RIPROPONIAMO QUELLA “MERAVIGLIOSA UTOPIA”

di Filippo Giannini

C’E’ UN PASSO DEL VANGELO CHE ATTESTA: “GIUDICATE L’ALBERO DAI FRUTTI CHE GENERA”.

. Quest’anno, 2008, ricorre il 65° anniversario dell’enunciazione di quello che viene ricordato come il “Manifesto di Verona”. Quanto in esso contenuto è la logica conseguenza delle origini fasciste del 1919: principi che hanno attraversato il “Ventennio”, con un susseguirsi costante di decreti e leggi, di chiarissime finalità sociali, che già allora erano all’avanguardia, non solo in Italia, ma nel mondo intero e senza le quali oggi vivremmo su “palafitte sociali”. Tappa fondamentale di questo processo sono i principi essenziali dell’ordinamento corporativo, espressi e ordinati dalla “Carta del Lavoro” che vide la luce il 21 aprile 1927. La “Carta del Lavoro” portava il lavoratore fuori dal buio del medioevo sociale per immetterlo in un contesto di diritti dove i rapporti fra capitale e lavoro erano, per la prima volta nel mondo, previsti e codificati.
In altre parole, la nascita dello Stato Corporativo rappresentò l’intento di superare sia le angustie imposte dallo Stato liberale, sia le sanguinose illusioni dello Stato sovietico. Questo esperimento, tutto italiano, incontrò vasti consensi presso i lavoratori di tutto il mondo, tanto da spaventare i manovratori della finanza internazionale che avvertì il pericolo mortale e operò per abbattere il Fascismo e le sue idee. Cosa che si verificò con la violenza delle armi.
Il 14 ottobre 1944 Benito Mussolini così sintetizzava, lapidariamente, quei “Punti” i cui aspetti vitali erano le leggi sulla socializzazione delle imprese: .
Questa “meravigliosa utopia” è oggi riproponibile per risolvere i problemi che angustiano l’attuale mondo, privo di ogni remora e adagiato sul sistema di vita americano?
Il teorico e storico della dottrina cattolica Don Ennio Innocenti, che tanti anni ha dedicato allo studio e all’insegnamento, ha scritto che il problema affrontato da Mussolini nell’ultimo decennio della vita . E ha aggiunto: .
Che il messaggio mussoliniano sia , si evince chiaramente anche dall’ enciclica “Rerum Novarum” di Papa Leone XIII del 1891, nella quale è definita la dottrina sociale della Chiesa. In essa è ben chiara la condanna degli eccessi del capitalismo e dei monopoli; la denuncia dello sfruttamento dei lavoratori qualificandolo come peccato sociale, ribadisce, nel contempo, la legittimità della proprietà, ma solo come funzione sociale che deve essere rispettata.
Nonostante l’accostamento di principi così elevati, il “messaggio” del novembre 1943 è stato obliato proprio da quegli stessi che si sono considerati gli epigoni e i continuatori delle idee del Fascismo e della Repubblica Sociale. E’ superfluo precisare che questa considerazione non è rivolta a coloro che hanno aderito ad Alleanza Nazionale dopo le abiure di Fiuggi del 1995.
In questo secondo interminabile dopoguerra è stato scritto dai seguaci di questa “Repubblica nata dalla Resistenza” che l’idea mussoliniana della Socializzazione . E’ uno dei tanti artifizi di un regime corrotto e inetto, terrorizzato dal dover affrontare un serio confronto con lo Stato che lo aveva preceduto; tanto terrorizzato che è stato costretto a creare una cortina di menzogne e, contestualmente, a varare leggi antidemocratiche e liberticide, quali la “Legge Scelba”, la “Legge Reale” e la “Legge Mancino”. L’attuabilità della socializzazione delle imprese è dimostrata dalla storia. Infatti, anche se la situazione nel 1944 stava precipitando a causa del disastroso corso della guerra, nelle imprese socializzate si riscontrò un notevole incremento della produzione. A dicembre 1944 Nicola Bombacci programmò una serie di comizi e conferenze fra le imprese socializzate e, tra queste, visitò la Mondadori, traendone sorpresa e emozione. A seguito di ciò, inviò una lettera a Mussolini nella quale, fra l’altro, scrisse: .
La guerra volgeva ormai alla fine e, come ha scritto Amicucci ne “I 600 giorni di Mussolini”: .
A metà aprile 1945 gli eserciti invasori ruppero il fronte a Bologna e dilagarono nella pianura Padana.
Era la fine.
I comunisti che controllavano il C.L.N.A.I., come primo atto ufficiale, firmato da Mario Berlinguer (padre di Enrico), addirittura il 25 aprile, mentre si continuava a sparare ed era iniziato “l’olocausto nero”, come primo atto ufficiale, ripeto, abolirono la legge sulla socializzazione. Era il dovuto riconoscimento da parte dei comunisti verso il grande capitale, per l’aiuto economico elargito da quest’ultimo al movimento partigiano.
Sin qui mi sono soffermato su brevissimi cenni storici, necessari per entrare nell’argomento di una proposta che ci ha visti impegnati.
In occasione del 60° anniversario del “Manifesto di Verona” (per la precisione presentato a novembre 2003) fu studiato e concepito il “Manifesto del 2000”, con l’intento di indirizzarlo agli italiani e agli europei (anche per chiarire come vediamo noi l’Unità Europea). Il Manifesto è tutt’ora in attesa di essere accettato e fatto proprio da quegli organismi che (a parole) affermano di rifarsi ai principi mussoliniani. Il Manifesto del 2000 può essere il catalizzatore per indurre i vari ducetti del fazzoletto per trovare quell’accordo di unità. Siamo certi che riproporre questi principi potrà sviluppare un valore politico che mira ad appianare anni di divisioni e contestare ambiguità e abiure.
L’iniziativa che si svolge al di sopra e al di fuori di ogni partito, è stata concepita da personalità di indiscusso valore quali Manlio Sargenti, Rutilio Semonti, Alberto Spera, Giacinto Auriti, Andrea Wolff, Stelvio Dal Piaz e da tanti altri (ultimo fra i quali l’autore di questo pezzo). Nomi che garantiscono la serietà dell’intento.

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