L'oreficeria coloniale
Negli anni in cui Angelo Maria Camponeschi viveva e lavorava a Buenos Aires,
altri italiani partivano dall'Europa per approdare sul suolo americano. Tra
loro vi erano due fratelli nati nel Ducato di Parma: José e Abdòn Boqui .
Il loro cognome italiano era Bocchi, ma fu successivamente ispanizzato in
Boqui, e con il cognome spagnolo vengono sempre ricordati. La data del loro
arrivo a Buenos Aires è incerta.
La maggior parte delle fonti indica come data presumibile i primi anni
dell'800, ma alcuni lavori di oreficeria realizzati a Buenos Aires alla fine
del XVIII secolo, e attribuiti a uno dei fratelli, sembrano confermare come
data di arrivo quella proposta da Vicente Gesualdo che la colloca
nell'ultima decade del '700.
Sempre secondo lo storico Vicente Gesualdo i due arrivarono in compagnia del
romano Martino de Petris di cui abbiamo precedentemente accennato una breve
biografia.
A confermare questa data, oltre alle già citate opere di oreficeria, vi è
anche il resoconto di una perizia tecnica effettuata a Buenos Aires nel 1796
a cui parteciparono i due fratelli.
Una cronaca del tempo riporta infatti che i due fratelli Boqui, assieme a
Martino de Pretis ed altri periti, valutarono la collezione di macchine di
fisica sperimentale di Don Martìn de Altolaguirre . In quell'occasione José
Boqui, in qualità di perito, si fregiò del titolo di: “Don José Boqui
maestro titulado en Madrid del arte de platerìa, de fundiciones, tirado a
kilo, làmina, torno, buril, cincel y pulimentos è inventor y fabricante de
matrices de bronce para fundir dibujo, vaso, roscas y tuercas..fundidor de
cadenas…” .
In questa ricerca biografica ci occuperemo soltanto di José Boqui, visto che
del fratello Abdòn niente si sa oltre queste poche e frammentarie notizie.
José nacque a Parma nel 1770 con il nome di Giuseppe e giovanissimo si
impiegò presso la bottega orafa di Paolo Bocchi. Sempre giovanissimo, lasciò
l'Italia per trasferirsi in Spagna , dove proseguì gli studi artistici
presso il collegio di Madrid e iniziò a lavorare, dividendosi tra Barcellona
e Madrid. Nel suo periodo spagnolo realizzò come argentiere, vari ostensori
e arredi liturgici.
Dopo aver vissuto per alcuni anni in terra iberica, José, assieme al
fratello, decise di trasferirsi in America. La ragione di questa decisione
ci è ignota. Arrivò a Buenos Aires tra il 1793 e il 1795. Nella città
intraprese nuovamente la carriera di argentiere e di cesellatore realizzando
numerose opere anche di pregevole valore, tanto che lo scrittore gesuita
Guillermo Cardiff Furlong, autore di molti saggi storici, lo considera il
più abile orafo della capitale nei primi anni dell'Ottocento .
Del primo periodo argentino di Boqui si conserva ancora oggi nella
collezione Hèctor Schenone y S.ra un'aureola in argento e bronzo, che
probabilmente era collocata sopra la testa di un santo domenicano e che
nella sua parte interna, oltre alla decorazione di un pentagramma con note
musicali, porta una sibillina scritta: Jph Boqui Parmensis Inv fet ano 1799
/ Ad Solum de Sto Benemerendi Causa / Si me quieres desarmar / Pìensalo para
no errar.
Nel 1801 Giuseppe Boqui realizzò, per il convento di San Domenico di Buenos
Aires, due ostensori, che furono valutati 9.000 pesos quello grande e 2.000
quello piccolo . Purtroppo durante la seconda invasione inglese di Buenos
Aires i due oggetti furono trafugati dai soldati britannici che per un
periodo occuparono il convento.
Tra il 1803 e il 1809 il parmense lavorò ancora ad un ostensorio, che poi
portò con se in Perù e che oggi si trova nella cattedrale di Trujillo. Sul
piedistallo si può leggere ancora la firma e la piccola dedica: “Joseph
Boqui, Aurifex Parmensis et Collegi Matritensis invenit et Coepit Bonis
Auribus a. 1803 atque ipse unus impensis suis eam venditurus perfecit
a.1809″ .
La caratteristica principale di questo ostensorio è un'altra scritta nel
piedistallo, che invita l'osservatore a cercare un piccolo cassetto,
nascosto nell'ostensorio stesso, che contiene la spiegazione per aprire la
teca dove è custodito il Santissimo Sacramento. La scritta dice: “Un
cajoncito en la peana / encierra la explicaciòn / que te enseña a desarmarme
/ leyendo con atenciòn”.
L'attività porteña del Boqui non si limitò soltanto alla realizzazione di
opere di oreficeria o di incisione. La prima lanterna magica (una sorta di
proiettore per diapositive) che fu ammirata a Buenos Aires fu portata dalla
Francia proprio dall'argentiere italiano che l'aveva acquistata in Europa.
La lanterna fu poi venduta nel 1795 al sacerdote Juan Bautista Goiburu,
direttore della cappella musicale della cattedrale .
Dopo pochi anni dal suo arrivo a Buenos Aires José si iscrisse alla loggia
massonica San Giovanni di Gerusalemme. In quell'ambiente, dove si stava
sviluppando il seme della rivoluzione, incontrò José de San Martìn, che
forse aveva precedentemente conosciuto a Cadice quando l'eroe argentino,
arruolato nelle truppe spagnole, combatteva Napoleone. Boqui conobbe qui
anche altri rivoluzionari, tra cui il poeta cordobese Josè Antonio Miralla,
a cui lo legherà una profondissima amicizia. Così, oramai a contatto con i
settori repubblicani della società porteña, si arruolò nella milizia
cittadina a difesa della città durante la prima invasione inglese del
1806-07. Il suo ingegno e la sua abilità di fonditore, gli permisero di
realizzare cannoni con un nuovo sistema di puntamento che furono utilizzati
con successo nella difesa di Buenos Aires.
