LA PARTECIPAZIONE IN AMBITO TERRITORIALE: UNA VERIFICA QUALITATIVA

ANIMAZIONE E TERRITORIO

La comunità territoriale

Il termine comunità si riferisce a un sistema spaziale in cui esiste una relazione tra collettività e area territoriale, che connota la “totalità di coloro che possiedono qualcosa in comune”. “Sebbene la comunità sia oggetto continuo di studio da parte della sociologia, di essa sono stati approfonditi soprattutto gli aspetti strutturali (composizione, caratteristiche, della popolazione, densità ecc…) gli aspetti funzionali (economia, servizi, sistemi di trasporto ecc…) e quelli culturali (norme, valori, modelli di relazione ecc…). E' stata studiata poco nella sua dimensione psicologica, di sentimenti, vissuti, percezioni, cioè, proprio in quella dimensione che viene definita senso di comunità” La comunità si definisce tale quando la propria esistenza è caratterizzata da un elemento indispensabile quale l’appartenenza territoriale. “Lo spazio esistenziale offre all’uomo un’immagine stabile del suo ambiente. E’ composto di gruppi di azioni coerenti in maniera operazionale noti con il termine di schemi che, in genere, incorporano tre serie di componenti, cioè strutture elementari universali (archetipi) – che mostrano un certo grado di invarianza, – strutture condizionate socialmente o culturalmente, – certe idiosincrasie personali. Tali gruppi costituiscono, in combinazione, un sistema stabile di relazioni tridimensionali fra gli oggetti percepiti: in breve l’immagine che l’uomo ha del suo ambiente”.
“La comunità consiste di persone che interagiscono all’interno di un’area geografica ed hanno uno o più legami supplementari”, costituendo “un sottosistema socio – territoriale a confini amministrativi definiti (piccolo comune, quartiere di grande città, distretto socio-sanitario) dove si dispongono, in un mutuo scambio di influenze, individui e gruppi, ambiente naturale e ambiente costruito dall’uomo, bisogni e attività di interpretazione e di trasformazione della vita e delle risorse di cui dispone la comunità stessa”. I caratteri che identificano una comunità comprendono elementi principali quali il fattore spaziale delimitante il territorio, l’ambiente costruito dall’uomo e l’area fisica naturale circostante. “…il solo parlare di area metropolitana e non di metropoli introduce una prima distinzione ecologica, in quanto la metropoli è una grande città che conserva il carattere tradizionale della città, con la esatta delimitazione amministrativa dei suoi confini e con la differenziazione, iscritta nitidamente nel suolo, della città dalla campagna.”. Il territorio consiste in tutti gli elementi contenuti nell’ambiente artificiale: i segni della comunità. L’area geografica non solo offre le risorse indispensabili alla vita e allo sviluppo della collettività, ma soprattutto costituisce la base fondamentale su cui poggia la comunicazione tra individui e l’organizzazione dei rapporti sociali “Nel concetto di comunità assumono rilievo, al di là del fenomeno puramente aggregativo, connotazioni sociali e psicologiche (senso di appartenenza, interessi comuni, atteggiamenti partecipativi) a cui viene generalmente attribuito un valore positivo sia sul piano dello sviluppo personale, sia sul piano delle relazioni sociali. Proprio per il fatto di rappresentare di per se stesso un valore, nel concetto di comunità si sono globalmente riassunte le condizioni e le finalità sociali del processo educativo. La vita della comunità (…) costituisce il contenuto della nozione di ambiente nel suo significato educativo’ ( Borghi L. 1964, p. 16); in quanto garantisce quel clima di socialità che ‘è primario fattore costitutivo della personalità, rappresenta la dimensione educativa della società. (Borghi L., 1964, p.3)”. Il secondo elemento caratterizzante la comunità è quello psicologico, che esprime l’insieme dei rapporti di interdipendenza esplicantisi nell’ambito dell’unità spaziale, caratterizzati da sentimenti comuni interagenti con i relativi scambi di attività che si sviluppano in una pluralità di individui legati ad un certo intento di aspirazione. Queste tipologie di rapporto sono caratterizzate anche da sentimenti, apparentemente negativi di competizione e di conflitto che si rilevano necessari per il cambiamento ed il progresso. “Il quartiere non va tanto definito in termini giuridico-amministrativi quanto piuttosto in funzione dei rapporti umani quotidiani, dei ritmi di vita, delle relazioni inter e intra famigliari, dei rapporti tra le generaziopni e tra le diverse categorie sessuali e sociali. Tradotto in termini di pratica questo significa che la nozione di quartiere richiede di essere definita nuovamente. Il ‘quartiere’ può essere sostituito dal concetto di comunità o anche di campo di intervento, e diviene, allora, un’entità che agisce in relazione ad altre unità e in riferimento ad un sistema totale. Una comunità è dunque una città, un quartiere, un villaggio, una sezione di un partito. In base a questa definizione la comunità implica legami di parentela, rapporti di parentela rituale, rapporti di amicizia, relazioni di vicinato, aggregazioni di gruppo di vario genere sulla gestione della comunità stessa.”. Il modello tipico delle relazioni sociali instauratosi nella comunità tradizionale, come per esempio quella rurale, è stato messo in crisi dal dilagante processo di urbanizzazione e industrializzazione. “La società moderna è l’unica, tra tutti i tipi di società conosciuti, per il fatto che attenua e mette in discussione, secondo la sua propria logica, ed, eventualmente, anche elimina la sacralità o intangibilità di ogni sistema di valori, istituzioni, norme, modelli di comportamento”.

