Berluscraxi. Caro Bettino

«Caro Bettino, grazie di cuore per quello che hai fatto. So che non è stato facile e che hai dovuto mettere sul tavolo la tua credibilità e la tua autorità. Spero di avere il modo di contraccambiarti. Ho trovato giusto non inserire un riferimento esplicito al tuo nome nei titoli TV
prima della ripresa per non esporti oltremisura. Troveremo insieme al più presto il modo di fare qualcosa di meglio. Ancora grazie dal profondo del cuore. Con amicizia, tuo Silvio»
Questa lettera è stata scritta da Silvio Berlusconi a Bettino Craxi nel 1984, dopo che era stato emanato un decreto (detto appunto decreto Berlusconi) per contrastare i provvedimenti con i quali il 16 ottobre 1984 i pretori oscurarono in alcune regioni le tv Fininvest. Bettino Craxi non prese carta e penna per scrivere: «Caro Silvio, non dovevi disturbarti!», perché aveva una sua furbizia in queste cose. Però, evidentemente una risposta l'ha data, se è vero che le inchieste giudiziarie hanno accertato che, dopo tale decreto, fiumi di denaro – lo ripeto: fiumi di danaro – miliardi e miliardi di lire sono finiti dai conti della Fininvest ai conti personali, anche all'estero, di Bettino Craxi. Inoltre come è evidente in questa lettera vi è anche la dimostrazione che già allora Berlusconi imponeva ai direttori dei telegiornali ciò che dovevano fare o non fare, e ciò la dice lunga a proposito del suo modo di intendere i rapporti con i “suoi” mezzi di informazione. La vicenda Mediaset nasce su un'illegalità che dura da venticinque anni, e che è iniziata attraverso questo tipo di relazioni tra l'imprenditore Berlusconi e il Presidente del Consiglio di allora! È una vicenda in cui la politica è stata asservita ad un imprenditore che oggi fa il Presidente del Consiglio! Continuiamo la storia. Eravamo al 1984; arriviamo al 1988, giusto ventuno anni fa. La Corte costituzionale respinge una questione di costituzionalità relativa al cosiddetto decreto Berlusconi, e si rivolge al legislatore invitandolo ad attivarsi «per dare una disciplina definitiva alla materia, che si sottragga a censure e appresti quel sistema di garanzie efficace al fine di ostacolare in modo effettivo il realizzarsi di concentrazioni monopolistiche». Questo scriveva ventuno anni fa la Corte costituzionale, e siamo qui oggi a parlare di un duopolio che, in occasione della nomina di Berlusconi a Presidente del Consiglio, diventa monopolio pieno! Questo è il motivo della nostra opposizione! Quindi, la Corte costituzionale nel 1988 esorta a «ostacolare in modo effettivo il realizzarsi di concentrazioni monopolistiche od oligopolistiche, non solo nell'ambito della connessione fra le varie emittenti, ma anche in quello dei collegamenti tra le imprese operanti nei vari settori dell'informazione, incluse quelle pubblicitarie». Che cosa succede, però? Non succede nulla! Arriviamo finalmente al 1990, quando entra in vigore la cosiddetta legge Mammì. Qualcuno l'ha chiamata «legge Polaroid»: lo dico per i più giovani qui presenti, che forse non lo sanno; fu chiamata così perché non fece altro che fotografare l'esistente, quell'esistente che era già stato dichiarato illegale e che poi è continuato in una situazione di illegalità, che è quella che ancora oggi viviamo in questo settore. Tale legge stabilisce un principio astratto, un principio per cui le concessioni ad un singolo soggetto non potevano superare il 25 per cento del numero delle reti nazionali previsto dal piano di assegnazione e comunque il numero di tre. E, guarda caso, l'imprenditore Berlusconi aveva in quel momento tre reti. Nel 1994, la Corte costituzionale boccia la legge Mammì, ritenuta illegittima in quanto contrastante con l'articolo 21 della Costituzione. Le ragioni di tale illegittimità sono da ricercarsi nel trattamento diverso e assolutamente più morbido che – chissà perché? – la legge stabiliva per le televisioni rispetto alla carta stampata. Ciò perché evidentemente la carta stampata viene ritenuta un mezzo divulgativo più innocuo rispetto alla televisione, dove c'è un limite di concentrazione al tempo addirittura più ristretto. La Corte costituzionale continua ad esortare, anche nel 1994, il legislatore ad emanare una normativa coerente e definitiva e pone un limite, nell'agosto del 1996. Quindi, la Corte costituzionale, massimo organo di verifica e di controllo, dà un ordine nel 1996 e non succede assolutamente nulla.

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