Nel 1810 a causa della delusione per la mancata vendita di un ostensorio che
aveva realizzato, decise di abbandonare l'Argentina e di trasferirsi in Perù
assieme alla famiglia e all'amico Miralla .
Boqui costruì delle resistentissime custodie in legno, vi ripose
l'ostensorio smembrato e partì con una colonna di muli alla volta di Lima.
Arrivati il 20 luglio del 1810 in città, furono presto coinvolti nella
fallita cospirazione contro il Viceré Fernando de Abascal, cospirazione
detta “dei porteños” per il fatto che la maggioranza degli affiliati erano
di origine argentina. I cospiratori furono arrestati, ma vennero
successivamente assolti dall'accusa di tradimento (per la quale vigeva la
pena di morte), anche se nel settembre dello stesso anno, furono costretti a
lasciare il paese. Nel 1815, alla partenza del Viceré Abascal, Boqui tornò a
Lima riprendendo la sua attività di argentiere. Le difficoltà economiche in
cui versava lo costrinsero a dedicarsi anche ad altri lavori come quello di
inventore di macchine per il pompaggio dell'acqua dai pozzi minerari. In
cambio della somma di 40.000 pesos che gli furono prestati dalla camera di
commercio di Lima per realizzare questi progetti, fu costretto ad impegnare
il suo ostensorio, che fu depositato sotto custodia nella fortezza militare
del Callao. La macchina per il pompaggio dell'acqua fu un completo
fallimento e l'italiano si trovò in una posizione molto scomoda nei
confronti dei creditori e delle autorità locali che avevano creduto in lui .
A salvarlo da questa difficile situazione arrivò José de San Martin a capo
dei rivoluzionari.
Secondo lo storico cileno Vicuña Mackenna , Boqui agì nel territorio
peruviano come agente segreto dello stesso San Martìn e grazie ai suoi
servigi fu da San Martìn stesso insignito “Benemérito de la orden del Sol”.
Dopo pochi mesi dalla proclamazione dell'indipendenza, l'argentiere italiano
venne nominato direttore della zecca dello stato. La sua nomina, vista la
non cristallina reputazione, fece scalpore negli ambienti della città
peruviana, ma in una lettera datata 19 novembre 1821, San Martìn scrisse:
“reconociendo el celo infatigable de vuestra señorìa y su interès y desvelos
por la felicidad de los peruanos.” .
Grazie alla nuova carica, Boqui elaborò alcuni progetti per la creazione di
una banca di emissione e di una di sconto, presentò diverse proposte circa
l'organizzazione delle finanze dell'epoca e collaborò con il ministro del
tesoro Hìpolito Unanue. I progetti sono ancora conservati in 187 documenti
presso l'Archivio storico del Ministero dell'Economia del Perù . Continuò
allo stesso tempo anche la sua attività di orafo, trasformando molti oggetti
preziosi confiscati alle famiglie realiste, in altrettanti oggetti preziosi
che finirono in mano ai membri dell'ordine del Sol.
Le truppe repubblicane, scarse come numero e mezzi rimasero poco tempo a
Lima e furono costrette ad abbandonare la città all'arrivo delle truppe
realiste. Boqui, compromesso con i rivoluzionari, scappò da Lima. Si
impossessò di un cospicuo numero di opere di oreficeria, si fece
riconsegnare il prezioso ostensorio e partì dal porto di Callao alla volta
di Genova.
Rientrò così dopo moltissimi anni in Italia dove rimase fino alla morte nel
1848.
Il governo peruviano, intentò negli anni successivi alla fuga dal Perù, una
causa contro Giuseppe Bocchi e successivamente contro i suoi eredi per la
restituzione degli oggetti trafugati e di alcune somme di denaro che
l'italiano doveva allo stato. Della causa se ne occupò il tribunale di
Genova anche se sia la corte spagnola che quella del regno di Sardegna
cercarono di influenzare il verdetto. La causa, con la nascita della
repubblica Peruviana, terminò con un giudizio di non colpevolezza, ma
dell'ostensorio, che era custodito nei depositi Oneto di Genova, si persero
le tracce. Quando le casse furono aperte il contenuto era sparito.
La misteriosa e improvvisa partenza da Lima del parmense e le custodie che
contenevano il prezioso ostensorio hanno suscitato la curiosità e gli
interrogativi di molti.
Ricardo Palma nel suo libro “tradiciones Peruanas” dedica un intero capitolo
alla vicenda della fuga dell'orefice intitolandolo proprio “la custodia de
Boqui”.
Da “L'emigrazione di artisti e artigiani italiani nelle Repubbliche del
Plata”
di Gabriele Cappelli
Le prime scuole di disegno, inizio XIX secoloCon l'inizio del secolo XVIII,
le tensioni anti-spagnole della borghesia creola argentina trovarono nella
situazione politica europea una sponda legittimista. La rivoluzione
americana e successivamente quella francese, con tutto quello che ne
conseguì, indicarono ai sudamericani la via per l'emancipazione politica.
L'apertura al commercio internazionale dei porti e una politica più liberale
attenuarono, ma non per molto, le tensioni rivendicative della borghesia.
I figli dei ricchi signori, che avevano frequentato le migliori scuole
europee, portarono dal vecchio continente nuove idee e anche nelle attività
artistiche il vento del cambiamento cominciò a soffiare. La pittura di quel
periodo era infatti regolata dalle autorità regie al pari di tutte le altre
arti liberali. A Còrdoba, già nel 1600, esisteva una corporazione dei
pittori del tutto simile a quella degli argentieri, dei fabbri o degli
ebanisti.