Rivalutazione della collettività sociale

I modelli di vita elaborati in città hanno goduto di un crescente prestigio rispetto a quelli custoditi dalle tradizioni rurali, individuando, come caratteristica peculiare del fenomeno urbanizzazione un certo stile di vita diffusosi tramite la comunicazione di massa. Nel corso della storia il nucleo urbano è sempre stato identificato dai gruppi sociali, come sinonimo di libertà, di emancipazione, identificando la spazialità organizzativa ad essa connessa, come strumento di formazione e di socializzazione, fulcro propulsore delle innovazioni e conoscenze umane “Innovazione, spirito critico, partecipazione consapevole, esercizio di libertà e non conformismo: tutto ciò hanno dato le città, specie d’Occidente, nel passato. Tale peculiare funzione culturale innovativa della città ha, come condizione essenziale, un’ambivalenza, che è polarizzazione di valori e di tendenze, di integrazione e di conflitto, di socializzazione e di privato associarsi in piccoli gruppi, senza mai soluzioni o dilacerazioni definitive”. L’abitante del nucleo urbano interagisce, relazionandosi con le diverse realtà costituite da gruppi di individui, sulla base di interessi comuni, indipendentemente da fattori localizzativi. Nella comunità tradizionale, invece, il sistema delle interazioni personali, parentali, amicali, lavorative, si sviluppano nell’ambito di aree geografiche ristrette, al cui interno le unità socio-spaziali, (il vicinato costituito, per esempio, dai conviventi nello stesso cortile) erano idonee a preservare i sentimenti di solidarietà locale. All’interno del contesto sociale urbano industriale, la più importante sfera di relazioni informali per i residenti non è più costituita dal vicinato. Questa situazione di incomunicabilità è inoltre caratterizzata dalla presenza massiccia di gruppi etnici diversi tra loro, con conseguenti problemi di rapporti con la città costituita da relazioni e strutture definite nell’ambito del gruppo sociale urbano. “ Le scienze sociali contemporanee (…) hanno affrontato da vari punti di vista ciò che avviene quando entro un’area culturale compare lo ‘straniero’. Si è indagato sulle posizioni sociali che finisce con l’assumere, sui processi di integrazione, sulla emarginazione, sulla tangenzialità che, in certe situazioni gli è propria, sull’atteggiamento nei confronti degli stili di vita e degli orientamenti fondamentali delle comunità ospitanti.”.
La mobilità sociale, il sistema delle comunicazioni, lo sviluppo dei trasporti sono tutti fattori che incentivano la popolazione ad una sistematica organizzazione delle attività caratterizzate da una maggior specializzazione e dispersione nello spazio. L'evoluzione del contesto urbano, identificabile in una costellazione di centri differenziati di attività, ha enormemente dilatato i confini dell'area quotidiana, tipici della comunità rurale. La struttura della comunità si è trasformata, alternando la natura esistenziale al suo interno, provocando un cambiamento nelle relazioni interpersonali e la radicale modifica dei modelli di vita. Gli anni '80, aprono l'era della società post-industriale, un'epoca di transizione in cui il problema centrale del soggetto consiste nel ritrovamento di unità, cioè di identità. A livello territoriale si pone l'esigenza di ricomporre un tessuto lacerato, perchè diventi supportivo ed arricchente per l'esistenza degli individui. “Contro i miti del primato dell’economico e dell’individualismo, contro i tentativi di omologazione internazionale, si vanno oggi riscoprendo i valori dell’identità personale, culturale, sociale e quindi i valori della comunità. Il bisogno di radicamento è sotteso all’attuale insorgenza del fenomeno dell’associazionismo, del volontariato, dell’etnicità, delle liste civiche. Nell’associazionismo e nel volontariato si riconoscono attività pratiche, materiali, capaci di ristabilire legami sociali e simbolici, di rigenerare un senso di comunità, per ricolmare le fratture tra i comportamenti di produzione, di consumo, di residenza, ricomponendo in questo modo il senso unitario del vivere”.
In questo tentativo di ricomposizione diventano compresenti il passato ed il futuro in tutti i settori sociali dall’assetto politico a quello urbanistico, in un’ottica di recupero dell’ambiente storico; “La politica residenziale ed il ruolo che si è lasciato assumere, da parte del potere pubblico, all’attività edilizia privata, sono cause principali di tale degrado e di tale distruzione, nonchè dei gravi fenomeni di sovra e di sotto-utilizzazione del nostro patrimonio edilizio (…). Dovrebbe risultare evidente che si è ben lungi dall’avere intrapreso una politica per il recupero. (…)La stessa strumentazione normativa è del tutto inadeguata e mistificante rispetto ai problemi del recupero: fino a quando essa non sarà in grado di investire globalmente e in modo specifico il patrimonio edilizio esistente, con strumenti che ne regolino e ne gestiscano pubblicamente l’uso, una politica del recupero non potrà esistere. Se questo è l’emblema del traguardo, è evidente che il recupero potrebbe tuttavia rivelarsi operazione inagibile, per mancanza di altre condizioni oggi sottovalutate: da una politica di ‘educazione culturale’, ad una politica atta ad incidere sulla produzione di materiali e di mano d’opera adeguata”. Il luogo privilegiato di questa ricerca non si identifica più con lo Stato o con il soggetto, ma con il microcosmo della comunità territoriale. Il motivo principale della scelta della comunità territoriale come spazio privilegiato per la ricerca di una nuova unità, consiste nel ripensamento post-riflusso dell'uomo in quanto essere sociale collocato in uno spazio sociale. “La qualità dell’ambiente, la sua diversità è riproducibile solamente attraverso legami sociali e, in particolare, attraverso coesioni territoriali di interessi economici, di tradizione e di cultura e non attraverso l’attribuzione funzionale di ruoli a parti del territorio. (…) Non esistono ‘ricette’ per la politica territoriale: vale piuttosto un invito generale verso un consapevole riconoscimento dei crescenti fenomeni di inter-relazione, che tuttavia sappia mantenere una capacità critica verso quei processi che, in modo spesso implicito, tendono ad addomesticare e ad omologare le differenze”. Il nodo problematico dell’inserimento dell’individuo nel contesto esosistemico si presenta come una possibile esplicazione di una alternativa più generale nei processi insediativi tra omologazione dei paesaggi umanizzati e valorizzazione delle differenze e delle specificità locali. “Una politica insediativa” deve saper offrire “un punto di incontro tra riflessione disciplinare geografico-urbanistica e costruzioni di senso dei soggetti locali non solo attraverso un continuo ascolto dei processi autoorganizzativi, delle pratiche spaziali degli abitanti e delle modalità di percezione dello spazio dei soggetti locali, ma anche stabilendo un’intersezione tra indicazioni tecniche e progettualità della popolazione insediata. Tutto ciò nella convinzione che la qualità urbana o ambientale di un luogo non risiede nella semplice definizione formale dello spazio fisico e neppure nella sola ricchezza dei legami sociali, ma in un reincontro tra soggetti e luoghi, in una ricostruzione all’interno del gruppo umano insediato di qualcosa di anteriormente condiviso, alla resistenza e al rinnovo di codici tipologici, di regole locali, di linguaggi costruttivi collettivamente elaborati e rispettati”.
