L’iter di riforma della legge 91/92 sulla cittadinanza è lentamente ripreso in Commissione affari costituzionali, nonostante le dichiarazioni di esponenti di maggioranza – prevalentemente della Lega Nord – lascino intendere che il tema non è prioritario e non è parte del programma di Governo. Evidentemente gli impegni presi in campagna elettorale dal Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente, per la circoscrizione Estero, erano a esclusivo uso degli elettori residenti all’estero e non sono noti ai vertici di maggioranza. La proposta “Modifiche alla legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante nuove norme sulla cittadinanza, C. 718, presentata il 5 maggio 2008, era stata già presentata nella trascorsa legislatura ed era entrata a far parte del testo unificato che prevedeva la riforma dell’intera materia della cittadinanza. Nella proposta si sostiene che gli obiettivi di piena integrazione e partecipazione, che hanno consentito alle nostre comunità di assumere posizioni di rilievo a livello professionale, economico, politico e istituzionale nelle Società di accoglimento, hanno comportato, negli anni precedenti all'entrata in vigore della legge 5 febbraio 1992, n. 91, l'acquisizione per naturalizzazione della cittadinanza del Paese di residenza. Una scelta condizionata dalla necessità di vedere riconosciuti e salvaguardati i diritti civili come l'acquisto della propria abitazione o l'assunzione di un incarico politico oppure di un impiego pubblico. Molti paesi però hanno introdotto norme concernenti la doppia cittadinanza dopo il 31 dicembre 1997 anno in cui terminava il periodo transitorio di richiesta della cittadinanza italiana. Oggi torniamo a proporre questa norma affinché si possa ridare questa opportunità senza limitazioni. In Australia, ad esempio, la questione si pone con urgenza anche per coloro i quali, nel periodo di vigenza del termine, anche volendolo, non erano nelle condizioni di chiederla, pena la perdita della cittadinanza dello Stato di residenza. La riapertura dei termini risolverebbe anche il problema posto dai minorenni, ex cittadini italiani, che hanno perso la cittadinanza italiana senza mai esprimere una precisa volontà a causa della naturalizzazione del padre. Nella proposta, inoltre, si cerca di superare una anacronistica disparità di trattamento tra uomo e donna, in contrasto palese con i dettami costituzionali che garantiscono pari dignità sociale e uguaglianza davanti alla legge senza distinzione di sesso (articolo 3 della Costituzione). Tale discriminazione giuridica si riscontra, in particolare, nei confronti di quelle donne che, emigrate all'estero nel secolo scorso, sono state private della cittadinanza per se stesse e per i propri figli.