Alla scoperta del territorio
L'interesse verso tutto quanto costituisce la tradizione e l'origine della città e del luogo in cui si vive e si abita, permette di conoscere, per “amare” e rispettare, quanto appartiene alla storia del paese in cui si è nati o si è emigrati.
La storia è formata non soltanto delle, vicende politiche o dai fatti sociali, ma anche dalle fonti orali traman¬date nel tempo dalle persone anziane e dalle presenze fisiche sul territorio, come l'impianto urbano del paese e le tipologie architettoniche da esso scaturite. Queste ultime costituiscono una documentazione molto importante che, al pari di quella scritta, conservata presso gli archivi, dovrebbe e potrebbe essere salvaguardata, affinchè possa essere studiata, visitata o usufruita, nel pieno rispetto dell'esistente.
Prima di tutto, occorre, come del resto è stato fatto dall'associazione culturale Il Cortile di Nova Milanese, intervistare, chiedere, rilevare, domandare e farsi raccontare, la vita quotidiana dei tempi trascorsi. Infatti, “imparare la nostra storia vuoi dire vederla risorgere dalla nostra terra, dalle nostre case e dalle parole legate agli uomini che l'hanno vissuta, perché di quello che è veramente storico il popolo serba una sua memoria vera” (Riccardo Bacchelli).
Parallelamente, non può mancare una ricerca scientifica d'archivio basata sul registro di documenti e catasti prodotti negli ultimi secoli. Questi, sostanzialmente avvallano tradizioni tramandate nel tempo, e permettono di constatare una determinata situazione ad ogni soglia storica ben precisa.
La ricerca scientifica è stata condotta nel 1988 da un gruppo di quattro studenti del Politecnico di Milano, iscritti alla Facoltà di Architettura.
I documenti più interessanti consultati presso l'Archi¬vio di Stato di Milano (dove trovano posto quelli rela¬tivi ai paesi di tutta la provincia), sono quelli costi¬tuiti dal catasto Teresiano risalente al 1722 e quello relativo al catasto del Regno d'Italia del 1850. Già più antico, voluto da Maria Teresa d'Austria, emerge la conformazione territoriale di Nova Milanese, al tempo suddivisa in tre contrade tra loro ben distinte ed autonome, i limiti e i confini e, la strutturazione economica che gravitava intorno ai tre nuclei edilizi costituiti, due da un unica corte, ed uno da una serie
di più corti affaccianti conduceva alla piazza. Intorno a queste corti, unite verso la fine del '700 ebbe luogo lo sviluppo Urbanistico nell'attuale paese di Nova. Costituendo le “corti” la testimonianza più antica della nascita di Nova occorrerebbe, in materia Urbanistica e di piano regolatore comunale, adottare per il centro storico definito, una serie di vincoli di tutela al fine di programmare e tutelare le trasformazioni subite dalle antiche strutture. La situazione ad oggi, purtroppo, non è molto consolante, dati gli interventi distruttivi palesemente eseguiti sotto i nostri occhi. La speranza è che venga perlomeno conservato quel poco che ancora sopravvive.
ORIGINE DEL NOME
E' attribuito dagli storici alla distanza che la separa da Milano (14 Km circa) ovvero, nove Miglia. Potrebbe anche essere la deformazione di Nona: da “ad nonum lapidem”, come Desio, che dista circa 10 Miglia da Milano, e corrisponderebbe a Decimo: da “ad decimum lapidem”.
I novesi erano soprannominati Luit a causa di un particolare tipo di granoturco dalle piccole pannocchie che i contadini coltivavano.
STORIA DI NOVA
“Il territorio novese, in epoca rinascimentale, seguì le sorti della Pieve di
Desio: fu compreso nel feudo concesso dagli Sforza a Lucia Visconti (1476> e successivamente, durante l'egemonia francese, assegnato da Re Luigi XII, prima ai Pirovano, ed in seguito ai da Rho (1518). Dopo tre anni ritornò agli Sforza che dal 1521 l'assegnarono prima ai Ferreri, poi ai Roadino ed infine ai Gallarati. Al 1530 risale il censimento demografico ed agricolo suddiviso in “fuochi” (nuclei familiari), “bocche” (numero delle persone) e terreni riferito ad ogni Comune facente parte del feudo.
