Fantasmi nella nebbia

Al Tgr hanno annunciato che gli sfollati del terremoto sono stati alloggiati
negli alberghi della costa. Carico la mia bici in macchina e mi dirigo verso
Francavilla iniziando la mia ricerca. I marciapiedi e gli arenili sono
ancora vuoti, presto diventerà un carnaio caotico di gente seminuda, profumi
di creme abbronzanti mescolate all'odore delle patatine fritte, pizzette,
cocco fresco; marocchini con gli asciugamani e costumi, senegalesi con
tamburi ed elefanti di legno, cinesi per tatuaggi e massaggi, olologi,
cannocchiali, aquiloni e cappelli con ventoline.
Davanti ad un hotel c'è un piccolo gruppo di anziani che si guarda intorno
movendosi con lentezza. Sono loro, piccoli spaventapasseri senza più
energie, narcotizzati come animali a rischio di estinzione, trasferiti in
un luogo diverso dal loro habitat naturale.
Una donna anziana è ferma sul marciapiede, indossa un elegante cappotto in
doppio petto blu sopra una vestaglia rosa, ai piedi le stesse babusce di
feltro che usava mio nonno d'inverno per riparare i piedi dal freddo, vuole
attraversare la strada per andare verso il mare che forse non ha mai visto
e che non pensava certo di vedere ormai a questa età. Un piacere di cui
avrebbe potuto tranquillamente fare a meno, congedandosi da questo mondo
senza questo rimpianto, d'altronde i ricordi più belli vengono sempre da
sogni irrealizzati. Gli uomini sono seduti davanti ad un tavolo sul
davanzale dell'hotel, silenziosamente impegnati in un' improbabile partita a
briscola che mi ricorda la scena finale di Blow up di Antonioni. Giocano
sommessamente senza i tipici rumori della cantina, una partita che ormai
nessuno ha la necessità di vincere, l'unico scopo è quello di ingannare il
tempo che li tiene ombrosi inquilini. La gara più importante l'hanno già
persa, nessuno è uscito vincitore, in particolar modo quelli che hanno avuto
la fortuna di rimanere in vita. Tutto il resto è già andato. Non hanno più
punti da difendere, né nocche delle mani da sbattere sul tavolo ad alta voce
con tutte le madonne santissime, cristi in croce e via dicendo.
Quelle mani le conosco, mi appartengono, sono le mani dei miei antenati,
della mia gente, di mio padre. Con quelle mani hanno dissodato la terra,
seminato i campi, raccolto i frutti, ammazzati gli animali, sgravato le
vacche e strappate le mutande alle loro donne ingravidandole. Alla porta
dell'hotel si affaccia un bel ragazzo vestito alla moda con una camicia
bianca sbottonata sul bavero del doppio petto nero, rimane in piedi
camminando avanti e indietro sul pianerottolo mentre parla al telefono ad
alta voce. – Qui siamo al completo – esclama con aria appagata – tu quanti
ne puoi sistemare ancora? E' un uomo/doberman con sopracciglia a punta,
palestrato, gellato, abbronzato, depilato, asessuato. Negli occhi degli
anziani ospiti si legge lo stupore verso quella strana creatura apparsa
all'improvviso come un alieno di plastica; il tempo sui loro volti ha
scavato segni indelebili, tracce di un'esistenza minuta vissuta pienamente
alla luce del sole e senza mistificazioni, ma al destino questo non è
bastato per garantire loro una naturale fine dei giorni, una vecchiaia
tranquilla. La vecchia signora lentamente attraversa la strada e va verso il
mare, senza dare nell'occhio mi fermo a poca distanza da lei cercando di
proteggerla con discrezione dalle macchine che passano a gran velocità.
Cammina a fatica come una lumaca, non si guarda nemmeno intorno, dopo quello
che ha vissuto non ha più senso, se fosse investita forse sarebbe finalmente
grata alla sorte. Sulla spiaggia è scesa una fitta foschia, dal grigio
liquido dell'orizzonte giunge una voce con un chiaro accento aquilano- Ecche
Zà Merije, sje vennute pure tu? Lei alza appena lo sguardo in direzione
della voce, poi continua per la sua strada senza dire una parola facendosi
ingoiare dalla nebbia dissolvendosi nel nulla, come vorrebbe, per sempre.
Dino Viani
dinoviani@hotmail.com
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