Dopo un decennio (anni 70) in cui è prevalsa la concezione secondo cui il collettivo attribuiva senso al soggetto e dopo il periodo (anni 80) in cui si è delineata l'idea secondo la quale il soggetto può trovare significato solo fuori dal collettivo, negli anni '90 potrebbe riaffiorare l'ipotesi riconciliativa di queste due dimensioni umane. Il soggetto non è in contraddizione con il contesto sociale perchè il senso implicito a entrambe le dimensioni, individuale e collettiva, consiste in una interdipendenza costante delle stesse. Ma in questa concezione diffusa al livello di una nuova mentalità operativa, l'aspetto sociale non è più inteso come contesto astratto, identificabile con lo stato, o in accezione ideologica, assimilabile al partito, ma come insieme di relazioni che influenzano il singolo, definendosi mediante il concetto di comunità.
Un altro motivo della rivalutazione della comunità territoriale consiste nell'ipotesi secondo cui, il contesto collettivo, in quanto ambito della vita quotidiana, possa contribuire ad arricchirla e a renderla migliore, almeno in termini potenziali. Nella società contemporanea si affaccia la nuova ipotesi per cui la qualità della vita non può essere affidata in esclusiva allo stato nè essere delegata al singolo, ma si ritiene che un miglioramento dell'esistenza umana parta dal presupposto del rinnovamento della comunità territoriale, in termini di valori di umanità, solidarietà e progettualità. La comunità territoriale in quanto spazio per la nuova sintesi della fase post-moderna, si configura come centro focalizzatore dell'attenzione del lavoro sociale di animazione, in quanto si caratterizza come ambito agibile, permettendo contatti diretti tra le persone, i gruppi e le organizzazioni che operano in essa, dei cui problemi può farsi carico essendo una realtà collettiva. “Costruzioni, ampliamento, restauro e ricostruzione delle città, toccano molti e complicati problemi sociali, sui quali, oggi, solo la disciplina competente, cioè, la sociologia, può legittimamente dare un giudizio. La collaborazione su concrete questioni di urbanistica incontra però delle difficoltà che non di rado vengono sottovalutate. Queste non risiedono solo nella lentezza di molte amministrazioni cittadine, le quali si oppongono al lavoro collegiale che esorbiti i limiti di specifiche competenze…”. “La proposta di iniziative di salvaguardia ambientale inevitabilmente riferite a specifici territori, ma rapportate alla dinamica complessiva degli spazi circostanti è, oltre che una tendenza, una necessità della civiltà urbana industriale e post-industriale. Necessità e tendenza che postulano rapporti compatibili con la totalità delle risorse naturali e che impongono l’accesso ad una nuova etica territoriale fondata su una integrazione ed un rapporto consapevole dell’uomo con l’ambiente”. La comunità è uno spazio caratterizzato da una identità storica e sociale, nella difesa di spazi e luoghi appartenenti al passato, sufficente per alimentare un sentimento di appartenenza e di identificazione locale e territoriale, fornendo ai soggetti la possibilità di difendersi dai rischi di alienazione e spersonalizzazione derivanti dall'organizzazione burocratica statale e produttiva, ricomponendo l'unità dei continuum dell'individuo, non potendo essere segmentata in ruoli limitati (per esempio il bambino, il genitore, lo studente, il lavoratore ecc…). “L’adulto è storia di formazione e, questa storia, giorno per giorno, si è alimentata di vissuti ludici e continua ad alimentarvisi in forme le più disparate, e tale da consentire al ricercatore idiografo di tracciare identikit interessanti della dimensione ludica nell’età di mezzo. E’ quanto, con la ricerca esplorativa, si è inteso fare; per aggiungere, all’ipotesi da noi perseguita sui continuum vitali, qualche constatazione empirica. Una prospettiva di ricerca, questa, con la quale si intende sottolineare l’intrinseca plasticità, nelle diverse fasi della vita, di alcune costanti esperienziali nel corso delle quali, pur di fronte a mutazioni e cambiamenti, esse si ripropongono in forma di palinsesto. Sul quale, al di là delle innumerevoli cancellature e riscritture, sono sempre rintracciabili gli elementi essenziali con i quali il soggetto può stilare la propria, personale, sceneggiatura”. A partire dagli anni ‘70, nel nostro Paese, è iniziato un grosso processo di trasformazione, in senso democratico, del vecchio stato centralistico. L’articolo numero cinque della Costituzione italiana afferma che “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali: attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo, adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”. I concetti di decentramento e di partecipazione citati nella costituzione, hanno permesso un graduale avvicinamento alla comunità locale, sia regionale che comunale. Questa rivoluzione di decentramento inizia con l’istituzione delle Regioni nel 1970. “Nel 1976 con la legge n 278, Norme sul decentramento e sulla partecipazione dei cittadini nell’amministrazione del Comune, viene generalizzato sul territorio nazionale il principio di ‘decentramento comunale’ allo scopo di promuovere la partecipazione popolare alla gestione amministrativa della comunità locale; nascono così i consigli circoscrizionali con potere di rappresentanza delle esigenze della popolazione del quartiere con funzioni sia consultive, sia deliberative”.
Le unità sociali del territorio (associazioni, sedi di partito ecc…) rappresentano luoghi potenziali per lo sviluppo di momenti aggregativi che possano attribuire significato all’anonima esistenza urbana, dal momento che l’area metropolitana non sembra più presentare, come caratteri tipici, il senso di appartenenza e di libertà.
Nel 1978 viene emanato il D.P.R. n 616 con cui è stabilita un’importante coordinazione tra le Regioni che devono prevedere forme di associazione tra i comuni e la programmazione nazionale. In uno dei punti più importanti del decreto, è menzionata la rivalutazione del servizio sociale, intendendo con tale espressione la possibilità di ampliamento del complesso di attività svolte dalla comunità, tendenti ad assicurare al cittadino, non solo il proprio benessere fisico, mediante l’organizzazione di servizi di assistenza sanitaria, ma anche la propria elevazione morale ed intellettuale. “Il modello istituzionale dei rapporti tra cittadini ed istituzioni che ci si presenta, dopo l’entrata in vigore di tali leggi, è assai diverso da quello tradizionale in essere negli anni scorsi. La logica del nostro legislatore non è quella di incanalare le spinte provenienti dalle istanze sociali entro schemi istituzionali prefissati come in passato, ma il disegno è opposto, cioè di ‘valorizzare le libere forme associative’, di assecondare i fenomeni di associazionismo e di volontariato non adeguatamente rappresentati nell’attuale sistema politico”. In conclusione esiste un apparato legislativo che prevede norme di tutela e sovvenzionamento in favore dell’associazionismo culturale, ma molto spesso l’applicazione di tali decreti è offuscata da una soffocante burocrazia che ne impedisce l’espletamento in senso strettamente operativo.