“Nova, Grugnotorto, Cascina Meda compaiono come Comuni separati, tra i quali, solo Nova in possesso della Parrocchia. Nel 1580, durante la dominazione spagno¬la, a causa dell'estinzione dinastica, il feudo fu dato con diploma da Filippo
Il Re di Spagna ai Manriquez che lo mantennero fino al 1632, anno in cui fu investito il marchese Carlo Camillo Rovelli. Ai Rovelli spettava, oltre ai diritti sul feudo (118 focolari>, il reddito ricavato dal dazio sull'imbottato.”
Nonostante l'abolizione dei privilegi feudali, è tutt'ora riconosciuto al primogenito della famiglia Rovelli il titolo di Marchese di Nova
In seguito il Comune seguì le sorti della Lombardia che dal 1714 al 1796 fu soggetta al dominio austriaco; e dopo }la parentesi napoleonica (1796 – 1813), sempre nell 'ambito dell 'Impero Austro-Ungarico, costituì il Regno Lombardo-Veneto.
Il censimento agricolo dei Comuni redatto nel 1570, indica i perticati ed i gelsi esistenti sul territorio. Nova risulta essere Comune unico comprendente Grugnotorto e Cascina Meda. Possiede 8500 pertiche. La popolazione di Nova ed annessi, nel 1770 è di 1004 abitanti.
Nel 1889 con la Seconda Guerra d'Indipendenza nazionale, la regione lombarda entrò a far parte del Regno d'Italia
“tra il 1181 e il 1891 fu scavato il canale Villoresi che divenne poi il limite fisico per delimitare a Sud l'estensione della Brianza”
(da G. FINESSI, F. PERRI, S. TESTA e M. VERGANI Nova Milanese, Ricerca del corso Restauro Urbano del Politec¬nico di Milano, Facoltà di Architettura, 1988, inedito). Nel 1920 Nova era un paese prevalentemente agricolo in via di trasformazione.
Infatti l'espansione che ha condotto Nova allo stato attuale si è verificata a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. L'emigrazione ha determinato 1'incremento edilizio che ha portato alla situazione attuale.
Dalla relazione della ricerca sul paese (sopra citata) emerge e si comprende l'aspetto economico e sociale del paese a due soglie storiche ben precise: quelle relative ai due censimenti catastali del 1722 e del 1850.
Due erano le strade principali che attraversavano il paese: la prima, quella ferrata che da Milano porta in Brianza (detta la Stramilano), la seconda, da Monza porta a Saronno.
Le abitazioni, concentrate in prevalenza intorno alla piazza della chiesa, erano i cortili di tipo rurale, dove la nostra gente viveva e lavorava, in gran parte a mezzadria o affittuario; inoltre il paese comprendeva due frazioni: Cascina Meda (San Bernardo) e Grugnotorto.
Esistevano già in questo periodo, oltre alla filanda, due manifatture: Zorloni e Briantea. In queste fabbriche l'occupazione era fornita in maggioranza da
manodopera femminile. A livello artigianale si contavano alcune botte¬ghe a conduzione familiare: falegnami, maniscalchi, intagliatori ed anche una piccola fabbrica di infissi (Prada). Contemporaneanente i giovani si spostavano fuori nelle grandi industrie come la Breda, la Pirelli, la Falk. Anche a Nova, e in tutto il resto del Paese, in seguito al regresso della produzione agri¬cola, sia per l'abbandono dei campi, sia a causa della Prima Guerra Mondiale, sia per gli interessi economici concentrati prevalentemente sull'industria, i proprietari terrieri come i Marzorati, i Vertua, i Ferrari-Ardicini, coninciava¬no a vendere parte delle terre agli stessi contadini.
L'aspetto politico presentava due realtà di popolo: da una parte i socialisti, dall'altra le forze cattoliche, entrambi organizzati in leghe, amministrati da una giunta socialista.
