Ormai dove ti giri ti giri non è più possibile seguire politici che ripetono frasi tipo ”riavviciniamo la politica ai giovani” o “adottiamo politiche per i giovani” o “impostiamo un ricambio generazionale lasciando più spazi ai giovani”, non tanto per le frasi in sé, quanto piuttosto perché alle frasi non corrispondono i fatti; ovvero la potenza non si trasforma in atto. Certo, esistono casi, anche locali, in cui qualche istituzione si stia attivando veramente in favore dei giovani, ad esempio l’assessorato alle politiche giovanili di Sassari che, attraverso la creazione di un forum, intende finanziare alcuni progetti concretamente realizzati e ideati da giovani, ma il tutto si riduce a poco e certamente non basta rispetto ai problemi dei giovani, sardi e italiani. La nausea è tanta, e lo sconforto pure, e forse è dovuta al proliferare di manifestazioni che in realtà non vogliono dare spazio ai giovani, ma che, invece, con una retorica ammaliante, di questi intendono catturare il voto politico, non altro.
Molto probabilmente l’esigenza politica di rivolgersi ai giovani, che ormai nei parametri nazionali sono inclusi in fasce d’età che vanno dai sedici fino ai trenta/trentacinque anni, nasce dal fatto che i due poli contrapposti, centro-destra e centro-sinistra, catalizzano l'intera competizione politica e, nel gioco dell’alternanza governativa, in situazioni di quasi parità elettorale, hanno capito che per “spuntarla” devono cercare di prendere il voto di quella parte di elettori che maggiormente si allontanano dalle urne, scegliendo di fare politica non facendo politica, appunto i giovani.
Alle attuali logiche di avvicinamento ai voti dei giovani, e non per i giovani, aderiscono pienamente il centrodestra e, anche, il giovane partito democratico, che si spera, col suo tentativo di autoriforma, non diventi un mezzo per un’ulteriore conservazione di posti politici, “posti datati”, proprio in antitesi con lo spazio per i giovani.
Negli ultimi anni, anche in Sardegna, non sono mancati convegni sui giovani, ma non sempre per questi. Le tematiche affrontate in tali incontri, delle più interessanti, hanno riguardato, alcune in maniera piuttosto velata, le “monarchie ereditarie”, l’ereditarietà dei posti di lavoro, l’invecchiamento della popolazione italiana, il problema del precariato, la mancanza della meritocrazia, l’impossibilità di molti giovani di rendersi autonomi e di creare una propria famiglia, e, ripeto, in maniera piuttosto velata ed estremamente sintetica. Purtroppo, la sensazione che alcuni giovani provano, nel particolare momento in cui viviamo, è spesso sgradevole e, parafrasando un po’ il ritornello di una vecchia canzone, certe iniziative sono riassumibili in “parole, parole, parole…soltanto parole”. Ovviamente non basta che una sala sia gremita di giovani per decretare il successo di un convegno e/o di una conferenza rivolti ai giovani, sicuramente i messaggi mediatici di questo tipo hanno un’influenza immediata sulle emozioni degli spettatori, ma le informazioni che devono incidere sulle persone, producendo cambiamenti significativi e, finalmente, creando e ricadendo sui valori in maniera positiva, vanno riscontrate in lunghi termini di tempo, e non esistono dubbi sul fatto che i giovani aumenteranno il proprio divario nei confronti della politica se, come proseguimento alle manifestazioni mediatiche, non faranno seguito azioni concrete d’inserimento di questi nella vita sociale, politica e lavorativa insieme. Non più di due anni fa, il 20/06/2007, nel sito L'UnioneSarda.it veniva pubblicato un dato riguardante la disoccupazione sarda, ripreso dall’Istat, evidenziando l’aumento di questa nel trimestre gennaio-marzo 2007. Inoltre, nello stesso articolo veniva riportato un dato dell'Ocse, affermando che “in Italia il tasso di occupazione rimane uno dei più bassi al mondo, meno del 58% della popolazione in età lavorativa ha un impiego, contro più del 70% in paesi come Canada, Danimarca o Regno Unito e in ogni caso sotto la media (66,1%). Tra i 30 Paesi dell'Ocse l'Italia è quartultima”. Oggi la situazione non è migliore; si prevede che l’influsso della recessione economica del 2008 inciderà nel 2009 con la registrazione di parecchie centinaia di migliaia di persone disoccupate (600.000?) e, nel locale, i sopraggiunti problemi dell’industria sarda, già con la perdita di posti di lavoro nel mondo dell’Istruzione, non fanno altro che aggravare la realtà dell’Isola. Proprio nel Sardegnaoggi.it del 30/12/2008, in seguito alle dichiarazioni della Cisl sarda, si affermava che “[i] dati Istat sulle forze lavoro relativi al terzo trimestre 2008 rilevano un tasso di disoccupazione al 10,8% (+2,1 punti percentuali rispetto all'anno precedente). Mentre migliaia di persone vivono con un reddito insufficiente, sotto la soglia della povertà relativa calcolata in 970,34 euro mensili per due componenti. Il valore medio mensile delle pensioni sarde, infatti, è stato nel 2008 di 614,22 euro”. Insomma una situazione nazionale e regionale che la dice lunga sui problemi che i giovani devono affrontare per potersi rendere indipendenti. Ma visto che nel nostro Paese e nella nostra isola i dati e le loro interpretazioni cambiano a seconda di chi li espone, per avere una percezione minima dello stato di malessere che affligge le persone comprese tra i sedici e i trentacinque anni, perché solo questa è possibile capire se gli stessi problemi non vengono provati sulla propria pelle, allora propongo delle visite nei “quartieri poveri”, o nelle parrocchie nei giorni di distribuzione dei generi alimentari o degli indumenti, o delle interviste coi giovani laureati che stanno anni senza trovare un lavoro, o al limite lavorano saltuariamente per poche centinaia di euro; e certamente non può essere questa la precarietà che richiede la flessibilità dei giovani!