Il territorio come contenuto del programma di formazione

“La nozione di territorio, tradotta in termini operativi, assume dei significati. Innanzitutto il territorio come luogo dell’azione: si deve delimitare un’unità territoriale economicamente, socialmente e culturalmente circoscritta, che presenta problemi concreti e specifici e che tenta di definire le linee di uno sviluppo possibile. Va da sè che l’azione di formazione si deve riferire a queste situazioni e contribuire alla loro evoluzione. In secondo luogo il territorio come luogo di partecipazione, soprattutto all’impianto delle attività di formazione. Si parte dal presupposto che nessuno meglio di chi vive in una determinata zona conosce i problemi che vi si pongono e i bisogni della popolazione, anche quelli formativi e culturali. Si è convinti inoltre che l’azione non possa riuscire se tutto l’ambiente non vi è coinvolto. In terzo luogo il territorio come contenuto del programma di formazione.Gli adulti si impegnano in un’attività di formazione solo se hanno la speranza di trovarvi una risposta ai loro problemi, nella loro situazione. Ciò richiede che si parta dai problemi di vita e di lavoro e che l’attività di formazione assuma l’aspetto di un approfondimento di tali problemi attraverso tutte le conoscenze necessarie. Ma poichè i problemi di vita e di lavoro sono quelli che nascono e si pongono nei luoghi in cui si vive, è il territorio che, come ambito della vita produttiva e residenziale, diventa l’oggetto, il contenuto della formazione. E, quindi, sono i problemi del lavoro, della casa, dei trasporti, dei servizi, della sanità, del tempo libero, della scuola, del consumo culturale, dell’emarginazione che vengono in evidenza. D’altra parte soltanto se si fa del territorio il contenuto della formazione si possono ‘incontrare’ quei nuovi soggetti che, nella situazione di oggi, diventano sociologicamente e politicamente sempre più rilevanti: i giovani, le donne, i lavoratori precari, i sottooccupati, gli immigrati. La nozione da utilizzare è quella di formazione secondo momento rispetto ad un primo che è il territorio, la vita quotidiana”.

Il senso di appartenenza alla comunità

All’interno di un contesto comunitario, definito come tale, il senso di appartenenza che prova l’individuo consiste in una percezione relativa alle qualità delle relazioni vissute all’interno del contesto stesso. “Se è vero che l’attaccamento al territorio non è un fattore assoluto della identità socioculturale di un gruppo e della ‘personalità di base’ dei suoi membri (fenomeni migratori), tuttavia è altrettanto vero che uno spazio fisico, un paesaggio, non assume i caratteri del territorio in termini geografici ed antropologico-culturali, se non è investito da un ‘complesso di rapporti sociali, di abitudini, di riti, di credenze’, che determinano uno stretto rapporto economico, sociale, affettivo con esso; mentre ‘il senso della territorialità non può essere disgiunto dalle istituzioni stesse, famiglia, villaggio, comunità’ che costituiscono ed esprimono l’appropriazione fisica, economica, giuridica di un ambiente geografico”.
La percezione di appartenenza ad una comunità territoriale è un dato soggettivo, un sentimento che permette all’individuo di sentirsi parte di una unità significativa di azioni e interrelazioni tra soggetti. Gli individui, per superare la solitudine e l’isolamento, stati d’animo manifestati dal crescente bisogno di compensare gli aspetti impersonali e minaccianti della vita moderna, vogliono trovare, anche inconsciamente, una identificazione reciproca con gli altri, basata su legami di diverso tipo, nella condivisione di interessi, bisogni, valori e storie di vita, ricercando un senso di appartenenza alla collettività, coltivando rapporti significativi in contesti che permettano di sperimentare il vissuto del senso di comunità. Questo bisogno di appartenere ad un gruppo, ad una comunità per identificarvisi, atteggiamento che si riscontra soprattutto tra i giovani, è dimostrato dall’incalzante proliferazione di associazioni di volontariato sociale e culturale sul territorio. Uno dei problemi più urgenti che la società moderna deve affrontare, consiste, appunto, nella perdita del senso di comunità che conduce gli individui all’alienazione, al disimpegno nei confronti del sociale e della politica, alla divisione della collettività, alla frammentazione dell’integrità morale, alla dispersione di forze intenzionali.
Il senso di comunità è identificabile con un insieme di valori paragonabile ad uno stretto legame di unione tra i vari individui, soggetti al bisogno universale di una rete di relazioni mutualmente supportive ed immediatamente disponibili. Tale senso di appartenenza ad una collettività può essere definito come risultato di un investimento affettivo e fattore di motivazione dello stesso, essendo un vissuto, sperimentato da persone appartenenti alla comunità, che evidenzia la percezione di condivisione, di scambio e di reciprocità dei legami affettivi. Questa partecipazione emotiva costituisce una forza che agisce all’interno di una comunità, influenzando la vita degli individui, essendo influenzata, a sua volta, da altri fattori. Il sentirsi comunità è un sentimento che i membri di una collettività provano sentendosi importanti vicendevolmente all’interno del gruppo, nella fiducia condivisa che i bisogni e gli obiettivi saranno soddisfatti e raggiunti con l’impegno dell’unione. E’ un senso di “connessione emotiva condivisa” che rappresenta l’impegno reciproco assunto dagli individui al fine di alimentare e realizzare i valori e gli obiettivi comuni.