Per tentare di far rivivere la funzione, l'organizzazione e la vita dei nostri cortili, non si può prescindere che da un presupposto fondamentale: il popolo che viveva nei cortili aveva una sua cultura legata interamente al ciclo della natura che nasce, muore e rinasce; pertanto tutti gli eventi rituali del mondo popolare sintetizzano lo stesso ciclo vitale dell'uomo.
LE CORTI
La corte, cassina o curt, è la tipologia architet¬tonica tipica della pianura padana: è la dimora rurale presente sin dalle origini nelle carte del paese (da A. PECORA, La “corte” padana, in AA. VV., La casa rurale in Italia, a cura di G. Barbieri e L. Garbi, Firenze, 1970, pag. 219). La sua origine, viene fatta risalire al secolo XVI (A. PECORA, op. cit., pag. 238).
Intorno ad essa, collocata in punti strategici del territorio, in modo tale da controllarlo e lavorarne un ampio margine, ha avuto luogo lo sviluppo successivo 1722, che ha determinato la situazione urbanistica attuale.
Generalmente la forma della dimora è quadrangolare e
può apparire completamente o quasi tutta circondata da corpi di fabbrica o da muri (A.PECORA, op. cit., pag. 219).
Soprattutto in Lombardia, il termine “cassina”, che ritroviamo nella carta del 1722 ad indicare l'attuale zona di San Bernardo detta “Cassina Meda”, sta ad indi¬care una delle parti costitutive essenziali dei rustici ed in particolar modo, una dimora rurale isolata nel1a campagna, che può essere a corte o meno, la quale presenta un'estensione territoriale molto vasta, che non corrisponde assolutamnente all'area di diffusione della vera dimora a corte chiusa, che comprende tipi di dimora il cui punto in comune è soltanto la presenza di un cortile o di un 'aia in qualche modo chiusi’
(A. PECORA, op. cit. pag. 221).
Oltre alle dimore per l'abitazione ed al rustico (gene¬ralmente stalla con soprastante fienile) per la condu¬zione ordinata del lavoro dei campi nel corso dell'anno, una piccola cappella è sempre presente (A. PECORA, op. cit. pag. 223), dove ancor oggi viene officiata la Messa festiva.
Abitazione e rustico sono disposti “l'una di fronte all'altro, e quindi in unità edili ben separate od invece, giustapposti e contigui, su una stessa linea, con la presenza sulla facciata dell'abitazione, di ballatoi e loggiati, cioè di elementi architettonici importantissini anche dal punto di vista funzionale in rapporto all'umido ambiente autunnale della regione (…), e alla conseguente necessità di fare essiccare al sicuro dalle intemperie i prodotti tardivi della campagna, e in particolare il granoturco. L'aia, infatti, e di norma assente.”
(A. PECORA, op. cit. pagg. 232 e 233).
Sono ormai del tutto scomparse le vecchie “corti” dalla caratteristica struttura comune delle case coloniche lombarde. Esse formavano un ampio cortile per lo più rettangolare o quadrato, in giro al quale correva un porticato di rustiche colonne di pietra sotto cui si aprivano le abitazioni. Di solito a piano terra c'era l'ampia e buia cucina con il pavimento in terra battuta, al piano superiore c’era l'ingresso su un lungo balla¬toio in legno a cui si accedeva per una scala comune e la camera da letto.
Lo storiografo Cesare Cantù nel 1844 così raccontava:
“Una famiglia di contadini, oltre ad un numero di camere proporzionato al bisogno, ha spesso portici esposti a Mezzodì dinnanzi alle stanze terrene, e logge superiori più o meno ampie; ha anche una stalla per ricetto di bestiame nel quale passare le lunghe serate d'inverno in una temperatura che lo scarso combustibile non gli avrebbe procurato ed un fienile”.
