Emigrazione Resistenza Memoria

Per anni i manoscritti di Luigi Peruzzi sono rimasti «nella sfera strettamente privata», mentre l’uomo non rinunciò a impegno militanza, scelte sociali e culturali. Il volume «Le mie memorie e Diario di Berlino 1944-1945», uscito presso le Edizioni Metauro, racconta la vita di un emigrante e antifascista

Maria Luisa Caldognetto, docente all’Università di Treviri e studiosa del Centre de Documentation sur les Migrations Humaines di Dudelange (Lussemburgo), scrive nell’introduzione – presentazione dell’opera di Luigi Peruzzi «Le mie memorie e Diario di Berlino 1944-1945», uscito in queste settimane presso le Edizioni Metauro: «Ci sono libri che sarebbero dovuti circolare da tempo». Se ciò non è successo non lo si deve «alla ritrosia degli autori», ma a ben altri fattori. «Non di silenzio dei protagonisti bisogna parlare, quanto piuttosto di una società che non ha saputo ascoltare e di una storiografia che si è lungamente sottratta al compito di assumere e trasmettere questa memoria», aggiunge la studiosa.
L’osservazione di M. L. Caldognetto focalizza come, non solo da parte italiana, il silenzio abbia coperto per decenni (secoli?) la storia e i volti, come anche le opere, di milioni di italiani sparsi nel mondo. Nel caso di Luigi Peruzzi si aggiunge l’impegno nella Resistenza e il rimando a una Storia poco conosciuta: l’antifascismo in emigrazione. Il volume «Le mie memorie e Diario di Berlino 1944-1945» è la testimonianza di una vita resistenziale che rimanda a una Resistenza antifascista e antinazionalsocialista che s’intreccia con movimenti similari che stavano fiorendo e consolidandosi in altri Paesi.
Il volume raccoglie in più di quattrocento pagine l’odissea e l’impegno culturale e civile di Luigi Peruzzi (1910 -1993), nato a Sartiano di Mercatino Marecchia (oggi Novafeltria), in provincia di Pesaro, il 27 luglio 1910, figlio di braccianti agricoli, che a 16 anni emigrerà a Esch-sur-Alzette. Scrive Maria Luisa Caldognetto: «Dopo aver vissuto nel secondo conflitto mondiale un primo internamento in un Lager tedesco, subì successivamente la sorte di prigioniero di guerra, costretto al lavoro coatto a Berlino». Aggiungendo: «Siamo di fronte, per quanto riguarda Peruzzi, agli unici esempi finora noti ascrivibili a quell’articolarsi composito e complesso del genere autobiografico che si declina nelle sue diramazioni della memorialistica e della diaristica, nell’ambito di quella che viene definita la letteratura italiana in Lussemburgo».
Il Lussemburgo, in quegli anni, attirava, grazie alla siderurgia e all’edilizia, numerosi migranti dalla Penisola, soprattutto dal Mezzogiorno e dal Settentrione. Nel 1926, Luigi Peruzzi è operaio edile, dal 1936 scende in miniera. Immediato il suo impegno antifascista. Scrive M. L. Caldognetto: «Nel 1936 è tra i fondatori della compagnia teatrale “L’Avvenire” che, accanto all’attività culturale e ricreativa, svolgeva quella di copertura – come registrò il commissario di polizia locale – per i militanti del partito comunista. All’epoca egli si dedica soprattutto ad un’azione di sostegno e propaganda, ad esempio raccogliendo fondi per le famiglie dei compagni arrestati, espulsi o volontari a fianco dei repubblicani nella guerra di Spagna, così come lo vediamo impegnato nella campagna abbonamenti per “La Voce degli Italiani”, quotidiano antifascista stampato a Parigi tra il 1937 e il 1939 dall’Unione Popolare Italiana che riuniva socialisti e comunisti in un fronte popolare di emigrati e fuorusciti. In qualità di promotore della diffusione del giornale in Lussemburgo, Peruzzi riceverà persino in premio una macchina fotografica nel 1939, il che gli varrà una prima compromettente schedatura come “attivista”».
La curatrice di «Le mie memorie e Diario di Berlino 1944-1945» scrive: «Il suo impegno nella lotta antifascista e antinazista si intensificherà con lo scoppio della guerra e con l’invasione tedesca del Granducato. A seguito dell’occupazione nazista, Peruzzi, dopo aver subìto per alcuni mesi l’evacuazione in Francia come sfollato con la sua famiglia (era sposato dal 1936 con Irene Venturi e nel novembre 1937 era nato il figlio Remo), verrà arrestato dalla Gestapo il 9 settembre 1942, nel clima caratterizzato dalla dura reazione allo sciopero generale attuato, dieci giorni prima, dalla popolazione contro l’arruolamento forzato dei giovani lussemburghesi nella Wehrmacht».
Imputazione: l’aver nascosto in casa sua una macchina per scrivere, supporto alle attività clandestine svolte con i suoi compagni, tra cui la stampa di un giornale.
Racconta ancora la studiosa: «Peruzzi sarà deportato il 14 settembre in un campo di concentramento, con un gruppo di 62 antifascisti italiani e resistenti lussemburghesi, ma né lui né gli altri italiani figureranno nel Livre d’Or de la Résistance pubblicato nel 1952, e inspiegabilmente tardivo giungerà il primo riconoscimento da parte lussemburghese (1970). Una palese discriminazione e ingiustizia, tanto più grave in quanto tardivo e parziale sarà il riconoscimento anche da parte italiana: solo nel 1979 gli verrà conferito il titolo di Cavaliere al merito della Repubblica dall’allora presidente Pertini, ma la Resistenza e la deportazione precedenti l’8 settembre ’43 non gli verranno in Patria mai riconosciuti».