Una cronaca del 1789 ci racconta di come in quel periodo fosse necessario,
da parte dell'autorità pubblica, un controllo sulle botteghe dei pittori,
per difendere i clienti che troppo spesso venivano frodati da sedicenti
pittori. Il pittore che desiderava aprire un negozio o una bottega, doveva
così richiedere il permesso alle autorità e dimostrare attraverso una prova
manuale le sue capacità e l'idoneità all'esercizio della professione. La
prova si teneva alla presenza del “Maestro Mayor”, che rappresentava la
massima autorità della corporazione e che era eletto ogni primo dell'anno
direttamente dal cabildo della città. Oltre all'affiliazione dei pittori
alla corporazione, le autorità regolavano, attraverso un tariffario, anche
il prezzo massimo per la realizzazione delle opere, così come era regolato
l'impiego degli apprendisti nelle botteghe.
Il controllo da parte delle autorità consentiva anche di valutare la qualità
delle opere prodotte e di impedire la diffusione delle “pinturas
indecentes”. Le autorità spagnole, con la collaborazione del commissario del
santo uffizio di Buenos Aires, controllavano le opere prodotte nel paese o
arrivate dall'Europa, censurandole qualora presentassero scene di nudi o
fossero troppo contrarie alla “morale” .
Il controllo censorio e capillare delle autorità rendeva perciò il mercato
artistico argentino ingessato e poche erano le opere di un certo livello che
venivano realizzate. Il primo tentativo di aprire una scuola di disegno
nella capitale lo si deve a Emanuele Belgrano, discendente da una famiglia
di commercianti di Oneglia, paese in provincia di Genova, emigrati in
Argentina.
Emanuele, dopo aver studiato vari anni in Spagna, nel 1799 fece ritorno a
Buenos Aires, e trovò presto lavoro come segretario del consolato spagnolo
per il commercio. Con questo incarico si dedicò all'istituzione di corsi
scolastici sulla navigazione, sull'agricoltura, sul commercio e sul disegno
.
La scuola del consolato rimase aperta fino al 1803, e fu chiusa con un
ingiunzione delle autorità, che videro in questa istituzione un focolaio del
malcontento contro la Spagna. Dovranno passare 12 anni prima che
un'esperienza simile sia nuovamente riproposta nella capitale. Le vicende
politiche dei primi anni del secolo cambiarono radicalmente il panorama
delle colonie.
Il 25 maggio del 1810 una giunta composta da nove membri (tra cui vi era
anche Belgrano) dichiarò decaduta l'autorità spagnola sulla regione. Fu
l'inizio della rivoluzione, durata sei anni, che portò nel 1816 alla
definitiva proclamazione della repubblica Argentina. Il sentimento
anti-spagnolo durante l'epoca rivoluzionaria si diffuse in tutta la società,
influenzandone i gusti e le aspettative. Questo sentimento portò al rifiuto
di tutto quello che aveva rappresentato il potere coloniale negli ultimi
tempi, compresa l'arte. La vecchia tradizione artistica coloniale, fatta
principalmente di immagini religiose, subì la nuova “censura” culturale
questa volta di senso rivoluzionario.
Nel volume di memorie di Faustino Sarmiento, vi è un commento all'epoca
rivoluzionaria. Il politico argentino ricorda la rivoluzione, e gli influssi
che questa ebbe nei confronti della vecchia arte coloniale: “…la
revoluciòn venìa ensañàndose contra los emblemas religiosos. Ignorante y
ciega en sus antipatìas, habìa tomado entre ojos la pintura, que sabìa a
España, a colonia a cosa antigua e inconciliable con las buenas ideas.
Familias devotìsimas escondìan sus cuadros de santos por no dar muestras de
mal gusto en conservarlos.”
Questa caccia iconoclastica alle opere religiose avvenne anche a dispetto
della maggioranza della popolazione che rimase sempre fedele al
cattolicesimo e alle sue manifestazioni artistiche.
Le nuove tendenze artistiche vennero rappresentate da un nuovo genere
pittorico: il ritratto, che sostituì la vecchia iconografia religiosa.
Come avvenne in quegli anni nella “vecchia” Europa, i ricchi porteños
passarono sempre più tempo davanti al cavalletto del pittore, riempiendo le
loro case di ritratti individuali e collettivi, con scene equestri o di
normale vita quotidiana.
Tutti i più famosi pittori di questo periodo si dedicarono a questo genere
pittorico, che in tanti casi, rappresentò la loro unica fonte di guadagno.
La vivacità artistica, dettata dai fatti rivoluzionari permise lo sviluppo
anche di altri generi pittorici quali: il paesaggio, la natura morta, le
pitture con scene di marina, la pittura di costume e il disegno. Anche la
scenografia, con l'apertura dei nuovi teatri, richiamò molti artisti (alcuni
italiani) che dipinsero sfondi per le rappresentazioni teatrali.
E fu in questo nuovo clima che il 10 agosto del 1815, ad oramai 15 anni dal
primo corso di disegno del consolato, in un freddo giorno dell'inverno
australe, un frate del monastero della recoleta pronunciò il discorso di
inaugurazione della nuova Accademia di disegno. Il frate si chiamava
Francisco de Paula Castañeda e nelle parole che in quell'occasione pronunciò
vi era tutta la consapevolezza di quanto fosse arduo il compito che si
prefiggeva di realizzare. Diceva infatti: “..desde ahora tomo sobre mis
dèbiles hombros la ardua empresa de hacer comùn el dibujo, no sòlo en esta
ciudad y suburbios, sino también en ésta nuesta campaña..”
In quello stesso giorno il religioso presentò i lavori di diciotto giovani
artisti argentini, i quali nei mesi precedenti, avevano frequentato le due
piccole scuole di disegno che lo stesso frate aveva istituito presso il suo
convento, accanto alla chiesa del Pilar .
La mancanza di fondi e la distanza dal centro della città, avevano però
costretto il Castañeda a richiedere al Cabildo della città, locali più ampi
ed economie più adeguate per l'apertura permanente della scuola. E furono
proprio le insistenze del francescano a permettere l'inaugurazione della
prima accademia di disegno.
