La campana del Fondo monetario è suonata
Un paese moderno, deve disporre di una politica industriale, rispettosa dell’impresa e del mercato
Angelo De Mattia
Dopo la revisione delle stime per l’Unione europea da parte della Commissione di Bruxelles e gli accenti sempre più preoccupati della Bce, ieri anche il Fondo Monetario Internazionale ha ridotto le stime della crescita globale per il 2009 al + 0,5 per cento dal 2,2 per cento di novembre. Si tratta dell’ennesima revisione, che porta la crescita al “livello più basso dalla seconda guerra mondiale”, come afferma il World Economic Outlook. Anche per l’Italia il Fondo abbassa ulteriormente la stima. Nel 2009 il pil segnerà una riduzione del 2,1 per cento (a ottobre era stato stimato il -0,2 per cento). Ormai, tutti i principali organismi internazionali stanno riformulando al ribasso le loro previsioni (senza tema di essere tacciati di compiere “esercizi congetturali”, come ha detto il Ministro Tremonti). E non è affatto sicuro che la caduta si fermi qui.
Tutti i centri segnalano che la situazione dell’economia e il livello di fiducia di consumatori e imprese hanno raggiunto punti così bassi che non si vedevano da decenni. Non bisogna dimenticare che, per quanto concerne il nostro Paese, il recente Bollettino della Banca d’Italia ha sottolineato come sulla crescita gravano dubbi circa l’effettiva profondità della crisi in alcune economie emergenti, che forniscono sostegno alla dinamica degli scambi internazionali. Da questo punto di vista, cominciano a profilarsi condizioni preoccupanti di Cina e India. Se si fosse avuta la capacità di antivedere ciò che sarebbe successo con il contagio dell’economia reale da parte della crisi finanziaria – quindi la previsione non della crisi, ma del suo estendersi al resto dell’economia – forse oggi le diverse aree monetarie ed economiche si sarebbero trovate in una condizione migliore per rispondere alla recessione. Molto ora resta affidato, per attenuare le difficoltà, al modo in cui l’economia americana risponderà agli impulsi del piano Obama in corso di definizione e al rapporto che gli Usa stabiliranno con l’Europa, con il Giappone e con la Cina. Un coordinamento globale appare sempre più necessario.
Mentre si attendono, a questo punto, il doveroso aggiornamento delle stime dell’economia italiana non ancora deliberato dal Consiglio dei Ministi dopo i dati dell’Unione europea e la conseguente, altrettanto doverosa, revisione della manovra finanziaria, si procede purtroppo assai lentamente nella predisposizione o, meglio ancora, nell’attuazione dei provvedimenti anticrisi. A differenza del comportamento tenuto, per esempio, dal Presidente Usa che impiega parole e toni drammatici per illustrare agli americani i gravissimi rischi che la crisi reca con sé, in Italia – dove manca poco che non si ricorra ad una “terapia apotropaica” – si presenta un quadro di edulcorazione dei pericoli e di diluizione della concreta reazione. Sembra quasi che si voglia attendere il pieno manifestarsi delle più dure difficoltà perché il genio italico, proprio quando sembra sopraffatto dagli eventi, riesce a dare il meglio di sé e a superare brillantemente le prove: insomma, quasi il confidare nello “stellone”.
Eppure, la campana del Fondo monetario è suonata anche per l’Italia. Domani si apre, a Palazzo Chigi, il tavolo sul settore auto, a sostegno del quale dovrebbero concorrere aiuti pubblici e finanziamenti bancari, in una logica di interventi tassativamente finalizzati e condizionati che abbraccino la gamma dei soggetti interessati all’auto, innanzitutto la potenziale clientela. Bisogna fare molta attenzione a non diventare succubi di un antico riflesso condizionato (“no, ancora, agli aiuti alla Fiat”) con venature antindustriali, in specie nei confronti della grande impresa. Anche in questo caso, il sostegno è all’economia, al lavoro, alle medie e piccole imprese in particolare dell’indotto, alle altre produzioni di automobili. Un sostegno che deve rispondere a una precisa e motivata scelta di politica industriale, per l’innovazione e la trasformazione. Occorre stare, però, bene attenti a non promuovere un’incentivazione indiscriminata di cui si avvantaggerebbero anche imprese estere, in assenza di una par condicio a livello europeo e senza aver verificato che ciò accade anche in altri Stati (a partire dalla Francia).
Comunque, un Paese avanzato, come l’Italia, non può fare a meno di disporre di una politica industriale, rispettosa dell’impresa e del mercato. Ma qui viene subito in questione il problema delle risorse a tal fine disponibili, per risolvere il quale occorre, da un lato, partire dalla consapevolezza dell’insufficienza dei fondi anticrisi finora stanziati (dunque, si ritorna alla necessità di aggiornare stime e manovra) e, dall’altro, dare certezze al sistema bancario, in modo che quest’ultimo si assuma fino in fondo la responsabilità delle sue scelte e possa liberamente decidere se concorrere o no – con le principali banche – al supporto del settore auto e, più in generale, delle imprese in difficoltà. Da questo punto di vista, tuttavia, i ritardi si sommano ai ritardi.
Dopodomani sarà inutilmente trascorso un mese dal prescritto termine (un altro mese dopo il provvedimento legislativo che lo prevedeva) entro il quale avrebbe dovuto essere emanato il decreto del Ministro dell’Economia per disciplinare criteri, condizioni e modalità dei cosiddetti Tremonti bond, che potranno essere emessi dalle banche per la loro ricapitalizzazione.
Un passaggio importante per la stabilità e per accrescere la capacità di concedere finanziamenti da parte degli istituti. Ma finora si sa soltanto che continuerebbe un ping-pong tra Tesoro e banche, con queste ultime che potrebbero decidere di non emettere obbligazioni della specie se fossero tenute a riconoscere allo stesso Tesoro tassi che, articolati secondo una scalettatura temporale, sarebbero onerosissimi, ben lontani – nei loro sviluppi – dal 7,5 per cento di cui in questi giorni si è parlato. Le cose stanno veramente così? Gli istituti di credito sono preoccupati solo dell’onerosità dei tassi o anche degli altri previsti vincoli (impegni a favore delle imprese minori, codice etico sulle remunerazioni dei vertici aziendali, controlli prefettizi, etc)?
E’ venuto il momento della piena trasparenza. Non si può continuare in una inconcludente telenovela, mentre il quadro previsivo della crisi si aggrava e, per contro, si susseguono analisi palingenetiche, sub specie aeternitatis. Le parti in campo rendano chiari i termini della questione. Poi, come già si è scritto su queste colonne, chi deve decidere – il Tesoro – decida. Se è necessaria una concertazione con gli organismi comunitari, vi sono tutte le possibilità perché questa possa concludersi in maniera rapida.
In questa settimana si svolgono anche gli incontri di Davos. Come al solito, rischiano di essere pure una passerella. Sarà presente, fra gli altri, il Governo italiano con suoi esponenti (è preannunciata la presenza del Ministro dell’Economia). Mentre il Fondo monetario aggrava le stime di crescita, è difficile discettare in quella sede di nuove regole, di governance mondiale e poi, in casa propria, lasciare ancora in sospeso l’ottemperanza a normali adempimenti anticrisi.