Deportato nel settembre 1942 nel Sonderlager di Hinzert, non lontano da Treviri, un campo di lavoro, transito e di concentramento “che nulla aveva da invidiare – sono parole di Peruzzi – ai campi di sterminio”, popolato da detenuti provenienti principalmente dal Lussemburgo, dalla Francia, dalla Polonia, ma anche da tedeschi, russi, belgi, olandesi, italiani, cechi e croati, per un totale di circa 15.000 avvicendatisi tra il 1939 e il 1945”. Peruzzi è ormai un semplice numero, il 5137. Racconta M. L. Caldognetto: «Nel febbraio 1943, quando ormai non pesava che 43 chili, sulla base degli accordi che prevedevano la restituzione all’Italia dei “sovversivi” da parte della Germania nazista ancora alleata, Peruzzi verrà trasferito via Innsbruck-Brennero al carcere di Pesaro, ove giungerà in aprile. Posto sotto sorveglianza con obbligo di residenza nel suo comune di origine, per mancanza di imputazioni sufficienti a destinarlo al confino (a differenza di altri suoi compagni rimpatriati col medesimo convoglio), sarà liberato in agosto, dopo la caduta del regime, e successivamente richiamato alle armi nel 93° Reggimento fanteria di Ancona. È con l’intento esplicito di diffondervi la propaganda antifascista e di apprendere l’uso delle armi automatiche – come si può leggere in margine a quello che, successivamente rielaborato, diverrà un capitolo delle Memorie – che Peruzzi deciderà di arruolarsi».
L’odissea di questo emigrante antifascista risprende con l’armistizio dell’8 settembre. «La guarnigione di Ancona sarà costretta alla resa e Peruzzi, insieme agli altri militari, verrà tradotto come prigioniero a Berlino e ivi internato dai primi di ottobre 1943 fino al 25 aprile 1945. Destinato al lavoro coatto come operaio nelle fonderie della fabbrica Siemens-Schuckertwerke AG, subirà la sorte degli oltre 600.000 militari italiani (IMI) che resisteranno – quasi un primo referendum popolare spontaneo contro la dittatura – alle lusinghe della libertà da barattare con l’arruolamento nei reparti speciali delle SS o nell’esercito di Salò. A differenza degli altri, i soldati italiani non godranno delle prerogative garantite ai prigionieri di guerra dalle convenzioni internazionali e, abbandonati a se stessi, saranno avviati ad ingrossare le file dei lavoratori schiavi del Reich. Ridotto ancora una volta a un numero tra i tanti rinchiusi nel campo denominato M-Stammlager III D, a Berlino Salzhof, questo secondo internamento – che resterà sostanzialmente invariato anche dopo la cosiddetta smilitarizzazione degli IMI e il loro passaggio a “lavoratori civili” nell’agosto 1944 – e in particolare l’esperienza dei bombardamenti, che nel mese di aprile del ’45 si susseguono pressoché ininterrottamente sulla città, indurrà Peruzzi a tenere un Diario dei drammatici momenti vissuti. Una registrazione in diretta di avvenimenti e stati d’animo, in cui sfilano angosce e incertezze, speranze e nostalgie, precarietà quotidiana nella consapevolezza di chi sa di aver scelto di resistere nonostante tutto».
Per lunghi anni i manoscritti peruzziani (che ci permettono di conoscere sia l’uomo che l’ambiente italo-lussemburghese) resteranno «nella sfera strettamente privata», mentre l’uomo non rinuncerà ad «altre forme di impegno e di testimonianza». La militanza, le scelte sociali e culturali risaltano nelle «carte» di Luigi Peruzzi, conservate con la massima cura dai familiari dopo la sua scomparsa, «avvenuta in Lussemburgo – a Mondercange, dove nella seconda metà degli anni Cinquanta s’era trasferito con la famiglia – nel 1993».
Si tratta di «un patrimonio di informazioni che, attraverso la testimonianza diretta di un protagonista, ci offrono una serie unica nel suo genere di scorci, squarci e modalità per la lettura e la miglior comprensione di un periodo cruciale per l’emigrazione italiana in Lussemburgo (e non solo). Ne risulta un contributo alla microstoria di una collettività, di una regione, di un quartiere coinvolti nel turbine di sconvolgimenti che si intrecciano con le dimensioni della macrostoria. Un contesto antropologico filtrato dal testimone, il quale, attraverso un’azione deliberata di ricostruzione del passato, non indenne certo da rischi di soggettivizzazione, iscrive il tempo individuale in un tempo più largo in cui s’inquadra e assume significato la sua personale vicenda politica, culturale, umana», scrive la curatrice.
Avvicinarsi a simili opere è il modo migliore per incontrare e conoscere, oltreché onorare, chi fu costretto o scelse di vivere altrove, vivendo scelte politiche, sociali e culturali che sono alle radici della moderna Europa.

a cura di Luigi Rossi (Bochum)

Luigi Peruzzi, Le mie Memorie e Diario di Berlino 1944-1945
a cura di Maria Luisa Caldognetto
Edizioni Metauro (Pesaro), pag. 414 – Euro 15
ISBN 978 – 88 – 6156 – 027 – 7

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