In Campania l’acqua è avvelenata

E i militari USA bevono San Benedetto
di Antonio Mazzeo

Solventi chimici, diossina e persino arsenico nelle acque dei comuni
campani in cui vivono le famiglie dei militari USA di stanza a Napoli. I
risultati dei test effettuati dalla US Navy in 166 abitazioni prese in
affitto nel napoletano e nel casertano delineano un gravissimo scenario
di contaminazione chimica e biologica delle risorse idriche locali.
“Sono altissime le concentrazioni di componenti organiche volatili in
undici abitazioni di Casal di Principe”, scrive il Comando della Marina
che ha ordinato lo sgombero immediato del personale ivi ospitato ed il
suo trasferimento nella base di Gricignano. Mentre Casal di Principe
viene dichiarata “off limits”, l’accertata presenza di agenti chimici in
“quantità inferiori” nelle abitazioni occupate dai militari USA ad
Arzano, Marcianise e Villa Literno ha determinato la “sospensione
temporanea degli affitti” in questi tre comuni.
Il composto inquinante rilevato nelle acque è il tetracloroetene, anche
noto come tetracloroetilene o PCE, un alogenuro organico utilizzato come
solvente per lo sgrassaggio dei metalli nell’industria metallurgica,
chimica e farmaceutica e per la produzione di pesticidi. Il suo uso è
pure comune nelle lavanderie a secco, nei laboratori fotografici e nelle
officine dove viene rimossa la vernice da superfici metalliche. Un
solvente similare noto commercialmente è la trielina, che si differenzia
dal PCE per avere un atomo di carbonio in meno (è infatti detto
“tricloroetilene”

