ANCHE HITLER ERA OTTIMISTA

di Mario Pancera

Il cancelliere sciolse il Parlamento e preparò la «gioia dei lavoratori»

Nel 1933, Adolf Hitler, appena nominato cancelliere, fa un appello ai tedeschi; scioglie poi il parlamento ritenuto non adeguato ai tempi, e prende il potere: da quel momento la Germania è nelle mani del nazismo. L’Europa boccheggia ancora per la precedente crisi economica mondiale. Le sinistre sono divise, chi vuole lo sciopero generale e chi no. Alcuni intellettuali, tra cui lo scrittore Heinrich Mann e la pittrice Käthe Kollwitz, affiggono un manifesto a Berlino invitandole a restare unite, non serve a nulla. Anzi, i firmatari devono riparare in esilio.

Continua la caccia al diverso, gli ebrei sono allontanati dall’industria cinematografica, che poi sarà di capitale importanza come strumento di propaganda hitleriana (era l’equivalente della tv di oggi). Hitler è finalmente capo del paese e sopprime i partiti politici avversari: sono troppi. Non vuole la maggioranza relativa, la vuole assoluta. Ha bisogno solo di servi.

«Credetemi», sono sue parole, «io ho la convinzione che non valga la pena di battersi per ottenere un ministero. Fin dal primissimo giorno ho progettato di diventare mille volte più che un ministro: volevo essere l’annientatore del marxismo». E anche: «Io sono uno degli uomini più duri che la Germania abbia avuto da decenni, forse da secoli. Dotato dell’autorità più grande di qualsiasi capo tedesco. Ma soprattutto credo nel mio successo, ci credo incondizionatamente». Si riteneva infallibile: «Eseguo gli ordini che la Provvidenza mi impone».

Personaggio di incredibile energia e resistenza, dice uno psicologo, lavorava da sedici a diciotto ore al giorno; la propaganda lo descrive come assai sobrio: il potere non gli ha mai dato alla testa (è sempre la propaganda che lo dice); al culmine della sua potenza è ancora «lo spirito semplice» che fondò il partito, e la sua gioia più grande è di venir considerato «uno dei ragazzi». Accarezza, intanto, l’idea di essere destinato a diventare un Grande Redentore.

Usa l’oratoria come un mezzo per persuadersi del suo ruolo di superuomo. Afferma: «Solo la passione donerà a colui che è prescelto le parole che, come colpi di martello, possono aprire le porte del cuore di un popolo». E infatti ha un popolo, soprattutto femminile, in grande misura dalla sua parte. Piace. È stato scritto: «Hitler risponde alle vibrazioni del cuore umano con la sensibilità di un sismografo, ciò lo pone in grado, con una sicurezza di cui nessuna facoltà conscia potrebbe dotarlo, di agire come l’altoparlante che proclama apertamente i desideri più segreti, gli istinti più repressi e le frustrazioni intime di un’intera nazione». Lo applaudono, forza Germania.

Ce l’ha però con la stampa: i giornalisti devono essere ariani e hanno l’obbligo di avere una speciale carta d’identità; devono possedere le qualità necessarie per esercitare un’influenza morale sul pubblico. Insomma, devono diventare imbonitori del regime, altrimenti sono la solita stampa bugiarda e, perciò, messi al bando. I nuovi libri devono essere edificanti (per questo venivano bruciati i precedenti). Per gli adulti viene inventata l’istituzione «La forza attraverso la gioia», che figlia perfino un Ufficio per la bellezza del lavoro. Era gioioso anche l’ingresso al campo di Auschwitz: «Il lavoro rende liberi».

C’era una Camera della cultura: visite sociali ai musei; mostre e teatri itineranti per «rendere più bello il lavoro con la grazia dell’arte». Il fatto in sé, naturalmente, è positivo: il punto è che tutto ciò era finalizzato al servizio delle idee naziste, commentano gli studiosi. Ottimismo: «Nelle biblioteche delle grandi imprese, i lavoratori trovano libri per distrarsi e istruirsi». Le biblioteche delle grandi imprese oggi sono sostituite dal Grande Fratello.

A poco a poco – parlano sempre gli storici – le case editrici passano sotto l’amministrazione dei nazisti. Anche i fili dei giornali, pur con testate diverse, sono tirati dalle stesse persone. La tv non era ancora nata, altrimenti si sarebbero presi tutti i canali. «Gli scrittori non hanno altra funzione nella società che di essere soldati culturali di Hitler». Eppure, i suoi ministri Goebbels e Goering dicevano che alla sola parola «cultura» estraevano la pistola. Giornalisti schedati e intruppati, divinizzazione del capo, manipolazione del lavoro, e chi non ci stava era ebreo o bolscevico.

Concludendo, questo articolo si basa essenzialmente su due libri «Psicanalisi di Hitler» dello psicologo inglese Walter Langer, e «Nazismo e cultura» del germanista francese Lionel Richard, entrambi editi da Garzanti. I tempi cambiano. Oggi Hitler non c’è più e pensiamo che non torni, ma un po’ di Storia fa sempre bene; delle sinistre intellettuali e laiche, distrutte da ladri, arrivisti e ignoranti, è rimasta l’ombra che organizza concerti rock. (ildialogo.org)

Mario Pancera

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