Modalità relazionali dei gruppi

L’inserimento in un gruppo implica il delicato e difficoltoso rito dell’ammissione, ma questa appartenenza appaga dal momento che offre vantaggi, rappresentando una reale protezione e garanzia. L’identità individuale si forma anche sulla base di appartenenze significative che costituiscono l’elemento principale dell’immagine che abbiamo di noi stessi e che trasmettiamo agli altri. L’appartenenza presuppone l’esistenza di confini delimitanti un gruppo che possono risultare rigidi e impermeabili o flessibili. Maggiore è il grado di sicurezza all’interno del contesto, minore è l’esigenza di protezione mediante l’irrigidimento dei confini. “Già scarsamente legittimate da uno Stato che volendo rappresentarle tutte non può rappresentarne nessuna, le associazioni nella società contemporanea sono scisse fin dalle origini tra due opposte necessità di rappresentanza: verso le altre associazioni e verso lo Stato. Le espressioni di tale duplice rappresentanza sono inevitabilmente ambigue e riflettono all'interno, con effetti dissociativi, la loro ambiguità. Presa nel conflitto con altre associazioni, nessuna di esse può scordare che decisioni vincolanti per tutte possono venir prese soltanto dallo Stato. Ogni associazione guarda con un occhio al partner con cui è in conflitto e con l'altro allo stato, da cui si attende appropriati segnali per una soluzione a sè favorevole; in tale strabismo strutturale vanno perse anche le funzioni coesive del conflitto”. I gruppi per stabilire le proprie delimitazioni identificano al loro interno dei membri definiti devianti, perchè si trovano, costantemente, in prossimità dell'espulsione, indicando il limite di tollerabilità entro cui ogni individuo può muoversi con libertà all'interno del contesto “Intanto gli attori individuali in questi attori collettivi (le associazioni) sono sottoposti a continue pressioni per essere o diventare altro da quello che sono. Nessuno sente d'aver diritto alla propria socializzazione dove il solo modello pienamente legittimo di socializzazione è quello a-storico proposto dallo Stato. Essere quel che ci si sente di essere, perchè plasmati per azione o reazione da una data formazione sociale, è un sotterfugio, non un diritto, se nessuna formazione corrisponde in concreto a un modello ideale sancito da una scala di valori, traendo da essa un diritto indiscusso all'esistenza, mentre ciascuna nega alle altre la capacità di rappresentare una scelta di vita. La risposta a quella logica totalizzante è la dissociazione, individuale e collettiva: tra le persone e dentro la persona”. Le funzioni prioritarie della predisposizione di confini, consistono nel provvedere alla sicurezza emotiva, alla protezione reciproca dei membri del gruppo e alla stabilità economica. Considerando un gruppo o una comunità, l'energia liberata dalle funzioni garanti di sicurezza interna, può essere destinata alla soddisfazione dei bisogni sociali di relazione, collocabili, a livello di importanza, subito dopo l'esigenza di sicurezza e di appartenenza ad un gruppo, ricoprendo al suo interno un posto ed un ruolo ben precisi. Questa situazione permette di appagare i bisogni di relazione in una condizione favorevole, che non implica il rischio dell'espulsione e del rifiuto. Lo stato di appartenenza implica l'identificazione, per il soggetto, in un ruolo, all'interno del gruppo, tramite cui essere accettato dai membri e riconosciuto come soggetto disponibile all'impegno e al sacrificio, nell'interesse della collettività. L'identificazione del soggetto con il gruppo comporta il riconoscimento nell'identità collettiva dello stesso e nelle peculiari caratteristiche che lo differenziano da altri. L'investimento affettivo che un individuo appronta nei confronti del gruppo si verifica in base alla presenza delle sopracitate condizioni, necessarie per l'esistenza di un sistema organizzato: la presenza di confini, la sicurezza che questa permette e l'identificazione. Il soggetto che decide di entrare a far parte di una comunità organizzata deve impiegare un certo livello di investimento emotivo al fine di costituire parte attiva, operante ed utile all'interno del contesto. L'investimento di risorse ed energie personali risulta un fattore indispensabile, che contribuisce, in grande misura, ad incentivare il senso di appartenenza e di comunità in un contesto associazionistico. In una società che attribuisce grande valore al denaro e al possesso materiale, considerando un diritto l'avere tutto subito, dal momento che non conferisce sufficente significato al dovere e al sacrificio, l'iniziativa collettiva e l'impegno socioculturale non trovano spazi adeguati. Produrre cultura significa 'seminare' valori utili all'intera collettività territoriale, tramite un assiduo lavoro che richiede impegno e fatica costanti. La gente non considera un buon investimento prodigarsi per la comunità, perchè tale compito non comporta un tornaconto remunerativo in termini materiali, dal momento che richiede abnegazione e implica un atteggiamento, da parte dell'incaricato, che metta in secondo piano l'interesse prettamente individuale e l'esigenza di affermazione personale, per proiettarla, senza pretese o aspettative di sorta, al servizio dell'intero contesto collettivo. Tale fenomeno si spiega con la teoria della “dissonanza cognitiva”, per cui, negli individui, si presenta il bisogno di evitare lo stato psicologico di disagio derivante dall'esperienza di due convinzioni contraddittorie tra loro. In questo caso si tratta del contrasto tra la percezione del proprio investimento di sacrificio personale e quella relativa al valore e all'importanza del gruppo. La dimensione collettiva, all'interno di una società che attribuisce maggior valore all''avere' piuttosto che all''essere', è spesso considerata un contesto che produce frustazioni e su cui non è convegnente 'spendersi' in termini di impegno e fatica. Di conseguenza un elevato investimento nei confronti di un gruppo, considerato, per questi motivi, di poco valore, produce dissonanza e disagio. L'individuo per ristabilire una corretta situazione di equilibrio esistenziale, deve modificare una delle due convinzioni, cambiando o la valutazione del suo grado di impegno, o la valutazione negativa nei confronti dell'associazione cui appartiene.

Animazione e fenomeno partecipativo.

Gli operatori sociali, che promuovono interventi di animazione sul territorio, devono considerare l'intera comunità ed ogni sua parte come 'utente'. L'operazione socioculturale non comporta un'azione di recupero d entrato sul concetto di disagio, ma su quello di normalità. E' dunque necessario lavorare verso il 'sociale normale' per modificare quella qualità di vita che è direttamente o indirettamente alla base delle situazioni di disagio. Questo non significa deresponsabilizzare il singolo 'proteggendolo', ma intervenire sul contesto a cui appartiene perchè sia quest'ultimo, attivando le sue reali risorse, a farsi carico delle problematiche presenti e a dare loro una risposta globale”.
“Esiste storicamente una relazione di contrapposizione tra educazione ed animazione, dove quest’ultima era vista come il superamento dei caratteri moralistici, ideologici, di rigidità propri dell’educazione. E’ questa una visione ingenuamente contrappositiva e riduttiva”.