Due giorni dopo, sul giornale “la Gaceta” venne pubblicato il seguente
avviso: “los alumnos que quieran entrar a la escuela de dibujo, ocurran a
alistarse a la casa del Prior del Tribunal del Consulato, que vive al lado
de éste. Da principio dicha escuela el miércoles 16 del corriente agosto de
las seis a las ocho de la noche.” L'insegnamento, nel primo periodo di vita
dell'Accademia, fu impartito principalmente da due maestri: il belga Joseph
Guth e il francese Josè Rousseau.
Dai primi piccoli locali del consolato, l'Accademia si trasferì in seguito
nelle spaziose e illuminate sale nei pressi del convento dei gesuiti. Qui
l'istituzione si ingrandì fino ad accogliere più di cento alunni . Con
l'inizio del secondo decennio del secolo, le autorità argentine ritennero
giunto il momento di fondare anche a Buenos Aires un'università. Fu
incaricato della realizzazione del progetto il dott. Antonio Sàenz che nei
mesi successivi concluse un accordo con l'Accademia per il trasferimento dei
suoi corsi sotto il controllo dell'università. Nel 1822 l'Università di
Buenos Aires accolse nel dipartimento di scienze esatte i corsi
dell'Accademia di disegno e del collegio. Il corso di disegno fu ancora
diretto da Joseph Guth, ma già nel 1828, in sostituzione dell'insegnante
svizzero fu chiamato a dirigere il corso, l'italiano Paolo Caccianiga.
Da “L'emigrazione di artisti e artigiani italiani nelle Repubbliche del
Plata”
di Gabriele Cappelli
www.lombardinelmondo.org
Sulle tracce dei medici lombardi in ArgentinaRoberto Alhadeff nacque a
Milano nel 1923 ed arrivò in Argentina nel 1956. Frequentò la Facoltà di
Medicina a Milano e poi andò all'Università di Oxford (Inghilterra) dove si
laureò in medicina e si diplomò come docente. Scrisse diverse tesi di
carattere scientifico. Morì a Buenos Aires nel 1973.
Giuseppe Bolognini, medico chirurgo diplomato presso l'Università di Pavia.
Giunse in Argentina nel 1878. Esercitò la professione in Uruguay, a Buenos
Aires, Campana e Olavarria (Buenos Aires).
Pio Attendolo Bolognini, medico chirurgo diplomato presso l'Università di
Pavia. Giunse in Argentina nel 1886. Esercitò la professione in Uruguay,
Paraguay e Brasile. Si dedicò alla botanica e alla zoologia e fondò un
importante museo.
Alessandro Buvoli, medico oculista nato in Provincia di Mantova nel 1840.
Diplomato presso l'Università di Bologna in medicina e chirurgia. Nel 1860
combatté agli ordini di Garibaldi e fu decorato con la Medaglia al Valore
Militare nelle campagne contro il brigantaggio. Giunse a Buenos Aires sul
“Duca di Galiera” il 31 luglio 1898. A La Plata (Buenos Aires) fondò il
Circolo Italiano.
Giovanni Carcano, medico chirurgo nato a Milano e diplomato presso
l'Università di Pavia. Giunse in Argentina il 14 febbraio 1890 sul vapore
“Nord America” e si trasferì a Rosario. Esercitò la professione presso la
Sezione Croce Rossa Italiana del Consolato e dell'Ospedale Italiano
Garibaldi di Rosario. Visitò Napoli e lì contrasse la febbre tifoidea che lo
portò alla morte nel 1900.
Giuseppe Casari, medico chirurgo diplomato presso l'Università di Modena.
Giunse in Argentina nel 1875 quando eserciva la professione a bordo delle
navi transatlantiche. Poi esercitò la professione a Buenos Aires e Bella
Vista (Corrientes).
Francesco Cestini, medico chirurgo e farmacista nato a Vigevano (Pavia) nel
1838. Esercitò la professione, anche se non diplomato, in Provincia di
Buenos Aires. Scrisse il Ensayo Historico sobre la Ensenada de Barragan. Nel
1879 era l'unico farmacista a Ensenada dove morì nel 1899.
Augusto Caminada, farmacista nato a Menaggio (Como) nel 1848. A Gravedona
dove risiedeva fu assessore comunale. Giunse in Argentina il 17 febbraio
1889 sul “Ducchesa di Genova”. Esercitò la professione a Chivilcoy (Buenos
Aires). Morì a Como.
Girolamo Canessa, medico chirurgo diplomato presso l'Università di Modena.
Giunse in Argentina nel 1892. Esercitò la professione a Curuzu Cuatia
(Corrientes) fino alla sua scomparsa.
Carlo Guizzetti, farmacista e chimico nato a Bergamo nel 1855. Laureato
presso l'Università di Pavia. Giunse in Argentina il 27 febbraio 1882 sul
“Nord America”. Esercitò la professione a San Nicolas (Buenos Aires). Fu
agente consolare d'Italia in loco.
Pietro Lasagna, medico chirurgo laureato presso l'Università di Modena. Fu
Tenente dell'Esercito Italiano e giunse in Argentina il 10 dicembre 1898
sulla “Spagne”. Esercitò la professione a Buenos Aires y Diamante (Entre
Rios). Nel 1911 risiedeva a Crespo (Entre Rios).
Giuseppe Poisa, farmacista e chimico nato a Brescia nel 1851. Laureato
presso l'Università di Pavia. Giunse in Argentina il 2 marzo 1882 sul vapore
“Sudamerica”. Esercitò la professione all'Ufficio Chimico di La Plata
(Buenos Aires). Gestiva la Farmacia Demarchi, una delle più note all'epoca.
Francesco Rolando, medico chirurgo diplomato presso l'Università di Pavia.
Giunse in Argentina nel 1889. Poi esercitò la professione a Capilla del
Señor (Buenos Aires).
Giuseppe Testa, medico chirurgo diplomato presso l'Università di Pavia.
Giunse in Argentina il 24 ottobre 1915 sul “Re Vittorio”. Esercitò la
professione a Rosario (Santa Fe) presso l'Ospedale Italiano Garibaldi. In
seguito ad Arequito e Armstrong.
