidentali, diversamente, usano per scopi di politica interna, magari elettorale, svuotandone la vocazione universalistica.
La lezione di Ahmadinejad per i paesi dell'Unione e gli Stati Uniti è “preziosa”. E la sua politica “tollerante” un esempio da seguire. Ci insegna a combattere il razzismo, quella semplificazione della realtà che anticipa la violenza, ovunque si trovi. Perché ogni ghetto possa sbocciare. (ildialogo.org)