Aspetti educativi dell’intervento socioculturale di animazione

Occorre andare “al di là delle resistenze che il concetto di educazione può suscitare se inserito nel concetto di animazione, mettendo tra parentesi, il problema dei fini”. Non si tratta di un intervento risolutivo di tutti i problemi di devianza e di emarginazione che costituiscono le zone d'ombra di un territorio, anche se in certi momenti può diventarlo. Quest'ultimo tipo di promozione sociale può rivelarsi inevitabile, ma come momento specifico di un intervento globale, da parte dei pubblici poteri, tramite specifici servizi, rivolto alla popolazione territoriale nel suo complesso e nella particolarità dei suoi problemi. Tale condizione, attribuita ad attività di promozione culturale, connoterebbe l'animazione come operazione terapeutica e riparatrice, contraddicendo il vero intento della stessa, in quanto azione sociale rivolta a stimolare, nei confronti della dimensione collettiva, una propria acquisizione di coscienza e ad arricchire le facoltà implicite in ogni individuo appartenente e a sviluppare le potenzialità creative della comunità. Si è tentato di classificare “tre approcci” di animazione socioculturale “sulla base delle caratteristiche tipiche dei loro metodi. L'approccio evasivo si fonda abitualmente sul metodo autoritario e totalitario: il potere, il governo, il tecnico danno all'utenza prodotti preconfezionati, seduttivi ed evasivi perciò ottundenti, tesi alla cattura del consenso sorridente. L'approccio ludico e creativo si fonda su una metodologia direttiva e tecnicistica: l'animatore, l'esperto guidano verso traguardi predeterminati; raggiungibili mediante l'acquisizione di tecniche oppure seguendo l'esempio di qualcuno, nella convinzione ironica che la vita possa migliorare solo imparando il “come si fa”. L'approccio territoriale si fonda sulla metodologia politica della partecipazione: l'animatore, l'esperto, l'ente locale stimolano la comunità ad interrogarsi, riconoscere i propri bisogni e reperire le risorse, per attuare il potenziale ed il possibile, lasciando agli utenti la responsabilità di scegliere, offrendo loro solo gli strumenti richiesti. Il dialogo, anche conflittuale, i collegamenti e le interrogazioni sono i cardini di questo metodo”. Il vero intervento di animazione socioculturale si rivolge a persone senza particolari problemi, oltre a quelli della vita di tutti i giorni. In questo senso l'animazione si distingue dall'assistenza, dall'azione caritativa, dalla rieducazione. La prevenzione delle disfunzioni e delle patologie sociali costituisce l'obiettivo cardine dell'operazione culturale, rivolta al territorio, intenta al miglioramento della qualità di vita, al potenziamento e allo sviluppo delle risorse umane e ambientali disponibili. L'intervento di animazione non deve, dunque, prendere le mosse da una particolare situazione di disagio sociale, ma deve rivolgersi alla complessità dei problemi scaturiti dai rapporti comunitari. L'operazione più importante che la promozione socioculturale è in possibilità e in dovere di approntare, a livello territoriale, consiste nel recuperare ed incentivare il senso di comunità, il cui contesto costituisce una 'chiave di volta' per la ricerca di una nuova sintesi della società post-industriale, in quanto si configura come dimensione agibile e progettabile. “Da un punto di vista più tradizionalmente spaziale, ogni insediamento umano deve avere due caratteristiche: essere circoscritto nello spazio e durare un determinato lasso di tempo. Sulla base di alcuni principi di organizzazione primaria gli antropologi hanno individuato, fra i raggruppamenti umani più importanti, i gruppi territoriali, definiti appunto come un insieme di individui legati dalla consapevolezza di condividere, per un periodo di tempo determinato, lo stesso insediamento territoriale”. La comunità territoriale, per assumere caratteri fruttuosi e positivi, non deve presentarsi esclusivamente come spazio amministrativo e giuridico, ma come ambito di appartenenza. ”Nel modo come se ne parla oggi, la nozione di territorio va ben oltre la realtà geografica e morfologica. Il territorio non è neppure riducibile ai confini giuridico istituzionali degli enti locali in genere. C'è anche un poco di tutto questo, ma lo spazio delle unità locali, degli operatori sociali, fa riferimento non solo a realtà di superficie, ma anche e soprattutto a contenuti di qualità oltre che di quantità della vita e dell'azione sociale”. E' necessario che i gruppi ed i soggetti che ne fanno parte condividano il comune sentimento di appartenenza ad un sistema caratterizzato da una identità ben precisa e da specifici punti di riferimento, costituenti l'essenza unitaria dello stesso. Nell'ambito di un territorio deprivato del senso di comunità, non è possibile agire ed operare in relazione con i gruppi e gli individui, che, solo apparentemente, fanno parte, appartengono a una circoscrizione determinata da confini delimitanti una realtà denominata paese, in modo convenzionale. Il senso di comunità e di appartenenza ad uno specifico territorio corrisponde alla percezione che ogni singolo possiede della propria identità, senza la cui consapevolezza, gli individui vivono nel malessere, nel disagio, perchè le varie realtà collettive sono disgregate. Nelle grandi aree urbane il territorio risulta simile ad un soggetto psicotico perchè frammentato, alienato da relazioni umane e incapace di comunicare e progettare. In questo caso si connota come intervento indispensabile la ricostruzione dell'identità e dell'unità territoriale.