La vita di queste corti aveva carattere comunitario. Si reggeva sul sistema della famiglia patriarcale. Una famiglia era generalmente composta dai vecchi, padre e madre ancora attivi, di cui i figli maschi quando si sposavano, restavano in famiglia e perciò, i vari inte¬ressi economici legati al lavoro rimanevano gestiti dal padre chiamato “masé”. Le nuore, per la gestione della casa, dovevano dipendere dalla suocera “masera”. I bambinì trascorrevano la giornata principalmente con gli anziani della casa, essendo le loro madri occupate nei lavori dei campi, in filanda o nelle piccole industrie tessili. Le giovani madri apprendevano dalle anziane le prime rudimentali prestazioni da dare ai nuovi nati, come l'allattamento naturale che si protraeva per parecchi mesi essendo l'alimenta¬zione scarsa. Si mangiava quando il tempo lo permetteva, usando delle scodelle, seduti sul gradino di casa o su uno sgabello.
Nel cortile si lavava, le donne si raccoglievano in gruppi per lavare e chiacchierare. Ne1 cortile razzolavano le galline ed in mezzo giocavano i ragazzini: alla cavallina, a span, cursa cui serc, a topa, a bat a mur…
Si può dire che tutta la vita delle corti si svolgeva in questi cortili dove quasi sempre sorgeva un altarino, un'edicola, un’ immagine dedicata alla Madonna. Queste vecchie corti, testimonianza di un'organizzazione socia¬le di antichi tempi, sono rimaste pressoché intatte fino a pochi anni dopo la Seconda Guerra Mondiale,fino a quando cioè, il “boom” edilizio e la corsa alla costru¬zione per soddisfare la richiesta di appartamenti e di case nuove, si sono fatti più intensi. E così proceden¬do, a seconda della più o meno importanza delle borgate, sono crollate molte corti, fra il sincero rimpianto dei loro vecchi abitanti che forse vedevano nella loro casa l’ultima illusoria traccia di una vita serena, in contrasto con il travolgente ritmo assunto dalla vita moderna. Ogni corte ha la sua storia, la sua caratteri¬stica, i suoi personaggi. Le corti prendevano di solito il nome da una famiglia nota, dalla professione degli abitanti o dalla caratteristica del luogo.
IL LAVORO INTEGRATIVO: LA BACHICULTURA
Oltre al lavoro dei campi, i contadini erano i impegati anche nell' allevamento del baco da seta “cavalè”.
Il lavoro iniziava i primi di aprile e consi¬steva nel preparare un' impalcatura di vari piani, posta al centro della cucina, dove venivano istallate le lunghe tavole, anche in numero di sedici per piano, su cui si disponevano le larve del baco. Si procedeva poi alla raccolta del cibo costituito dalle foglie di gelso (murun). Nei primi tempi, quando il baco doveva svilupparsi, l'operazione della spogliatura dei rami e la raccolta delle foglie ancora verdi, tagliate finissime, avveniva anche tre volte al giorno. Le tavole dovevano essere pulite dagli escrementi degli animaletti che dopo aver tanto mangiato cominciavano il loro ciclo riproduttivo. Dopodichè si preparava una specie di bosco in miniatura con rametti posti sulle tavole.
Il baco pian piano si arrampicava ed iniziava la sua lavorazione intorno al bozzolo. Il lavoro a questo punto si faceva più intenso, infatti si doveva badare ai bachi affinchè tutti salissero sui rami sollecitando quelli più pigri con altro cibo. Data l'umidità venivano accesi dei fuochi per impedire a questi di marcire e quindi compromettere l'esito dell’allevamento.
A fine maggio i bachi avevano terminato il loro lavoro e quindi la loro vita, perciò venivano tolti dal bosco e puliti dalla prima membrana e si consegnavano i bozzoli al la filanda nella quale venivano trasformati in seta.
LA FILANDA E L'ARTIGIANATO
Anche a Nova esisteva una piccola filanda situata in una località detta “la baia del Re”, in via Macciantelli, dove donne e bambini intorno ai dieci anni svolgevano un 1avoro molto faticoso in un ambiente malsano.
Oltre a questa esisteva la tessitura Briantea dove si producevano asciugamani in spugna. Questo materiale veniva trasportato a domici¬lio, dove si procedeva alla rifinitura delle frange con dei nodi particolari detti “grup”. Non era raro incontrare lunghe file di donne che, carriola in mano, portavano a casa il lavoro per arrotondare il magro bilancio familiare.
