LE STORIE DI VITA E LE RELAZIONI D’ASCOLTO.
La complessità ontologica del sé in una prospettiva autobiografica.
Nel concetto moderno e specifico di “adultità” (neologismo attuale), il divenire, la metamorfosi, il cambiamento, la transizione, coesistono nell’ermeneutica autobiografica, metodo interpretativo olistico che richiama il luogo della complessità, legata ai temi della narrazione, del gioco di trame e processi narrativi di linguaggi interiori che tendono all’incompiutezza. Il metodo autobiografico rientra nell’ambito della complessità, per cui il racconto di sé, introspettivo e retrospettivo, si rivela autopoietico, autogenerativo, tendente all’infinito relazionare e rimembrare degli eventi. L’educazione alla multipla complessità del sé genera e comporta un percorso formativo atto ad affrontare la sopravvivenza all’incertezza e all’ansia di dominare il presente, per abitare gli interrogativi dell’identità multipla, poliedrica allo scopo di imparare ad interagire, conversando, attraverso il mutare, il variare dei punti di vista, delle prospettive cognitive, al fine di educarsi, educando. Un concetto nell’accezione formativa, problematicista: La complessità dell’IO, dell’ente, realtà ontologica, olistica, interna ed esterna al sé. Il rapporto d’ascolto autobiografico ammette l’avvicinamento estetico, tramite il contatto, non estetizzante, l’interrelazione reciproca, per non dimenticare di vivere e sperimentare la nozione di complessità, attraverso il pensiero cognitivo autobiografico, che tende anche alla sospensione del giudizio, all’epochè.
Un luogo interiore dell’anima, per rieducarsi alla memoria.
L’autobiografia, ermeneutica dell’esistente, ha trovato un luogo ideale, utopico, al contempo reale, un “non luogo” della mente, dell’anima, anche topos specifico, micropedagogico…dalla mente autopoietica, al microcosmo di una realtà rurale, idillica, sospesa nell’eternità di un passato storico importante. Un piccolo borgo medievale, inerpicato sul dolce pendio collinare toscano: Anghiari, ancora intatta nella sua autentica antichità. Qui il fulcro della “Libera Università dell’Autobiografia”, realtà collegata all’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano, da cui si diparte l’intento pedagogico, la volontà di studio e impegno di volontariato culturale militante che coinvolge vari comuni italiani, paesi piccoli e grandi, nell’intento formativo, di applicazione rieducativa al senso del tempo storico, personale e collettivo, di indagine e discussione relative al significato ermeneutico, interpretativo, della narrazione di sé, delle storie di vita. Questo implica un concetto di autoformazione, di autoriflessività e occasione di apprendere e conoscere, durante il corso della vita e dell’esperienza, in relazione ai fatti quotidiani, ai continua apicali, alla nascita, alla morte, come alle vicende esistenziali, grandiose o povere che ciascuno di noi vive.
Le due anime dell’autobiografia
La Libera Università dell’autobiografia di Anghiari, polivalente realtà associativa, è contraddistinta dall’intrinseca dualità e, al contempo, univoca e comune volontà d’intenti. Un’anima autobiografica, intesa come autentica e implicita possibilità di tornare sul proprio passato, in uno spazio/tempo interiore, spesso privo di riferimenti con l’alterità, per il venir meno di significativi e autentici rapporti relazionali affettivi, amicali. Soprattutto nelle grandi realtà urbane, metropolitane è scomparso il senso della comunità, vissuta attraverso le scansioni liturgiche del calendario agricolo/pastorale, regolato dagli eventi naturali, dal susseguirsi delle stagioni e suffragato dalla tradizione del sacro.
L’autobiografia rappresenta la possibilità di comunicare con le varie identità, a livello individuale, e recuperare, riappropriandosene, la storia di sé, per vivere meglio le diversità intersoggettive, con se stessi, per gli altri.
La seconda anima del volontariato di animazione autobiografica, comprende l’atto simbolico ma effettivo del donare e riconsegnare al presente, per affrontare il futuro con rinnovata consapevolezza, le tracce, i segni dei tempi, di una memoria storica collettiva quasi scomparsa: la vita della comunità, formata di tante singole storie di vita, riesumate tramite la pedagogia della memoria, per ricostruire e recuperare un’identità a livello individuale, locale, nazionale, globale dalla complessità ontologica dell’esistente, nella consapevolezza di un più esteso concetto di educazione e cultura militante.
Dal contesto sociale attuale risulta l’esigenza di raccontare ad altri e a se stessi il ricordo, rammentando, rimembrando e rievocando, il relazionarsi degli eventi passati, per sanare le ferite di un diffuso e dilagante disagio esistenziale, a tutti i livelli sociali, riguardante diversi ambiti e canali comunicativi: “non un comune e diffuso male oscuro”, ma il “male di vivere”. Di conseguenza ricordare e raccontare per riattualizzare e recuperare la sofferenza del vissuto, attraverso la naturale catarsi della com-memorazione, acquisendo una maggiore consapevolezza di sè, attingendo dal passato, per la progettualità e decisionalità del futuro.