Il recupero del senso di comunità e di partecipazione

Ogni discorso inerente la pratica dell'animazione risulterebbe indeterminato, privo di un autentico significato operativo, se non si precisasse l'obiettivo politico principale, identificabile nel processo di partecipazione attiva degli utenti “Ovviamente non tutte le ‘parti sociali’ possono essere disponibili fin dall’inizio ad un processo di collaborazione, attivazione e partecipazione; l’importante per chi si accinge a lavorare in questi ambiti è tenere sempre presente e tentare di coinvolgere queste ‘parti’ nel processo che si pensa di sviluppare o che si sta sviluppando. Intesa in questa accezione la partecipazione diventa essa stessa un obiettivo da perseguire attraverso le attività connesse a questa funzione, e diventa obiettivo primario attraverso il quale perseguire azioni preventive realmente incidenti sul tessuto sociale della comunità interessata”. “Il concetto di ‘partecipazione’ è relativamente recente. Di esso si avvalgono differenti discipline: se ne è occupata la sociologia, per indicare il ruolo spettante ad un individuo nello svolgimento dell’attività in un gruppo; la scienza politica, per designare il concorso dei singoli all’esercizio del potere politico; la scienza giuridica, per individuare la posizione che l’ordinamento giuridico accorda ai cittadini nella gestione della cosa pubblica. Comune denominatore è il diritto generalmente riconosciuto agli uomini di prendere parte ai processi decisionali che, direttamente o indirettamente, li riguardano”. L'esigenza crescente di una democrazia partecipativa diretta a sbloccare la situazione di immobilismo, di segregazione tra politica e società, creata dalle tradizionali forme di gestione pubblica indirette, puramente rappresentative, sorrette da una struttura burocratica piramidale, si è rivelata come fenomeno dilagante tra l'opinione pubblica, motivato dal crescente processo di acculturazione. “Partecipare significa, nello stesso tempo, 'prendere parte' e 'far parte', e cioè, tanto ricevere che dare. Fondamentalmente sussiste l'idea di uno scambio”. “La partecipazione consiste nell’istituzionalizzazione del concorso dei cittadini nella gestione politico-amministrativa della cosa pubblica per democraticizzare l’amministrazione e per tentare di modificare quel rapporto di separazione tra società civile da una parte e organi di governo dall’altra”. Il problema della partecipazione, non solo a livello territoriale specifico, ma soprattutto su scala nazionale, implica un'azione culturale finalizzata alla formazione di una nuova e più consapevole coscienza individuale e collettiva a riguardo, in termini, non solo di sviluppo di presupposti soggettivi, ma nella considerazione di un diverso rapporto tra cittadino e pubblica amministrazione, tra pubblico e privato, chiamando in causa la questione del decentramento, sopra trattata “L’animazione socioculturale è anche il luogo dell’ambiguità, e i dibattiti e i conflitti che si sviluppano al suo interno sono il riflesso di dibattiti che agitano il sistema sociale nel suo insieme. Essa è partecipe dello sviluppo culturale di una società, cioè degli individui e dei gruppi che la compongono, (…) essa si basa su una concezione della partecipazione e della creazione che” trovano “la loro fonte nel popolo stesso”. In sostanza, occorre un rinnovato sistema che integri le tradizionali forme di partecipazione indiretta con quelle dirette, così da garantire una tangibile e concreta distribuzione del potere e, contemporaneamente, la valorizzazione delle spinte aggregative provenienti dal basso, dalla collettività di base. Per quanto riguarda l’approccio metodologico della partecipazione locale. “Innanzitutto i portatori di un contenuto problematico non sono identificabili in una sola categoria di popolazione, di operatori e di strutture locali: alcuni di tali problemi possono essere maggiormente presenti o diversamente percepiti da alcuni rispetto ad altri; ma un problema locale in quanto tale è un carico di tutta la collettività: incide al positivo e al negativo sulla vita di tutti. Di qui la necessità che la lettura del problema ‘in situazione’ venga fatta attraverso e da tutti i suoi portatori locali; così pure il suo uso didattico e politico per l’innalzamento dei livelli di conoscenza e dei livelli di vita della popolazione non può non investire, in termini e in modi differenti, i diversi soggetti locali”.
Relativamente a tali tematiche si sono incontrate e scontrate varie forze politiche, sociali e sindacali. Mentre si sviluppava il dibattito sugli obiettivi e le modalità delle dinamiche partecipative, non esisteva, al contempo, un reale sostegno alla partecipazione. “La democrazia partecipativa consente di sintetizzare la sfera privata e quella pubblica, il mondo del lavoro e quello politico, i sindacati rinnovati e i rinnovati partiti, superando la crisi di credibilità nei confronti dei poteri da parte dei cittadini ed aprendo nuove e seducenti prospettive di elevazione e di progresso morale e civile a tutti i livelli degli individui e dell'intera comunità”.
La comunità locale ha la possibilità di recuperare la propria autentica funzione promotrice nell'ambito dei processi aggregativi, su basi più concrete e meno ideologiche, dal momento che l'acceso dibattito, a livello nazionale, relativo a tale questione si è momentaneamente assopito, lasciando spazio a problemi concreti di degenerazione del tessuto sociale, che appaiono in modo frequente, in una reale e preoccupante complessità “Innanzitutto esaminiamo l'approccio centralizzato e l'approccio territoriale nelle loro differenze fondamentali. L'approccio centralizzato vede nel territorio fette indipendenti di realtà. Quest'ultimo, in via preliminare può essere definito come un'area territoriale, una microarea, un comprensorio o un'area comunale. L'approccio centralizzato prende in considerazione la realtà territoriale, ma la spezzetta, la isola in parti che finalizza ad un centro, dal quale appunto si diramano le interpretazioni di quella realtà, basandosi fondamentalmente sull'analisi del territorio considerato nelle sue questioni di settore: non considera gli elementi presenti nella realtà, nel loro intreccio, ma come tante monadi. In questa logica, lo stesso processo educativo e gli stessi fatti culturali sono considerati come entità a sé stanti, che non hanno interferenze con tutto l'altro vissuto che c'è nella realtà. Nell'altro tipo di approccio, definito territoriale o del decentramento, il territorio è visto come un insieme di fenomeni interdipendenti, in cui vi sono zone di comune interferenza e specificazioni di settore. Va da sé allora che nel primo approccio si tende ad un apparato organizzativo che può essere definito corporativo, nel secondo, invece, la preoccupazione costante è quella di predisporre un sistema che tenga presente l'insieme di vita della collettività, considerato come 'comprensorio di sviluppo’”.
Sono indispensabili alcune condizioni perchè si realizzi un processo partecipativo sul territorio. La prima consiste nel comprendere la non riduttività di tale fenomeno al mero consenso, in quanto, al contrario di quest'ultimo, prevede la possibilità di conflitto e di negoziazione di opinioni, garantendo contributi significativi al processo democratico di scelta. “Ogni bene culturale corrisponde ad un bisogno e la partecipazione ad esso comporta, prima di tutto, senso di appartenenza al luogo, volontà di prestare opera e, finalmente, possibilità di appropriazione. In questo modo il contesto sociale del bene culturale esalta la territorialità della cultura nella unità e nella diversità dei luoghi e delle aree. Queste diversità hanno una portata per ora incalcolabile, nel mutare il tradizionale concetto della unità idealistica del nostro paese che oggi è ancora più contraddetta dalla molteplicità di squilibri di area, di zona, di regione”. L'esigenza di partecipazione si innesta in un bisogno fortemente radicato, nell'essere umano, attraverso la possibilità di gestire il potere personale e di gruppo. Tale affermazione sembra però messa in discussione dalla scarsa presenza di popolazione locale a momenti collettivi, promossi dall'istituzione pubblica o dalle varie realtà private, legittimando la convinzione secondo cui la gente preferisce 'delegare' e non impegnarsi in prima persona.
A questo proposito risulta necessario considerare il fatto che, ogni individuo, nella ricerca di soddisfazione dei propri bisogni, predilige prodigarsi in mansioni che conducono immediatamente al successo, inteso come repentino ottenimento di risultati prefissati, con il minimo sforzo possibile, senza impegnarsi in prima persona in attività meno remunerative, ma più arricchenti a livello umano, perchè concepite nel e dal collettivo. In conclusione risulta legittimo chiedersi se la gente non partecipa in quanto non sufficientemente motivata,o se la partecipazione stessa si rivela disincentivante perchè troppo distante dai problemi e bisogni reali. Questo significa che l'adesione collaboratrice dell'utente può verificarsi, più spontaneamente e in modo interessato, relativamente a quegli ostacoli ed esigenze il cui superamento e soddisfacimento è considerato di primaria importanza dalla stessa gente che è coinvolta nella partecipazione. Le condizioni necessarie finalizzate ad incentivare processi di adesione attiva sul territorio, riguardano, in primo luogo, i soggetti già coinvolti, in dovere di definire i problemi da risolvere e considerare le modalità partecipative adeguate a tal fine, costituendosi in gruppi caratterizzati da un forte senso di appartenenza, dal momento che la partecipazione necessita di strutture intermedie che rappresentino una linea di congiunzione tra il singolo, inserito nel collettivo, e la macrostruttura . “L’animazione, in quanto legata, interrelata ai significati più genuini dell’esistenza, pone come estranee al proprio orizzonte di senso le forme della vita segnate dall’alienazione, dalla schiavitù, dall’oppressione dell’uomo sull’uomo o su se stesso e che quindi impediscono alla singola vita umana di svolgersi in tutta la potenza che in essa è contenuta. L’orizzonte di senso dell’animazione rimanda alla libertà, alla creatività, alla gioia, all’amore per gli altri giocato sul rispetto di se stessi, alla speranza come senso fondamentale dell’essere ed infine allo scacco, al fallimento come tratto umano, origine di vita e non di distruttiva disperazione. L’animazione è una qualità che compare solo nelle forme di vita liberanti e liberate. E’ uno spazio tempo in cui si declina la crescita e l’emancipazione dell’uomo dalle ferinità arcaiche che ancora negli strati profondi del suo essere urlano la propria presenza”.L'intervento di animazione può contribuire alla rivalutazione di questo “senso di appartenenza”, sentimento comunitario che offre la possibilità di porre le basi per lo “sviluppo di un processo partecipativo da parte della popolazione. E' un impegno che presuppone l'intervento programmato degli enti locali e delle grandi organizzazioni di massa, come risultato di un incontro organico e operativo tra amministratori specialisti e operatori culturali, che si proponga di realizzare una profonda modifica in senso democratico della funzione e dei metodi di intervento delle istituzioni culturali tradizionali, la strutturazione di nuove istituzioni tendenti a realizzare il progetto dei centri di ricerca come servizio al maggior numero possibile di settori di attività culturali. Solo questa partecipazione di amministratori di enti locali, di rappresentanti di organizzazioni sindacali, cooperative giovanili e femminili e, insieme studiosi, di organizzatori di cultura, può avviare concretamente ad un'ipotesi di formazione del quadro culturale italiano”.