Facevano seguito altri lavori di tipo artigia¬nale: le donne praticavano il ricamo, arte imparata dalle suore della parrocchia. Gli uomini costruivano oggetti in legno di uso domestico come panche, sgabelli, impagliature di sedie, arnesi da lavoro. Alcuni di loro si applicavano nell 'arte dell‘iintaglio che serviva ad abbellire i mobili.
L'EMIGRAZIONE
In un secolo 30 milioni di italiani hanno lasciato la penisola in cerca di lavoro; la metà di questi si è stabilita definitivamente all'estero. 30 milioni: un popolo poco meno dell' intera popolazione che tra il 1861 ed il 1971, passa da 26 milioni di unita a 54 milio¬ni
Ancora più intenso è stato, dopo la Prima Guerra Mondiale, il trasferimento di intere popolazioni verso il nord dell'Italia (la cosiddetta emigrazione interna). La provenienza di queste correnti migratorie presenta una notevole evoluzione: tra le due guerre sono il Veneto, la Campania e la Sicilia le regioni maggiormente interessate al fenomeno; dopo la Seconda Guerra Mondiale si aggiungono la Puglia e la Calabria; negli anni del boom economico (1960/1970) il movimento interno è orientato verso i poli del triangolo industriale coinvol¬gendo pressoché in egual misura tutto il resto del territorio nazionale.
Questi avvenimenti hanno generato gravissimi problemi sociali, sia per chi partiva, sia per chi rimaneva: problemi di inserimento per i primi e di forte impoverimen¬to della popolazione per i secondi. Se le grandi metropoli del cosiddetto triangolo industriale, Genova – Torino – Milano, rappre¬sentano la meta del “posto sicuro”, i comuni dell'hinterland costituiscono la meta di quanti cercano casa
Parecchie persone scelsero quindi anche il nostro paese, Nova Milanese, dove trovarono alloggio in prevalenza nei cortili, parte di questi situati al centro del paese e parte nei vecchi agglomerati di Grugnotorto e di Cascina
Meda (S. Bernardo) e negli angusti spazi utilizzati dagli antichi abitanti locali, i contadini. Cominciarono a formarsi gruppi ben distinti a seconda della provenienza i quali acquistavano pezzi di terra lontano dai centri abitati nei nuclei rurali dove erano situati i campi coltivati, per edificare piccole casette collocate idealmente nei quattro punti cardina¬li del paese. Nascevano cosi le cosiddette coree . Con l’ avvento delI 'emigrazione c è stato un incremento ed un intreccio di tradizioni e culture diverse che sotto certi aspetti hanno modificato la vita sociale. La non conoscenza dei vari soggetti popolari portatori di un patrimonio culturale proprio è la causa princi¬pale di una difficile comprensione reciproca; anche se dobbiamo sottolineare (a detta degli stessi immigrati) che malgrado l'aspetto delle cose tipicamente lombarde, i cortili e l'anima¬zione interna, producono un' atmosfera che sa di Sud. Nonostante vi permangano certi caratteri, nel nostro caso, tipicamente novesi, grazie anche alla spontaneità dei bambini, la gente si inserisce nel nuovo ambiente diventando piano piano parte attiva.
La popolazione locale cambia non solo per l'incremento demografico ma anche per le trasformazioni che lo stesso tessuto civile e urbano subisce. Infatti ciascun gruppo etnico immigrato si porta dai paesi d'origine storie e tradizioni culturali proprie e non sempre si può parlare di raccordo o integrazione tra le varie espressioni presenti nel luogo, spesso, più che integrazione si tratta di adattamento.
Malgrado le difficoltà incontrate, possia¬mo affermare che a causa dell'immigrazione abbiano visto allargarsi i confini culturali del nostro paese, e questo ci ha portato a prendere coscienza di nuovi modi di porsi nell’ affrontare la vita; tradizioni sì diverse da quelle locali, ma nate entrambe da una matrice che li accomuna: 1 'esistenza dell’ uomo.