Vladimiro Zawerthal, medico chirurgo nato a Milano nel 1852. Diplomato
presso l'Università di Pavia. Nel 1879 fu nominato Cavaliere d'Italia e tre
anni dopo Ufficiale della Corona Italiana. Giunse in Argentina nel 1890. Poi
esercitò la professione a Buenos Aires.
Jorge Garrappa Albani – Redazione Argentina
jgarrappa@hotmail.com – www.lombardinelmondo.org
L'oreficeria coloniale
Negli anni in cui Angelo Maria Camponeschi viveva e lavorava a Buenos Aires, altri italiani partivano dall'Europa per approdare sul suolo americano. Tra loro vi erano due fratelli nati nel Ducato di Parma: José e Abdòn Boqui . Il loro cognome italiano era Bocchi, ma fu successivamente ispanizzato in Boqui, e con il cognome spagnolo vengono sempre ricordati. La data del loro arrivo a Buenos Aires è incerta.
La maggior parte delle fonti indica come data presumibile i primi anni dell'800, ma alcuni lavori di oreficeria realizzati a Buenos Aires alla fine del XVIII secolo, e attribuiti a uno dei fratelli, sembrano confermare come data di arrivo quella proposta da Vicente Gesualdo che la colloca nell'ultima decade del '700.
Sempre secondo lo storico Vicente Gesualdo i due arrivarono in compagnia del romano Martino de Petris di cui abbiamo precedentemente accennato una breve biografia.
A confermare questa data, oltre alle già citate opere di oreficeria, vi è anche il resoconto di una perizia tecnica effettuata a Buenos Aires nel 1796 a cui parteciparono i due fratelli.
Una cronaca del tempo riporta infatti che i due fratelli Boqui, assieme a Martino de Pretis ed altri periti, valutarono la collezione di macchine di fisica sperimentale di Don Martìn de Altolaguirre . In quell'occasione José Boqui, in qualità di perito, si fregiò del titolo di: “Don José Boqui maestro titulado en Madrid del arte de platerìa, de fundiciones, tirado a kilo, làmina, torno, buril, cincel y pulimentos è inventor y fabricante de matrices de bronce para fundir dibujo, vaso, roscas y tuercas..fundidor de cadenas…” .
In questa ricerca biografica ci occuperemo soltanto di José Boqui, visto che del fratello Abdòn niente si sa oltre queste poche e frammentarie notizie.
José nacque a Parma nel 1770 con il nome di Giuseppe e giovanissimo si impiegò presso la bottega orafa di Paolo Bocchi. Sempre giovanissimo, lasciò l'Italia per trasferirsi in Spagna , dove proseguì gli studi artistici presso il collegio di Madrid e iniziò a lavorare, dividendosi tra Barcellona e Madrid. Nel suo periodo spagnolo realizzò come argentiere, vari ostensori e arredi liturgici.
Dopo aver vissuto per alcuni anni in terra iberica, José, assieme al fratello, decise di trasferirsi in America. La ragione di questa decisione ci è ignota. Arrivò a Buenos Aires tra il 1793 e il 1795. Nella città intraprese nuovamente la carriera di argentiere e di cesellatore realizzando numerose opere anche di pregevole valore, tanto che lo scrittore gesuita Guillermo Cardiff Furlong, autore di molti saggi storici, lo considera il più abile orafo della capitale nei primi anni dell'Ottocento .
Del primo periodo argentino di Boqui si conserva ancora oggi nella collezione Hèctor Schenone y S.ra un'aureola in argento e bronzo, che probabilmente era collocata sopra la testa di un santo domenicano e che nella sua parte interna, oltre alla decorazione di un pentagramma con note musicali, porta una sibillina scritta: Jph Boqui Parmensis Inv fet ano 1799 / Ad Solum de Sto Benemerendi Causa / Si me quieres desarmar / Pìensalo para no errar.
Nel 1801 Giuseppe Boqui realizzò, per il convento di San Domenico di Buenos Aires, due ostensori, che furono valutati 9.000 pesos quello grande e 2.000 quello piccolo . Purtroppo durante la seconda invasione inglese di Buenos Aires i due oggetti furono trafugati dai soldati britannici che per un periodo occuparono il convento.
Tra il 1803 e il 1809 il parmense lavorò ancora ad un ostensorio, che poi portò con se in Perù e che oggi si trova nella cattedrale di Trujillo. Sul piedistallo si può leggere ancora la firma e la piccola dedica: “Joseph Boqui, Aurifex Parmensis et Collegi Matritensis invenit et Coepit Bonis Auribus a. 1803 atque ipse unus impensis suis eam venditurus perfecit a.1809” .
La caratteristica principale di questo ostensorio è un'altra scritta nel piedistallo, che invita l'osservatore a cercare un piccolo cassetto, nascosto nell'ostensorio stesso, che contiene la spiegazione per aprire la teca dove è custodito il Santissimo Sacramento. La scritta dice: “Un cajoncito en la peana / encierra la explicaciòn / que te enseña a desarmarme / leyendo con atenciòn”.
L'attività porteña del Boqui non si limitò soltanto alla realizzazione di opere di oreficeria o di incisione. La prima lanterna magica (una sorta di proiettore per diapositive) che fu ammirata a Buenos Aires fu portata dalla Francia proprio dall'argentiere italiano che l'aveva acquistata in Europa. La lanterna fu poi venduta nel 1795 al sacerdote Juan Bautista Goiburu, direttore della cappella musicale della cattedrale .
Dopo pochi anni dal suo arrivo a Buenos Aires José si iscrisse alla loggia massonica San Giovanni di Gerusalemme. In quell'ambiente, dove si stava sviluppando il seme della rivoluzione, incontrò José de San Martìn, che forse aveva precedentemente conosciuto a Cadice quando l'eroe argentino, arruolato nelle truppe spagnole, combatteva Napoleone. Boqui conobbe qui anche altri rivoluzionari, tra cui il poeta cordobese Josè Antonio Miralla, a cui lo legherà una profondissima amicizia. Così, oramai a contatto con i settori repubblicani della società porteña, si arruolò nella milizia cittadina a difesa della città durante la prima invasione inglese del 1806-07. Il suo ingegno e la sua abilità di fonditore, gli permisero di realizzare cannoni con un nuovo sistema di puntamento che furono utilizzati con successo nella difesa di Buenos Aires.
