“Associazionismo fondamentalista?”

Nell’ultima edizione della TRIBUNA ITALIANA, lo scorso 18 febbraio, abbiamo pubblicato un articolo “La questione fondamentalista delle associazioni di italiani all’estero”, opinione dell’avv. Salvatore Viglia, sull’associazionismo. Un articolo col quale il collega (Viglia, infatti, è direttore del sito politicamentecorretto. com) sembra voler creare polemica, partendo dal titolo stesso, con la realtà dell’associazionismo, così come lo vediamo noi, italiani dell’Argentina e dell’America meridionale. Infatti, è ad esso che si riferisce, visto che già nel primo paragrafo dice che quello delle associazioni, è un fenomeno da tenere in considerazione “soprattutto quelle che si sono formate nell’America Latina”.

La tesi di Viglia è che il nostro associazionismo forse un po’ ipocritamente, sostiene che non vuole avere legami con i partiti politici, mentre invece tali legami ci sarebbero comunque, o perché i nostri “padrini” tratterebbero loro con i partiti, o perché comunque ci sarebbero collegamenti dissimulati con alcune forze politiche, oppure perché ci sarebbero intrecci con le forze politiche locali.

Secondo Viglia, continuando a sostenere questo atteggiamento, l’associazionismo non avrà perso, o perché limitato dai citati legami, oppure perché “se passa il messaggio che queste associazioni non hanno affatto bisogno della politica, in Italia sarà come offrire il fianco alla loro cancellazione definitiva dal panorama politico italiano a partire dal voto”.

La soluzione che propone Viglia, è l’adesione a un partito nuovo, diverso dagli altri già esistenti, il “partito degli Italiani dall’estero”, la cui nascita lui stesso ha promosso. Una forza il cui obiettivo principale sarebbe la rappresentanza degli interessi degli italiani all’estero, non necessariamente con parlamentari eletti tra i residenti all’estero, ma in Italia. Si parte dalla premessa che chi sta in Italia, conosce meglio i meccanismi della politica italiana, i codici impliciti che regolano quel mondo, ha gli agganci giusti per arrivare nella stanza dei bottoni. Il “PIE” – o chi per lui – sarebbe la password, la chiave di accesso a quel mondo che permea ogni attività in Italia, incomprensibile per noi mortali residenti all’estero, accessibile solo agli iniziati che, fortuna loro, risiedono in Italia.

Ci chiediamo però dov’è la novità, al di là delle persone che oggi fanno la proposta. Forse Viglia non sa o non tiene presente che i primi rapporti tra gli italiani all’estero e l’Italia sono stati chiesti dagli italiani all’estero, ma sono stati gestiti dal volontariato e dalle forze politiche e sindacali, oltre quarant’anni fa.Tante Associazioni Nazionali dell’Emigrazione nacquero allora, con lo scopo di rappresentare le istanze degli italiani all’estero nella politica italiana.Un’azione politica e o di volontariato che ha ottenuto risultati specialmente presso le regioni, ma che si è rivelata insufficiente, quando l’interlocutore è stato la politica nazionale italiana.

Ragion per cui le nostre associazioni hanno continuato a premere per ottenere da parte dello Stato una politica per l’Emigrazione, come la si chiamava allora, poi diventata per gli italiani all’estero.

Una politica che ha la sua giustificazione e la sua ragione d’essere in una strada a doppio senso. Da una parte nell’obbligo di tutela dello Stato italiano nei riguardi dei propri cittadini, anche se residenti all’estero e nell’implicito riconoscimento della giustizia di una compensazione ai milioni di italiani costretti ad emigrare, a causa delle avverse condizioni economiche, sociali e politiche in cui si ritrovò l’Italia durante lunghi periodi della sua storia. Senza dimenticare il contributo dato dagli emigrati, al superamento di quelle condizioni.

Ma allo stesso tempo, una via di ritorno, perché i milioni di italiani all’estero e i loro discendenti, costituiscono una risorsa per l’Italia. Una risorsa che può essere trascurata, come ha fatto la classe politica italiana (con poche eccezioni tra le quali certamente Tremaglia è la più vistosa) al punto di non rendersi conto dei benefici che produce. Oppure una risorsa da sviluppare, sulla quale investire intelligentemente e responsabilmente, per ottenere tanti frutti in campo economico, culturale e politico.

Come scrivevamo sopra, il nuovo partito non è tanto nuovo nella sua proposta. Non è un partito degli italiani all’estero come invece si propone il Movimento creato dall’on. Merlo (il quale, come Viglia, sostiene che è indispensabile avere un partito per fare politica), ma si pretende un partito per gli italiani all’estero, che intende rappresentarci. Inoltre pone una condizione e cioè di essere in Parlamento “con un folto gruppo parlamentare. Ma come potrebbe conquistare un folto gruppo parlamentare un partito che si rifà agli italiani all’estero? Come otterrebbe la maggioranza dei 18 seggi della Circoscrizione estero, anche ammesso che non ce ne tolgano nessuno con le riforme istituzionali di cui si parla? Perché dovrebbero contare?

E perché dovrebbe ottenere il voto delle nostre comunità un partito con non ci considera capaci di esprimere dei rappresentanti tra quanti risiedono all’estero come noi? E perché dovrebbero votare in Italia un partito nuovo, di gente sconosciuta che, oltretutto, si chiama degli italiani dall’estero?