Tramite i progetti di ricerca attraverso l’animazione autobiografica, si concretizza e attualizza il nobile intento di dare voce al popolo e alle singole persone, coinvolgendo studiosi e pedagogisti di vari atenei italiani a confronto con “realtà normali e comuni”, in una rinnovata ed autentica prospettiva di educazione militante.
Il comune denominatore dei progetti di indagine e ricerca, tramite la “cultura della memoria”, diffusi sul territorio italiano, è la memoria stessa. Come sosteneva il filosofo “la memoria è l’uomo”, il cardine intorno a cui ruota il metodo di animazione autobiografico.
La scientificità del metodo
Attraverso il racconto di sé la persona ri-corda gli eventi collegati al passato che si rivelano durante il colloquio autobiografico con il ricercatore/mèntore, tramite il recupero di una memoria non del tutto spontanea, ma indotta e indirizzata su obiettivi particolari: indagare la realtà soggettiva, il “pluriverso” individuale. Tale riferimento costituisce la discriminante tra l’attività spontanea e l’ambito specifico, micropedagogico, che consente di attuare la ricerca scientifica, a livello analitico.
Dunque il metodo autobiografico è essenzialmente scientifico non perché basato su dati statistici o focalizzato su una realtà oggettiva, ma riguardante l’individuo nella sua ontologica complessità poliedrica, soggettiva (si indaga il soggetto), attraverso una tipologia ermeneutica qualitativa (la ricerca dei dati sulle storie di vita) e non quantitativa: differente dalla ricerca sociologica, dall’antropologia o dall’ambito etnoantropologico.
Recuperare il passato per “salvare” il presente.
La memoria è in sostanza il cardine del metodo. L’obiettivo fondamentale, il focus educativo sotteso alle implicite e consequenziali dinamiche metabletiche dell’autonarrazione, consiste nel recuperare, riattualizzare e far riaffiorare nelle menti memorie di eventi piccoli o grandi, antichi o recenti, degli anziani testimoni e depositari autentici di un passato preindustriale, che lentamente va estinguendosi. A causa di precisi fattori economico/sociali, le realtà esistenziali e territoriali dei paesi, nel cui ambito si spende il volontariato autobiografico, risultano disgregate, anche per imponenti fenomeni di migrazione ed emerginazione, privi di reciproca integrazione, in seguito alle trasformazioni apportate dall’ingente processo di industrializzazione, per la diffusione di un esasperato, edonistico consumismo di massa, e il verificarsi graduale dell’eclissi del sacro.
L’hinterland metropolitano risulta una realtà amorfa, fortemente individualistica, nell’accezione più narcisistica, edonistica ed egoistica del termine, a livello di rapporti sociali, interrelazionali, nel cui contesto non rimane quasi traccia di un preesistente passato rurale, arcaico, ricollegabile a comuni matrici culturali, all’identificazione in comuni radici originarie, caratterizzate da tempi e ambiti di socialità comunitaria, scanditi dal lavoro quotidiano agricolo e dalle ciclicità stagionali e liturgiche del calendario contadino.
La transizione immediata, il passaggio repentino, brusco da una società di stampo prettamente rurale, ad un contesto altamente industrializzato, accompagnato da ingenti processi e fenomeni di sperequazione e speculazione edilizia, a livello di assetto urbanistico, ha sconvolto paesaggisticamente il territorio. Queste trasformazioni repentine hanno causato gravi ripercussioni sui vissuti individuali delle popolazioni, nei contesti sociali attuali, provocando un dilagante e diffuso disagio esistenziale. L’individuo perde, smarrisce nel caos di messaggi comunicativi vacui, effimeri, in una prospettiva estetizzante ed edonistica dell’essere, la personale identità, non più abituato a recuperare la memoria soggettiva, in ambiti d’ascolto familiari, amicali, tramite un percorso introspettivo autobiografico. Tale dinamica relazionale risulta difficilmente realizzabile in una società complessa come l’attuale, deprivata del senso e significato di dedizione disinteressata all’altro, al diverso, e mossa solo da interessi speculativi nei confronti dell’individuo, priva di ambiti di relazione e di ascolto sociali, sostituiti dai mezzi tecnologici e di comunicazione di massa.
Il valore pedagogico del proposito autobiografico è sotteso alla rieducazione della collettività, in una prospettiva riabilitativa, terapeutica di cura di sé attuabile dal soggetto in formazione, attraverso il filo interrelazionale, invisibile, impercettibile della memoria, per attingere al passato di comuni radici originarie, riappropriandosi dell’esperienza e consapevolezza individuale, al fine di comprendere e recuperare una matrice comune, un valore condivisibile, la salvaguardia dell’ambiente, il territorio, il creato, la madre terra fertile, l’antico mondo rurale, contadino, i cui momenti esistenziali, continua apicali, venivano regolati naturalmente dall’ambiente incontaminato, in sintonia con la creazione, dalla iteratività ciclica delle stagioni. In questo tempo, sospeso nell’eterna ciclicità della natura, si praticava la vita sociale, spartendo la quotidianità del presente nella comunità, in cui il soggetto riscopriva l’esigenza profonda e il terapeutico conforto del racconto di sé all’alterità.