Nel 1810 a causa della delusione per la mancata vendita di un ostensorio che aveva realizzato, decise di abbandonare l'Argentina e di trasferirsi in Perù assieme alla famiglia e all'amico Miralla .
Boqui costruì delle resistentissime custodie in legno, vi ripose l'ostensorio smembrato e partì con una colonna di muli alla volta di Lima. Arrivati il 20 luglio del 1810 in città, furono presto coinvolti nella fallita cospirazione contro il Viceré Fernando de Abascal, cospirazione detta “dei porteños” per il fatto che la maggioranza degli affiliati erano di origine argentina. I cospiratori furono arrestati, ma vennero successivamente assolti dall'accusa di tradimento (per la quale vigeva la pena di morte), anche se nel settembre dello stesso anno, furono costretti a lasciare il paese. Nel 1815, alla partenza del Viceré Abascal, Boqui tornò a Lima riprendendo la sua attività di argentiere. Le difficoltà economiche in cui versava lo costrinsero a dedicarsi anche ad altri lavori come quello di inventore di macchine per il pompaggio dell'acqua dai pozzi minerari. In cambio della somma di 40.000 pesos che gli furono prestati dalla camera di commercio di Lima per realizzare questi progetti, fu costretto ad impegnare il suo ostensorio, che fu depositato sotto custodia nella fortezza militare del Callao. La macchina per il pompaggio dell'acqua fu un completo fallimento e l'italiano si trovò in una posizione molto scomoda nei confronti dei creditori e delle autorità locali che avevano creduto in lui .
A salvarlo da questa difficile situazione arrivò José de San Martin a capo dei rivoluzionari.
Secondo lo storico cileno Vicuña Mackenna , Boqui agì nel territorio peruviano come agente segreto dello stesso San Martìn e grazie ai suoi servigi fu da San Martìn stesso insignito “Benemérito de la orden del Sol”.
Dopo pochi mesi dalla proclamazione dell'indipendenza, l'argentiere italiano venne nominato direttore della zecca dello stato. La sua nomina, vista la non cristallina reputazione, fece scalpore negli ambienti della città peruviana, ma in una lettera datata 19 novembre 1821, San Martìn scrisse: “reconociendo el celo infatigable de vuestra señorìa y su interès y desvelos por la felicidad de los peruanos.” .
Grazie alla nuova carica, Boqui elaborò alcuni progetti per la creazione di una banca di emissione e di una di sconto, presentò diverse proposte circa l'organizzazione delle finanze dell'epoca e collaborò con il ministro del tesoro Hìpolito Unanue. I progetti sono ancora conservati in 187 documenti presso l'Archivio storico del Ministero dell'Economia del Perù . Continuò allo stesso tempo anche la sua attività di orafo, trasformando molti oggetti preziosi confiscati alle famiglie realiste, in altrettanti oggetti preziosi che finirono in mano ai membri dell'ordine del Sol.
Le truppe repubblicane, scarse come numero e mezzi rimasero poco tempo a Lima e furono costrette ad abbandonare la città all'arrivo delle truppe realiste. Boqui, compromesso con i rivoluzionari, scappò da Lima. Si impossessò di un cospicuo numero di opere di oreficeria, si fece riconsegnare il prezioso ostensorio e partì dal porto di Callao alla volta di Genova.
Rientrò così dopo moltissimi anni in Italia dove rimase fino alla morte nel 1848.
Il governo peruviano, intentò negli anni successivi alla fuga dal Perù, una causa contro Giuseppe Bocchi e successivamente contro i suoi eredi per la restituzione degli oggetti trafugati e di alcune somme di denaro che l'italiano doveva allo stato. Della causa se ne occupò il tribunale di Genova anche se sia la corte spagnola che quella del regno di Sardegna cercarono di influenzare il verdetto. La causa, con la nascita della repubblica Peruviana, terminò con un giudizio di non colpevolezza, ma dell'ostensorio, che era custodito nei depositi Oneto di Genova, si persero le tracce. Quando le casse furono aperte il contenuto era sparito.
La misteriosa e improvvisa partenza da Lima del parmense e le custodie che contenevano il prezioso ostensorio hanno suscitato la curiosità e gli interrogativi di molti.
Ricardo Palma nel suo libro “tradiciones Peruanas” dedica un intero capitolo alla vicenda della fuga dell'orefice intitolandolo proprio “la custodia de Boqui”.
Da “L'emigrazione di artisti e artigiani italiani nelle Repubbliche del Plata”
di Gabriele Cappelli
Le prime scuole di disegno, inizio XIX secoloCon l'inizio del secolo XVIII, le tensioni anti-spagnole della borghesia creola argentina trovarono nella situazione politica europea una sponda legittimista. La rivoluzione americana e successivamente quella francese, con tutto quello che ne conseguì, indicarono ai sudamericani la via per l'emancipazione politica.
L'apertura al commercio internazionale dei porti e una politica più liberale attenuarono, ma non per molto, le tensioni rivendicative della borghesia.
I figli dei ricchi signori, che avevano frequentato le migliori scuole europee, portarono dal vecchio continente nuove idee e anche nelle attività artistiche il vento del cambiamento cominciò a soffiare. La pittura di quel periodo era infatti regolata dalle autorità regie al pari di tutte le altre arti liberali. A Còrdoba, già nel 1600, esisteva una corporazione dei pittori del tutto simile a quella degli argentieri, dei fabbri o degli ebanisti.