Al di là di queste considerazioni però, Viglia sembra non conoscere bene la storia e la realtà delle nostre associazioni. Associazioni nate, in molti casi, oltre un secolo fa quando nè l’Italia nè l’Argentina si curavano di quegli emigrati italiani. Italiani giunti da regioni diverse, che qui hanno dovuto arrangiarsi e per curare la loro salute e quella dei loro cari, o per essere degnamente seppelliti, hanno costituito le associazioni mutuali. Che poi hanno dato un contributo determinante alla nascita e allo sviluppo dei nove ospedali italiani creati da loro in Argentina. Che anche quando non c’era l’ormai arcaica legge 153/71, facevano corsi di italiano, organizzavano serate di teatro e di opera e creavano scuole per i loro figli, aperte però a tutta la società argentina, come avveniva – e avviene – per le stesse associazioni. Associazioni che si sono organizzate anche per commerciare con l’Italia, come è stato il caso della Camera di Commercio Italiana in Argentina, fondata nel 1884. Associazioni che hanno organizzato raccolte di fondi per aiutare orfani e vedove dei Caduti nelle guerre o per aiutare le vittime delle catastrofi naturali.

Quindi non solo “feste di ballo e sagre campaniliste di ciascuna regione” come scrive Viglia nel suo pezzo. Per il quale viene da chiedere: Ma dov’era Viglia e dov’era il PIE e il PD e FI e AN e tutte le altre sigle di ieri e di oggi quando le nostre associazioni facevano tanto? Dove sono oggi, quando i pur miseri fondi stanziati per i capitoli della politica per gli italiani all’estero sono stati tagliati in modo indegno? Le nostre associazioni anche e nonostante i tagli, continuano a svolgere la loro azione. Loro, cosa fanno?

Se oggi tanti figli sembrano stranieri tra le mure domestiche, lo si deve alle mancanze dell`Italia e alla miopia della sua classe politica, costante lungo gli anni, e non certo alle mancanze dalle nostre associazioni.

Viglia inoltre sostiene che le nostre associazioni predicano lo scostamento dalla politica e tassativamente rifuggono da politicizzazioni esplicite, ma quasi alla fine del suo articolo, rinfaccia alla nostre associazioni di non volere rapporti con la politica italiana perchè in realtà preferiscono avere rapporti con la politica locale, argentina nel nostro caso, per poter fare pressione e ottenere risultati ben più concreti da essa”.

Anche qui Viglia sembra non conoscere la nostra realtà.

Perché se le associazioni tradizionalmente rifuggono dalla politica, lo hanno fatto in primo luogo dalla politica locale. E questo si spiega col fatto che, proprio perché sono aperte a tutti – e non solo agli italiani – anche nel rispetto delle leggi argentine, non possono fare politica di partito al loro interno. Nelle nostre associazioni, ognuno ha le sue idee politiche, ma l’attività politica di partito rimane fuori dalla porta. Anche perché non bisogna dimenticare la storia argentina che, per lunghi decenni, ha visto i governi costituzionali interrotti da colpi militari, con conseguente messa al bando di diritti civili e politici. Lasciando la politica fuori, le Associazioni hanno assicurato la loro continuità e la pacifica convivenza tra i soci.

Un atteggiamento che oggi, dopo un quarto di secolo di democrazia, può essere considerato un errore e la ragione per la quale la nostra comunità non conta nella società e nella politica argentina in rapporto alla sua importanza. Ma è una valutazione fatta col segno del poi.

Se oggi qualche rappresentante degli italiani all’estero nel Parlamento italiano sembra più interessato alla politica argentina che non agli interessi dell’Italia o degli italiani all’estero, è perché non è stato eletto con i voti dell’Associazionismo e non lo rappresenta. E’ perché è stato aiutato ad arrivare nel Parlamento italiano, da qualcuno che si é stancato della coerenza dei parlamentari dell’Associazionismo durante la precedente legislatura. Coerenza con quanto avevano proclamato prima di essere stati eletti: “Non andiamo in Italia per decidere che governo devono avere gli italiani. Andiamo in Italia per far sapere che all’estero c’è un’altra Italia, per far conoscere la realtà degli italiani all’estero”. E coerentemente hanno sostenuto la maggioranza che avevano scelto gli italiani. Ed hanno fatto capire al governo di allora, che c’era o pochi specifici problemi nelle nostre comunità, che andavano affrontati e risolti subito, per poi aprire la strada a uno sviluppo dei rapporti con quell’altra Italia, dalla quale il Bel Paese ha tutto da guadagnare.

Purtroppo la sconfitta dell’Associazionismo alle ultime elezioni ha aperto la strada a quel panorama che Viglia tratteggia nell’ultimo paragrafo del suo intervento e rende necessaria – in questo caso come sostiene Viglia – l’apertura di un periodo di riflessione, di analisi della propria realtà e di quella che la circonda, da parte dell’Associazionismo. Ma non è con partiti nuovi gestiti dall’Italia che si risolverà la crisi dell’Associazionismo, fino ad oggi forza indispensabile e rappresentativa della comunità italiana in questa parte del mondo.

MARCO BASTI
marcobasti@tribunaitaliana.com.ar

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