Non solo tutto questo è sconcertante, ma in molti arrivano sbandierando risposte e soluzioni in merito all’allontanamento della gioventù italiana e sarda dalla politica senza farsi alcune semplici domande quali: come mai i giovani universitari e laureati hanno difficoltà ad avvicinarsi al mondo della politica? Come mai i giovani lavoratori e disoccupati, non laureati e non universitari, hanno difficoltà ad avvicinarsi al mondo della politica? Come mai i giovani lavoratori e disoccupati sparsi per le campagne sarde, ormai sempre più spopolate, hanno difficoltà ad avvicinarsi al mondo della politica? E come mai i giovani, provenienti da situazioni di disagio, di cui spesso si perdono le tracce, e che a dire il vero non sono pochi, non si avvicinano al mondo della politica? Tutte domande importanti e doverose per problemi seri, cinicamente cronici, congeniti e ricorrenti, come alcune delle peggiori malattie!
Certamente per riavvicinare i giovani alla politica, ma soprattutto per migliorare la vita dei giovani, e conseguentemente di tutti, occorrerebbe il miglioramento della qualità della democrazia, magari con una maggiore partecipazione politica da parte di tutti, con più trasparenza amministrativa, moralità, meritocrazia e svecchiamento della classe dirigente. Però tutto diventa inutile se non cambia lo stesso mondo della politica, se non si abbandonano vecchie ideologie nate in un contesto storico e culturale vecchio di un secolo, se, anziché denigrare i propri candidati e il loro operato, magari per aver perso una competizione politica amministrativa, non si riconosce il lavoro di chi ha vinto, congratulandosi, alla maniera dei Romani quando vincevano una battaglia, che lodavano le gesta degli avversari per aumentare il proprio prestigio, o come nel mondo del calcio, pensando piuttosto a lavorare in maniera concertata, fra maggioranza e opposizione, a qualsiasi livello, per il bene di tutti.
Ma non voglio andare oltre per non cadere nell’errore già ricordato di chi parla molto e da molte risposte, per cui concludo con tre domande ed un’unica risposta: ma non sarebbe meglio abbassare l’età pensionabile creando un ricambio con un inserimento graduale dei giovani nel mondo del lavoro, attraverso un affiancamento professionale, fin dai primi anni degli studi universitari, dei pensionabili che lascerebbero il posto ai tirocinanti, e magari destinando quelle famose incentivazioni, riservate a chi decideva di continuare il lavo posticipando il pensionamento, proprio ai giovani? Ma non sarebbe meglio potenziare l’Università italiana, soprattutto attraverso giovani meritevoli e volenterosi, creando un circuito di studi che porti gli studenti stranieri in Italia e non viceversa? Ma, visto che si appoggiano le quote rosa, non sarebbe meglio inserire quote di giovani in politica, ripartendo democraticamente i posti elettorali?
La risposta certa è questa, che i giovani non si avvicinano alla politica se la politica non risolve il problema del lavoro dei giovani, dato che, proprio come scritto in “Se questo è un uomo” di Primo Levi, seppure lì in una situazione feroce, “Il lavoro rende liberi”, ma soprattutto ci rende la dignità umana e la voglia di vivere!
Se guidati dalla sincerità e dall’onestà intellettuale, sono lodevoli i politici che intendono affrontare le problematiche giovanili, ma il tempo delle parole deve passare il testimone a quello dei fatti!