Una cronaca del 1789 ci racconta di come in quel periodo fosse necessario, da parte dell'autorità pubblica, un controllo sulle botteghe dei pittori, per difendere i clienti che troppo spesso venivano frodati da sedicenti pittori. Il pittore che desiderava aprire un negozio o una bottega, doveva così richiedere il permesso alle autorità e dimostrare attraverso una prova manuale le sue capacità e l'idoneità all'esercizio della professione. La prova si teneva alla presenza del “Maestro Mayor”, che rappresentava la massima autorità della corporazione e che era eletto ogni primo dell'anno direttamente dal cabildo della città. Oltre all'affiliazione dei pittori alla corporazione, le autorità regolavano, attraverso un tariffario, anche il prezzo massimo per la realizzazione delle opere, così come era regolato l'impiego degli apprendisti nelle botteghe.
Il controllo da parte delle autorità consentiva anche di valutare la qualità delle opere prodotte e di impedire la diffusione delle “pinturas indecentes”. Le autorità spagnole, con la collaborazione del commissario del santo uffizio di Buenos Aires, controllavano le opere prodotte nel paese o arrivate dall'Europa, censurandole qualora presentassero scene di nudi o fossero troppo contrarie alla “morale” .
Il controllo censorio e capillare delle autorità rendeva perciò il mercato artistico argentino ingessato e poche erano le opere di un certo livello che venivano realizzate. Il primo tentativo di aprire una scuola di disegno nella capitale lo si deve a Emanuele Belgrano, discendente da una famiglia di commercianti di Oneglia, paese in provincia di Genova, emigrati in Argentina.
Emanuele, dopo aver studiato vari anni in Spagna, nel 1799 fece ritorno a Buenos Aires, e trovò presto lavoro come segretario del consolato spagnolo per il commercio. Con questo incarico si dedicò all'istituzione di corsi scolastici sulla navigazione, sull'agricoltura, sul commercio e sul disegno .
La scuola del consolato rimase aperta fino al 1803, e fu chiusa con un ingiunzione delle autorità, che videro in questa istituzione un focolaio del malcontento contro la Spagna. Dovranno passare 12 anni prima che un'esperienza simile sia nuovamente riproposta nella capitale. Le vicende politiche dei primi anni del secolo cambiarono radicalmente il panorama delle colonie.
Il 25 maggio del 1810 una giunta composta da nove membri (tra cui vi era anche Belgrano) dichiarò decaduta l'autorità spagnola sulla regione. Fu l'inizio della rivoluzione, durata sei anni, che portò nel 1816 alla definitiva proclamazione della repubblica Argentina. Il sentimento anti-spagnolo durante l'epoca rivoluzionaria si diffuse in tutta la società, influenzandone i gusti e le aspettative. Questo sentimento portò al rifiuto di tutto quello che aveva rappresentato il potere coloniale negli ultimi tempi, compresa l'arte. La vecchia tradizione artistica coloniale, fatta principalmente di immagini religiose, subì la nuova “censura” culturale questa volta di senso rivoluzionario.
Nel volume di memorie di Faustino Sarmiento, vi è un commento all'epoca rivoluzionaria. Il politico argentino ricorda la rivoluzione, e gli influssi che questa ebbe nei confronti della vecchia arte coloniale: “…la revoluciòn venìa ensañàndose contra los emblemas religiosos. Ignorante y ciega en sus antipatìas, habìa tomado entre ojos la pintura, que sabìa a España, a colonia a cosa antigua e inconciliable con las buenas ideas. Familias devotìsimas escondìan sus cuadros de santos por no dar muestras de mal gusto en conservarlos.”
Questa caccia iconoclastica alle opere religiose avvenne anche a dispetto della maggioranza della popolazione che rimase sempre fedele al cattolicesimo e alle sue manifestazioni artistiche.
Le nuove tendenze artistiche vennero rappresentate da un nuovo genere pittorico: il ritratto, che sostituì la vecchia iconografia religiosa.
Come avvenne in quegli anni nella “vecchia” Europa, i ricchi porteños passarono sempre più tempo davanti al cavalletto del pittore, riempiendo le loro case di ritratti individuali e collettivi, con scene equestri o di normale vita quotidiana.
Tutti i più famosi pittori di questo periodo si dedicarono a questo genere pittorico, che in tanti casi, rappresentò la loro unica fonte di guadagno. La vivacità artistica, dettata dai fatti rivoluzionari permise lo sviluppo anche di altri generi pittorici quali: il paesaggio, la natura morta, le pitture con scene di marina, la pittura di costume e il disegno. Anche la scenografia, con l'apertura dei nuovi teatri, richiamò molti artisti (alcuni italiani) che dipinsero sfondi per le rappresentazioni teatrali.
E fu in questo nuovo clima che il 10 agosto del 1815, ad oramai 15 anni dal primo corso di disegno del consolato, in un freddo giorno dell'inverno australe, un frate del monastero della recoleta pronunciò il discorso di inaugurazione della nuova Accademia di disegno. Il frate si chiamava Francisco de Paula Castañeda e nelle parole che in quell'occasione pronunciò vi era tutta la consapevolezza di quanto fosse arduo il compito che si prefiggeva di realizzare. Diceva infatti: “..desde ahora tomo sobre mis dèbiles hombros la ardua empresa de hacer comùn el dibujo, no sòlo en esta ciudad y suburbios, sino también en ésta nuesta campaña..”
In quello stesso giorno il religioso presentò i lavori di diciotto giovani artisti argentini, i quali nei mesi precedenti, avevano frequentato le due piccole scuole di disegno che lo stesso frate aveva istituito presso il suo convento, accanto alla chiesa del Pilar .
La mancanza di fondi e la distanza dal centro della città, avevano però costretto il Castañeda a richiedere al Cabildo della città, locali più ampi ed economie più adeguate per l'apertura permanente della scuola. E furono proprio le insistenze del francescano a permettere l'inaugurazione della prima accademia di disegno.
Due giorni dopo, sul giornale “la Gaceta” venne pubblicato il seguente avviso: “los alumnos que quieran entrar a la escuela de dibujo, ocurran a alistarse a la casa del Prior del Tribunal del Consulato, que vive al lado de éste. Da principio dicha escuela el miércoles 16 del corriente agosto de las seis a las ocho de la noche.” L'insegnamento, nel primo periodo di vita dell'Accademia, fu impartito principalmente da due maestri: il belga Joseph Guth e il francese Josè Rousseau.
