di Sergio Bagnoli
Nei giorni scorsi, mentre nella subalpina Torino si consumava l’ennesimo attentato incendiario contro un negozio di prodotti alimentari della Transilvania (Romania occidentale), nella campagne attorno a Canicattì, nell’Agrigentino, succedeva un fatto molto strano che, se letto secondo i codici di “ Cosa nostra”, sarebbe altrettanto inquietante. Le famiglie dei molti immigrati romeni che nella zona di Canicattì lavorano nei campi ove si produce la famosa “Uva Italia” hanno, infatti, ricevuto nelle buche delle lettere un volantino anonimo che le invitava a lasciare in breve tempo la Sicilia e l’Italia intera pena gravi e spiacevoli attentati ai loro beni ed alle loro vite. Le stesse minacce sono state indirizzate a tutti quegli imprenditori che impiegano alle proprie dipendenze manodopera romena. A Canicattì i romeni sono molti, in gran parte provengono dalla Moldavia romena, la parte orientale del paese danubiano, la più povera regione dell’Unione europea. Da una delle sue maggiori città, Suceava, ogni giorno parte un pulmann, della maggiore ditta di trasporti transilvanica, l’Atlassib, che raggiunge, dopo due giorni di sfibrante viaggio, la Sicilia sud- occidentale. Il volantino intimidatorio è anonimo e riporta in calce un generico richiamo ad “ italiani stanchi”. Frettolosamente alcuni dei maggiori giornali italiani hanno interpretato le minacce quasi come se fossero sacrosante rivendicazioni del diritto al lavoro fatte da onesti cittadini in una delle plaghe, l’Agrigentino, più misere dell’Europa occidentale; altri quotidiani invece hanno ignorato del tutto la notizia. Secondo le associazioni antimafia che con enorme fatica stanno cercando di cambiare la mentalità di molti siciliani e che da pochi anni fortunatamente sono anche sostenute da certe istituzioni dell’isola, come Confindustria, si tratterebbe invece più semplicemente dell’ennesimo avvertimento mafioso contro chi è più debole e non ha voce. La mafia, è la loro teoria, si sta riorganizzando dopo i duri colpi infertile dallo Stato ed il terreno perduto a favore di altre grosse organizzazioni malavitose quali la ‘ndrangheta calabrese, e sta cercando in ogni modo di recuperare consenso tra la gente dopo che, all’indomani dell’uccisione dei giudici Falcone e Borsellino, l’opinione pubblica, specialmente in alcune grandi città isolane, le si era ritorta contro. Niente di meglio per “ cosa nostra” quindi che cavalcare la tigre della “ romenofobia” che ormai ha pervaso tutt’Italia. Di fronte all’aumento del numero degli stranieri, in verità molto più modesto che in altre zone della Nazione e quasi esclusivamente composto da romeni e tunisini, molti siciliani infatti non hanno più remore a dichiarare di preferire il controllo mafioso del territorio. Se a questo dato si aggiunge il fatto in che gran parte del Mezzogiorno d’Italia, per le ragioni più disparate, non ultima una totale mancanza di presenza da parte dello Stato, le mafie impazzano c’è dunque il pericolo che le vigilanze volontarie civiche, recentemente disciplinate con un decreto- legge da parte del governo Berlusconi, a sud di Roma cadano sotto il controllo gestionale della criminalità organizzata. A Canicattì forse hanno solamente iniziato questo processo. La stampa nazionale però, che tanto si è interessata alla Sicilia dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio, sembra non essersene accorta o non ha voluto accorgersene.