di Raffaella Losapio
Raffaella Losapio: Da molti anni lavori come gallerista ed editore di design contemporaneo. Puoi raccontarmi qualcosa degli inizi della tua attività, della tua evoluzione, dei tuoi progetti per il futuro?
Paola Colombari: La mia attività inizia giovanissima, circa a 22 anni, aprendo una delle prime gallerie di modernariato con mia sorella Rossella a Torino, figlie di una delle più antiche famiglie di antiquariato del nord-italia siamo nate con il DNA-arte nel sangue, nella nostra tradizione dinastica siamo infatti sempre stati nel settore dell'arte dal 1700 senza mai interrompere la catena, ma diversificandola a seconda del periodo storico, sociale e delle mode. Fu così che la nostra storia iniziò nel 1981 con la prima Galleria non più dedicata all’antiquariato ma al collezionismo del post-moderno.
Giovanissime ed antesignane ci siamo subito distinte per la nostra determinazione, per il gusto dell'anticipazione culturale, ma soprattutto per la scoperta di uno dei più grandi geni italiani l'Architetto Carlo Mollino, valorizzandone dapprima le opere e poi organizzando le mostre in importanti Musei italiani ed Internazionali e non ultima l'Asta curata alla Casa D'Asta Christie's di Londra nel 2001. Nel 1989 decidiamo di aprire la nostra nuova sede a Milano, che diventa la Galleria principale ed è proprio a Milano che avviene la mia evoluzione, dopo circa 10 anni d'esperienza nella cultura del collezionismo storico decido di aprire il mio nuovo dipartimento culturale dedicato al collezionismo del design d'avanguardia contemporaneo fondando nel 1991 il brand EDIZIONI GALLERIA COLOMBARI.
La mia collezione nasce per sviluppare il linguaggio di ricerca ''border-line tra design e arte'' sperimentando attraverso la forma e la matericità quello stretto rapporto perverso tra estetica, equilibrio ed azione, fu così che tra il 1991/94 nascono tre linee di prodotti dedicati al collezionismo del mobile, del vetro e della ceramica, collaborando con designer di tutto il mondo come l'israeliano David Palterer, Yaacov Kaufman, i francesi Garouste & Bonetti, il polacco Pawel Grunert, oltre ovviamente ai noti designer italiani da Alessandro Mendini, Ettore Sottsass, Riccardo Dalisi, Matteo Thun ed oggi prediligo ovviamente la giovane generazione emergente come Antonio Cagianelli, Luca Sacchetti, Romolo Stanco e la super star del design attuale Karim Rashid con cui lavoro dal 2007.
R. L.: Come gallerista di design d'avanguardia è quasi naturale essere Talent Scout. Nel senso che necessariamente hai un certo occhio o una certa affinità – verso quelle che sono le espressioni più originali o attuali. Puoi raccontarmi qualcosa della tua esperienza in questo senso? Quali sono i designer che reputi più interessanti / significativi? Quale tendenza ti sembra di riscontrare?
P. C.: Per essere Talent Scout bisogna avere prima di tutto una stratificazione storica d'esperienza, un filo dell'anima che viene nutrito quotidianamente, per esempio per me il fatto di avere scelto all'università Archeologia medio orientale, con la specializzazione in Egittologia mi ha aiutato moltissimo nella lettura dell'avanguardia a riconoscere quelle forme che hanno uno spessore di arcaicità e quindi di forme senza tempo che appartengono a tutti gli uomini, anche la mia esperienza in nazionale di sci è stata importante, avendo fatto per dieci anni la Coppa del Mondo in discesa libera ho imparato che la componente della velocità e del rischio contengono un'armonia che è quella che determina la vittoria, pertanto bisogna entrare nella dinamica della fluidità bolidista. Non si diventa Talent Scout per caso, ma lo si diventa vivendo metamorficamente.
Ultimamente ho letto che il grande genio Pico della Mirandola aveva definito l'uomo un ''contenitore metamorfico'', ecco io la penso e vivo proprio così.