Dai primi piccoli locali del consolato, l'Accademia si trasferì in seguito nelle spaziose e illuminate sale nei pressi del convento dei gesuiti. Qui l'istituzione si ingrandì fino ad accogliere più di cento alunni . Con l'inizio del secondo decennio del secolo, le autorità argentine ritennero giunto il momento di fondare anche a Buenos Aires un'università. Fu incaricato della realizzazione del progetto il dott. Antonio Sàenz che nei mesi successivi concluse un accordo con l'Accademia per il trasferimento dei suoi corsi sotto il controllo dell'università. Nel 1822 l'Università di Buenos Aires accolse nel dipartimento di scienze esatte i corsi dell'Accademia di disegno e del collegio. Il corso di disegno fu ancora diretto da Joseph Guth, ma già nel 1828, in sostituzione dell'insegnante svizzero fu chiamato a dirigere il corso, l'italiano Paolo Caccianiga.
Da “L'emigrazione di artisti e artigiani italiani nelle Repubbliche del Plata”
di Gabriele Cappelli
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Sulle tracce dei medici lombardi in ArgentinaRoberto Alhadeff nacque a Milano nel 1923 ed arrivò in Argentina nel 1956. Frequentò la Facoltà di Medicina a Milano e poi andò all'Università di Oxford (Inghilterra) dove si laureò in medicina e si diplomò come docente. Scrisse diverse tesi di carattere scientifico. Morì a Buenos Aires nel 1973.
Giuseppe Bolognini, medico chirurgo diplomato presso l'Università di Pavia. Giunse in Argentina nel 1878. Esercitò la professione in Uruguay, a Buenos Aires, Campana e Olavarria (Buenos Aires).
Pio Attendolo Bolognini, medico chirurgo diplomato presso l'Università di Pavia. Giunse in Argentina nel 1886. Esercitò la professione in Uruguay, Paraguay e Brasile. Si dedicò alla botanica e alla zoologia e fondò un importante museo.
Alessandro Buvoli, medico oculista nato in Provincia di Mantova nel 1840. Diplomato presso l'Università di Bologna in medicina e chirurgia. Nel 1860 combatté agli ordini di Garibaldi e fu decorato con la Medaglia al Valore Militare nelle campagne contro il brigantaggio. Giunse a Buenos Aires sul “Duca di Galiera” il 31 luglio 1898. A La Plata (Buenos Aires) fondò il Circolo Italiano.
Giovanni Carcano, medico chirurgo nato a Milano e diplomato presso l'Università di Pavia. Giunse in Argentina il 14 febbraio 1890 sul vapore “Nord America” e si trasferì a Rosario. Esercitò la professione presso la Sezione Croce Rossa Italiana del Consolato e dell'Ospedale Italiano Garibaldi di Rosario. Visitò Napoli e lì contrasse la febbre tifoidea che lo portò alla morte nel 1900.
Giuseppe Casari, medico chirurgo diplomato presso l'Università di Modena. Giunse in Argentina nel 1875 quando eserciva la professione a bordo delle navi transatlantiche. Poi esercitò la professione a Buenos Aires e Bella Vista (Corrientes).
Francesco Cestini, medico chirurgo e farmacista nato a Vigevano (Pavia) nel 1838. Esercitò la professione, anche se non diplomato, in Provincia di Buenos Aires. Scrisse il Ensayo Historico sobre la Ensenada de Barragan. Nel 1879 era l'unico farmacista a Ensenada dove morì nel 1899.
Augusto Caminada, farmacista nato a Menaggio (Como) nel 1848. A Gravedona dove risiedeva fu assessore comunale. Giunse in Argentina il 17 febbraio 1889 sul “Ducchesa di Genova”. Esercitò la professione a Chivilcoy (Buenos Aires). Morì a Como.
Girolamo Canessa, medico chirurgo diplomato presso l'Università di Modena. Giunse in Argentina nel 1892. Esercitò la professione a Curuzu Cuatia (Corrientes) fino alla sua scomparsa.
Carlo Guizzetti, farmacista e chimico nato a Bergamo nel 1855. Laureato presso l'Università di Pavia. Giunse in Argentina il 27 febbraio 1882 sul “Nord America”. Esercitò la professione a San Nicolas (Buenos Aires). Fu agente consolare d'Italia in loco.
Pietro Lasagna, medico chirurgo laureato presso l'Università di Modena. Fu Tenente dell'Esercito Italiano e giunse in Argentina il 10 dicembre 1898 sulla “Spagne”. Esercitò la professione a Buenos Aires y Diamante (Entre Rios). Nel 1911 risiedeva a Crespo (Entre Rios).
Giuseppe Poisa, farmacista e chimico nato a Brescia nel 1851. Laureato presso l'Università di Pavia. Giunse in Argentina il 2 marzo 1882 sul vapore “Sudamerica”. Esercitò la professione all'Ufficio Chimico di La Plata (Buenos Aires). Gestiva la Farmacia Demarchi, una delle più note all'epoca.
Francesco Rolando, medico chirurgo diplomato presso l'Università di Pavia. Giunse in Argentina nel 1889. Poi esercitò la professione a Capilla del Señor (Buenos Aires).
Giuseppe Testa, medico chirurgo diplomato presso l'Università di Pavia. Giunse in Argentina il 24 ottobre 1915 sul “Re Vittorio”. Esercitò la professione a Rosario (Santa Fe) presso l'Ospedale Italiano Garibaldi. In seguito ad Arequito e Armstrong.
Vladimiro Zawerthal, medico chirurgo nato a Milano nel 1852. Diplomato presso l'Università di Pavia. Nel 1879 fu nominato Cavaliere d'Italia e tre anni dopo Ufficiale della Corona Italiana. Giunse in Argentina nel 1890. Poi esercitò la professione a Buenos Aires.
Jorge Garrappa Albani – Redazione Argentina
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