). Il tetracloretene, scarsamente biodegradabile, è assai nocivo per
l’uomo e per l’ambiente. Inalato, deprime il sistema nervoso centrale e
produce sintomi simili a quelli dell’ubriacatura da alcolici: mal di
testa, confusione, difficoltà nella coordinazione motoria, riduzione
delle percezioni tattili. “Generalmente – avverte la nota emessa dal
Comando della Stazione
della Us Navy di Napoli – gli effetti immediati del PCE possono includere
irritazione di occhi, naso e gola; nausea, indebolimento della memoria e
disordini visivi. L’esposizione a grandi percentuali di solventi
volatili organici clorati (VOC) possono causare giramenti di testa,
ridurre la capacità di concentrazione e causare un irregolare battito
cardiaco. Si possono compromettere le capacità di risposta immunitaria
e, nel caso di una gravidanza, il corretto sviluppo del feto.
Esposizioni prolungate possono condurre al danneggiamento dei tessuti
epatici, renali e del sistema nervoso centrale”. Il tetracloroetilene è
considerato inoltre un agente cancerogeno.
In Italia, i prodotti contenenti tetracloroetilene sono classificati nel
decreto legislativo n. 152 del 2006 come “rifiuti pericolosi” e non
devono essere smaltiti in discarica o drenati nelle acque sotterranee.
In che modo il PCE sia finito nei rubinetti di alcuni comuni campani è
cosa tutta da accertare, ma gli “inaccettabili livelli” del solvente
riscontrati dalla US Navy hanno imposto l’allontanamento da Casal di
Principe di undici famiglie statunitensi. Una misura che non ha
preoccupato invece gli amministratori locali: la popolazione civile
continua infatti ad essere rifornita di acqua al tetracloroetilene. E,
forse, altri veleni.
Secondo quanto rivelato dal quotidiano delle forze armate Stars and
Stripes, in almeno una delle abitazioni in Campania sottoposte ad
analisi sarebbero state individuate infatti quantità allarmanti di
diossina, altra sostanza particolarmente pericolosa per la salute umana.
“Gli esperimenti hanno dimostrato che la diossina colpisce un alto
numero di organi e sistemi”, avvertono le forze armate statunitensi.
“Una volta entrata nel corpo, la sua presenza si prolunga nel tempo a
causa della sua stabilità chimica e dell’abilità ad essere assorbita dal
tessuto adiposo. L’esposizione per breve tempo ad alti livelli di
diossina può causare lesioni alla pelle e alterazione delle funzioni
epatiche. L’esposizione prolungata ha invece effetti cancerogeni sul
sistema immunitario, nervoso, endocrino e riproduttivo”. Ciononostante
il Comando USA di Napoli non ha voluto rivelare il nome della località
in cui sarebbe stata riscontrata diossina nelle
fonti idriche.
Omessa pure la notizia del rilevamento di un altro pericolosissimo
veleno, l’arsenico, particolarmente utilizzato in agricoltura come
pesticida, erbicida ed insetticida. A rivelare che nelle acque campane
scorre arsenico è stata la giovane moglie di un ufficiale statunitense,
Maria Ortiz. Madre di due bambini minori di otto anni, la Ortiz ha
ottenuto nel mese di giugno di essere trasferita con la famiglia in un
nuovo alloggio della base USA di Gricignano. Qualche mese prima il
Comando di Napoli aveva comunicato verbalmente al marito che i test
effettuati nella sua residenza a Villa Literno avevano evidenziato la
presenza di “alti livelli di arsenico e altri pericolosi agenti
chimici”. Un esame successivo confermò i “risultati del campione
preliminare con una presenza consistente di tetracloroetene”, senza però
fare più cenno all’arsenico. Maria Ortiz decise allora di rendere
pubblico quanto riscontrato nel test originario. “I valori di
arsenico dispersi nel suolo nella mia abitazione – ha dichiarato Maria
Ortiz – erano 40 volte più grandi di quelli che l’EPA, l’Agenzia per la
Protezione dell’Ambiente degli Stati Uniti, considera come una minaccia
potenziale in caso di un periodo espositivo di trent’anni. I risultati
delle analisi dell’acqua erano ancora peggiori. L’arsenico eccedeva il
limite di ben 180 volte. Se scarse quantità di arsenico nei rubinetti
sono comuni nelle aree caratterizzate da attività vulcanica, la stessa
EPA dichiara che valori più alti del veleno provengono dall’uso di
fertilizzanti e da alcuni alimenti per animali”. L’hinterland di Villa
Literno si caratterizza, appunto, per la coltivazione intensiva di
ortaggi e l’allevamento di bufali.
Come se non bastassero composti e veleni chimici, le analisi dei
laboratori delle forze amate statunitensi hanno pure accertato la
presenza di grandi quantità di coliformi fecali e locali in oltre il 30%
delle abitazioni “testate”. I comuni a rischio contaminazione biologica
sono quelli di Caserta, Casapesenna, Gricignano d’Aversa, Pozzuoli,
Santa Maria Capua Vetere, San Cipriano D’Aversa, Villa di Briano e
ancora Casal di Principe e Villa Literno. “I coliformi si trovano
normalmente negli intestini di animali a sangue caldo”, spiega la nota
diffusa dal Comando di Napoli. “I risultati delle analisi in 160
abitazioni hanno evidenziato che le acque dei rubinetti di 48 di esse
hanno livelli batterici che eccedono il limite massimo permesso
dall’Agenzia dell’Ambiente degli Stati Uniti. Si tratta di un valore
compreso tra 1 e 200.5 CFU/ml (Unità di coliformi per millilitro). Le
abitazioni con alte percentuali batteriche sono servite da
pozzi e acquedotti comunali. Sei di queste sono localizzate nell’area
residenziale dell’US Navy di “Parco Artimide”, a Lago di Patria”.
Per far fronte a quella che è ormai una vera e propria emergenza idrica,
il Comando di Napoli, contemporaneamente alla sospensione degli affitti
in quattro comuni campani, ha richiesto ai proprietari dei circa 2.000
immobili che ospitano militari USA di farsi carico dell’installazione di
contenitori d’acqua e potabilizzatori, pena la rescissione dei contratti
già stipulati. Nel frattempo ad ogni singolo membro delle famiglie
statunitensi sono distribuiti giornalmente 4 litri di acqua minerale in
bottiglia, intervento che solo negli ultimi due mesi è costato al
Dipartimento della Difesa 263.000 dollari. L’acqua minerale che ha
ricevuto l’OK del reparto veterinario dell’US Army è prodotta negli
impianti della San Benedetto, società interamente controllata dal gruppo
Zoppas, noto produttore di elettrodomestici. Seconda per fatturato in
Italia solo al colosso svizzero Nestlé, la San Benedetto opera pure in
Europa dell’Est, Francia, Spagna e
America Latina. Cura inoltre l’imbottigliamento e la commercializzazione
di bevande per conto delle transnazionali “antagoniste” Pepsi Co. e Coca
Cola.
Negli stessi giorni in cui la società era scelta come fornitrice di
fiducia delle forze armate Usa di Napoli, 60 lavoratori dello
stabilimento San Benedetto di Scorzè (Venezia) venivano messi in cassa
integrazione per supposta crisi nelle vendite. L’azienda ha pure imposto
unilateralmente la modifica degli orari di produzione. Flai Cgil, Fai
Cisl e le Rsu, nel criticare aspramente i provvedimenti, hanno
denunciato il “clima di polizia” che caratterizzerebbe la vita
all’interno degli stabilimenti. Sfruttamento e militarizzazione
continuano ad essere l’espressione più disumana del capitalismo.

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