di Paolo Pillitteri
C’era una allocuzione del vecchio Pietro (Nenni) riferita alla corsa al sorpasso massimalista, lo sport a lungo privilegiato dai socialisti con esiti generalmente scissionistici: c’è sempre uno più puro che ti epura. Traduzione: nella rincorsa a sinistra, abbandonando il riformismo e radicalizzando le posizione, troverai sempre qualcuno più “estremista”di te, più puro, che ti epura. Sembra questo il destino di Veltroni, anche dopo la batosta abruzzese della quale, a sentirlo in Tv l’altra sera, ha dovuto bensì prendere atto. Confermando, nel contempo, l’alleanza con quel Di Pietro che gli ha cannibalizzato il Pd e si appresta a compiere ulteriori “fieri pasti” a spese della sinistra. Dico sinistra e non solo Pd, a ragion veduta. Se lo schema della nostrana gauche, salvo rare eccezioni, è quello di sempre, mutuato dal berlinguerismo moralistico e consolidato nelle adesioni perinde ac cadaver alle strategie giudiziarie dei ’90, per annientare gli avversari politici, è chiaro che, prima o poi, il modello Di Pietro finirà con l’imporsi a largo raggio. Non solo perché l’azione dipietresca di quegli anni funzionò come un’arma letale contro i partiti democratici anticomunisti, legittimando i postcomunisti di Occhetto (gioiosa macchina da guerra) ma anche, e direi soprattutto, perché il giustizialismo è talmente penetrato e sedimentato nella sinistra (pensate a un Fava, a un Dalla Chiesa, a un Pecoraro Scanio, a un Diliberto) da autorappresentarsi come la loro vera e propria ragion d’essere, come una nuova sub ideologia/subcultura col marchio doc dell’etica (pro modo sua, beninteso). E con la clava della questione morale da agitare contro i corrotti (gli altri). A un simile esito si è pervenuti, e ad ulteriori balzi in avanti presto o tardi si arriverà, perché, assumendo la questione morale (in realtà si dovrebbe parlare di questioni morali: nella sanità, nella finanza, nella giustizia) come elemento fondante della politica, è stata affidata alla magistratura la delega in bianco per fare il repulisti nella corruzione diffusa, ponendola come intangibili vestali, guardiane della nuova virtù. Col risultato, in Italia, di raggiungere, da un lato un nuovo record della crescita corruttiva in politica, nella società, nella finanza, dall’altro di far aumentare a dismisura quel potere autoreferenziale, che ha causato la morte di governi, è finito fuori controllo, si sbrana in correnti, cannibalizzandosi a vicenda (Salerno-Catanzaro, ma non solo). Sullo sfondo la devastazione della giustizia come servizio al cittadino, che è, appunto, un’altra delle questioni morali. Dimenticando che solo la politica è capace di autoriformarsi e che la clava della questione morale, usata nel contesto della Polis, diventa uno strumento della politica, Veltroni, con quasi tutta la sinistra, è finita nella trappola del Caudillo del partito dei giudici. Per la sua storia all’ombra delle manette e delle forche, dell’odio e del rancore per il nemico, coi suoi angoli bui e certi risvolti inquietanti graziati dai giudici, quella di Di Pietro non è ancora una biografia della nazione, ma sta già diventando l’autobiografia di una sinistra che ha perso la sua anima e ha tradito la sua storia, rifiutando l’autocritica, perdendo l’identità, dando la caccia al capro espiatorio, cancellandone nomi, simboli, storie. Perché, loro, volevano un nuovo inizio. Eccolo. Con Di Pietro, il più puro che li epura. (Laici.it)
(articolo tratto dal quotidiano 'L'opinione delle Libertà' del 18 dicembre 2008)