La mia esperienza mi ha portato così a viaggiare e lavorare in tutto il mondo, dalla Russia alla Polonia, al Canada, agli Stati Uniti, sviluppando mostre in Gallerie e Musei, progetti di marketing culturale e ricerca, da due anni ho infatti aperto i rapporti con il mondo asiatico ma soprattutto con l'India, dove conto di aprire una galleria entro pochi anni in collaborazione con Caterina Corni.
A riguardo dei designer che trovo interessanti, sono tutti coloro che non seguono una moda ma che vivono la forma come diretta azione d'imprinting culturale, dove c'è contenuto, oggi come tutti gli inizi di un nuovo secolo viviamo un periodo di fragilità, di mancanza di sperimentazione di linguaggi nuovi, le aziende si nascondono dietro il più rigido conservatorismo riproponendo il tema del gusto classico con forme minimaliste ed essenziali e colori scuri, o scambiando l'avanguardia con il remake-anni '60/70. Ancora peggio le contaminazione ibride di questi ultimi anni.
Credo invece che ci sia bisogno di riproporsi con un volto attuale, globalizzato, no name, con nuove forme neo-pop, amo pertanto designer che sperimentano questo linguaggio come Marc Newson, Ora Ito, Ronan ed Erwan Bouroullec, Karim Rashid e per l’italia Antonio Cagianelli, Luca Sacchetti e Romolo Stanco.
La mia ricerca si sta concentrando attualmente sulla nuova forma neo-organica ed è per questo che al Salone del 2009 ho ideato la mostra ECO TRANS POP, una ricerca oltre quel linguaggio della forma e del colore che va nel TRANS che definisco il nuovo TRANSFER UNIVERSALE. Per me Karim Rashid, figlio della scuola del grande maestro del post-moderno che si chiama Ettore Sottsass, è con Antonio Cagianelli l'interprete più attuale dei nuovi codici trans-pop, fuori dagli schemi e libero nella forma con una forte connotazione grafica che ne diviene un'icona simbolica di forza radicale e rivoluzionaria.
R. L.: Si parla con cadenza quasi regolare di crisi del mercato dell'arte contemporanea. Quale è la situazione sul fronte del collezionismo di design?
P. C.: Sul fronte del collezionismo ho sperato per un'attimo che il linguaggio sociale dell'arte vivesse attraverso l'industria una forma di educazione sociale e di appartenenza, ma mi sono illusa! L'arte rimarrà sempre elitaria nell'anima di poche persone che viaggiano moralmente e che cercano vivendo. Quindi il collezionismo sarà caratterizzato dal nuovo post-postmoderno che è fatto da noi, dalla nostra dinamica, dalle nostre metamorfosi, pertanto non morirà mai, si travestirà sempre di più a secondo delle tipologie differenziate dei fruitori d'arte.
Ci sarà pertanto un consumismo del design globalizzato, dove si scambierà una vasca da bagno od un bollitore firmato come opera kult, e poi ci sarà il vero collezionismo, quello nascosto, di contenuto, di visceralità appassionata, senza frontiera.
R. L.: Come sarà il Salone del 2009?
P. C.: Prevedo un melting-pot di contaminazioni datate e miscelate secondo un gusto decadente e non innovativo, quindi spesso anche con il gusto del male del Kitch!
Le contaminazioni sono importanti ma devono arricchire la forma ed i contenuti dei linguaggi, oggi si considera l'arte più kult che culturale, mentre invece credo che forse la vera novità sarà la nuova cultura euro-asiatica che porterà dei nuovi mondi dentro un'alfabeto occidentale diventato antico.
E' per questo che mi sono prefissa la meta di Mumbai…
Ma la vera e posivitiva contaminazione oggi è l'Art-Design, se i due mondi si sono per tanto tempo sfiorati ma mai appartenuti, finalmente oggi il mondo dell'arte ha accolto l'avantgarde design-art come un'espressione culturale che fa parte delle dinamiche contemporanee ed ora possiamo per la prima volta, noi galleristi di design d'avanguardia, partecipare alle fiere di arte contemporanea come a MIART 2009. Ma bisogna fare però molta attenzione sul piano culturale, un'opera di design-art deve avere dei codici genetici molto chiari: la forma deve tendere dalla progettualità verso l'azione libera e non viceversa. Per me è il design che sta andando verso l'arte, perché è l'ARTE che anticipa la forma.
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