Organizzazione dei gruppi di animazione.

La composizione e il funzionamento dei gruppi di animazione sono elementi di primaria importanza per la realizzazione di progetti operativi efficaci. In molti casi un gruppo disorganizzato e non funzionante non possiede un grado sufficiente di incisività d'intervento. Infatti, l'attivismo soprattutto di matrice altruistica , assume spesso, carattere di espiazione di sensi di colpa, attraverso la sublimazione di bisogni inconsci, al fine di raggiungere la compensazione di istanze nevrotiche. Nel gruppo di animazione le modalità di funzionamento, di comunicazione e azione, rappresentano, nella loro attuazione, un principio di intervento concreto, programmato nel progetto di realizzazione “L’animazione è un modo di essere. E’ il nostro atteggiamento mentale di fronte alle cose. E’ il complesso delle situazioni che creiamo entrando in rapporto con gli altri. Tutti siamo animatori”. Questo dimostra che un'associazione culturale non interviene solo attraverso le attività che realizza, ma soprattutto mediante le proprie modalità di esistenza. La ricchezza di un gruppo è fornita, al suo interno, dalle diverse risorse di età, competenza, esperienza, professione, e diversità ideologica. L'unità di un'associazione non deve basarsi sull'uniformità culturale o sociale dei membri, ma sull'interesse comune di questi ultimi per le varie aree di intervento e per gli stessi obiettivi di fondo. “Senza un minimo di consenso generale sugli obiettivi e sugli approcci, così come sugli aspetti più teorici, alcuni gruppi si ritrovano immerse in sempre nuove” incomprensioni “interne. Tutto ciò non vuole però significare che le persone possano collaborare efficacemente solo con coloro con i quali concordano totalmente. Significa piuttosto che si può lavorare insieme, in maniera efficiente, solo se si comprendono e accettano le basi teoriche e i modelli di azione gli uni degli altri e si concorda nel ricercare insieme gli obiettivi e i modi adeguati per lavorare in quel gruppo”. Se tutti i membri partissero dalle stesse convinzioni di pensiero, si verificherebbe una condizione di chiusura e povertà, mentre è necessaria la condivisione di linee comuni di intervento operativo. “Possiamo parlare di fini di gruppo solo nella misura in cui gli scopi dei singoli componenti coincidono con quelli del gruppo ed i componenti stessi possono rendere massimi i loro ricavi solo nella misura in cui il gruppo raggiunge le proprie finalità”.

La dimensione interattiva

Un dato importante è il numero dei membri di un gruppo che dovrebbe attestarsi attorno alla decina di unità, per garantire a tutti i soggetti la possibilità di comunicazione mediante rapporti diretti “La personalità del gruppo è tanto più forte quanto più limitato fra le 7 e le 15 persone è il numero dei suoi membri. Al di sotto di queste cifre ciascun membro conserva la propria personalità, sicché non si crea una personalità di gruppo. Al di sopra si riscontra un fenomeno inverso: il rapporto di massa. La psicologia del gruppo è allora affatto diversa e diverso è anche il problema. Solitamente un gruppo ristretto presenta reazioni abbastanza simili a quelle di un fanciullo o di un adolescente. Ciò dipende dal fatto che le reazioni di un gruppo sono più affettive di quelle di un individuo. Difficilmente la ragione riesce a farvi valere i propri diritti”. Un numero superiore provocherebbe effetti di spersonalizzazione nelle relazioni interne all'associazione, impedendo una necessaria contiguità tra i soggetti. Una quantità troppo bassa di membri ridurrebbe le risorse a disposizione e renderebbe ogni assenza ostacolante ai fini di un’efficiente organizzazione. “I sottosistemi della struttura sociale vengono individuati servendosi di due criteri. Col primo, la relativa indipendenza dell’unità considerata viene valutata secondo il grado di interazione amichevole e cordiale, e di comunanza delle norme che si riscontra al suo interno; col secondo si considera il grado di interazione con gli altri gruppi, sia essa caratterizzata dal potere o dalla necessità, dalla sottomissione o dal dominio, dall’uso che degli altri gruppi viene fatto per la soddisfazione dei propri bisogni. Si ricorderà che le interazioni determinate dalla necessità o dal potere non aumentano il grado di cordialità esistente tra le due unità. I gruppi devono perciò distinguersi l’uno dall’altro secondo il valore del rapporto:

Interazione cordiale
Interazione forzata
oppure
Interazione irrilevante cordiale
Interazione irrilevante o stile + interazione in rapporto al compito”.

E' inolt

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