Il Dio del cuore e il Dio del potere

La democrazia presume che nessuno sia infallibile e saggio sopra tutti, tanto da poter decidere indubbiamente e ottimamente per tutti. Nessun mio rappresentante può decidere per me che cosa sia bene che io faccia per difendere la mia dignità morale.
STATO DI DIRITTO E RELIGIONI. “IL DIO DEL CUORE E IL DIO DEL POTERE”. Una nota di Nadia Urbinati

Difendere lo Stato laico – ovvero lo Stato di diritto – è per questo un dovere che i cittadini religiosi dovrebbero avere a cuore in modo particolare, non meno degli altri. Stato laico non è stato secolarista, ma Stato che si dà come criterio per legiferare e giudicare quello della separazione del giusto dal bene.

a cura di Federico La Sala

Il Dio del cuore e il Dio del potere

di Nadia Urbinati (la Repubblica, 02.03.2009)

LIBERARE lo Stato dalla religione ha significato consentire alla religione di espandersi liberamente nella società, di rafforzare la propria forza attrattiva.
Questo è uno degli insegnamenti che ci offre la storia dell´Europa moderna. E liberare lo Stato dalla religione è stato possibile quando lo stato di diritto ha vinto la propria battaglia sullo stato confessionale.

In un libro interessante sull´età del secolarismo, Charles Taylor, forse il filosofo cattolico più noto e rappresentativo del nostro tempo, ha mostrato molto bene come l´età secolare non sia affatto un´età di miscredenza, ma invece un´età di rinascita religiosa proprio per il rispetto affermato della libertà individuale, come libertà di coscienza e libertà religiosa, la quale è sia libertà di credere che libertà di scegliere in che cosa credere.

Pre-modernità e modernità denotano secondo Taylor anche due modi di essere della religione: da un lato, una religione nella quale i credenti “appartenevano a Dio” e la loro fede era identificata con riti, pratiche ecclesiastiche, e gerarchie; e dall´altro, una religione che, sorta dalla critica di quella vecchia fede in nome dell´autonomia morale individuale, ha reso possibile l´affermarsi della religione come “fenomeno di fede” – un fenomeno per cui “Dio appartiene a noi”, come creature che desiderano l´eternità e la trascendenza e quindi credono per scelta.

In tal senso l´umanesimo ha servito la causa della religione e il secolarismo è stato un lavoro non anti-religioso, ma la condizione affinché la religione tornasse a vivere nel cuore umano, invece che nei riti e nelle gerarchie. Quando la religione costituita fa un passo indietro, la religione come credenza fa un passo avanti: questa è stata fin dal Seicento, l´insegnamento della filosofia della libertà religiosa e della tolleranza, una filosofia grazie alla quale le comunità politiche possono essere luoghi di tranquillità e di reciproco rispetto.

Difendere lo Stato laico – ovvero lo Stato di diritto – è per questo un dovere che i cittadini religiosi dovrebbero avere a cuore in modo particolare, non meno degli altri. Stato laico non è stato secolarista, ma Stato che si dà come criterio per legiferare e giudicare quello della separazione del giusto dal bene.

L´arte della separazione non è arte della negazione o dell´ipocrisia: tenere separati i nostri criteri di giudizio quando ragioniamo come cittadini e quando ragioniamo come individui sociali non significa affatto mettere a tacere le ragioni etiche per far trionfare quelle della politica.

L´arte della separazione è quell´arte che consente a chi ha una dimensione religiosa di vita di vivere in coerenza a questa sua credenza e che non impone con l´arma della legge la sua visione del bene. E facendo questo non rispetta solo o semplicemente chi non ha particolari credenze religiose, ma prima di tutto chi ha una forte credenza religiosa e quindi anche se stesso. Poiché se è vero che solo chi è libero crede – se è vero che il credere è un atto di libertà personale fondamentale – allora chi crede non può vedere il proprio credo tradotto in un articolo del codice penale. Non è per legge che la nostra credenza avrà la certezza di essere rispettata, ma per nostra personale responsabilità e scelta.

Non è l´assenza di una legge che garantisce alla donna di decidere responsabilmente la propria maternità che libera la donna dell´onere della scelta e la società dall´aborto. Siamo davvero sicuri che avremo messo a tacere il nostro senso del dovere verso la vita qualora alcuni rappresentanti politici abbiano trovato un compromesso su questa o quella procedura? E come può un credente accettare di delegare ad alcuni – in tutto simili a lui – di prendere decisioni che solo egli potrà e dovrà in realtà prendere?

In uno Stato di diritto, la legge non impone a tutti quello che alcuni (non importa quanti) pensano che sia bene fare in un campo, quello morale, dove è solo la coscienza dell´individuo che ha l´onere della scelta. È questa legge, non una legge etica, che salvaguardia la dignità del credente. E ciò che è buono per il credente lo è anche per il cittadino in questo caso.

Che la democrazia sia un governo di eguali significa infatti niente altro che non si dà un criterio più legittimo per decidere se non la conta dei voti, e questo non perché la democrazia sia dozzinale o volgare, ma perché essa è umanissima. La democrazia presume che nessuno sia infallibile e saggio sopra tutti, tanto da poter decidere indubbiamente e ottimamente per tutti. Nessun mio rappresentante può decidere per me che cosa sia bene che io faccia per difendere la mia dignità morale.

È avvilente quando si assiste a un Parlamento che si arroga il diritto di trattarci come fanciulli, che detti le sue massime etiche e che per giunta, e per necessità, le condizioni al compromesso e alla conta dei voti. Il credente religioso e il cittadino hanno qui lo stesso interesse: quello di avere politici che non facciano della vita l´oggetto di un compromesso politico.

È proprio la dignità, quella di tutti – ma soprattutto quella dei credenti – che è in giuoco quando si chiede allo Stato di smettere di essere stato di diritto per farsi organo di una dottrina religiosa o etica.(ildialogo.org)

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