Crisi e deflazione, la strada sbagliata

Di Giacomo Carelli

In ritardo di circa 6 mesi rispetto al ciclo dell’economia reale, la BCE ha dato l’incipit a una nuova fase di politica monetaria espansiva, che si prevede lunga e con effetti sostanzialmente neutrali sulla recessione economica. Mentre infatti i tassi interbancari a breve e i loro derivati a medio e lungo termine scendono, grazie alla riduzione del P/T da parte della Banca Centrale, il margine di riferimento per il rifinanzamento di istituti finanziari ed aziende continua a salire.
Tale margine è legato al merito di credito nonché all’opportunità di erogare nuovi fidi in un contesto di crisi economica e di liquidità scarseggiante. A riprova del clima di sfiducia generalizzato è il costo proibitivo dei CDS (Credit Default Swaps), cioè delle assicurazioni che coprono dal rischio di insolvenza della controparte. Nel settore bancario, ad esempio, la percentuale annua di un CDS quinquennale sul debito emesso dai 25 maggiori istituti finanziari europei era pari all’1,20% medio a fine novembre (dallo 0,07% circa di prima della crisi). Le banche stanno trasferendo questo spread aggiuntivo sul mercato produttivo, maggiorato del costo opportunità legato al finanziamento e della valutazione del rischio cliente, impedendo di fatto il rilancio dell’economia reale.
I consumatori, dal canto loro, aggravano la crisi, rimandano al futuro scelte economiche importanti, come la ristrutturazione o l’acquisto di una casa o di un’autovettura, nella vana speranza di assistere a un tracollo dei prezzi che appare invece improbabile. Le aziende produttrici preferiscono infatti seguire la strada del taglio massiccio dei costi e del ridimensionamento degli organici, rispetto a quella della riduzione incontrollata dei prezzi. Se non consumiamo, in poche parole, rischiamo paradossalmente di perdere anche il posto di lavoro. In questo modo, l’economia entrerà inevitabilmente in un circolo vizioso di stagnazione e deflazione, con imprese che non vendono e sono schiacciate dal debito preesistente, mentre Banche Centrali e Governi continuano a iniettare liquidità a basso costo e garantire protezione incondizionata agli isituti finanziari, senza rivitalizzare consumi ed investimenti nell’economia reale.
La deflazione peserà come un macigno sui conti delle aziende con alto leverage nonché sulle finanze di Paesi con elevato debito pubblico, come ad esempio Italia e Grecia, incapaci di far fronte ai costi finanziari con le esigue entrate né tantomeno di “annacquare” le passività di bilancio generando inflazione fittizia. Dopo l’introduzione dell’Euro, infatti, la moneta dei nostri Stati non è più sovrana e la politica monetaria va condivisa con altri soci meno indebitati. Diventa quindi assolutamente necessario rilanciare l’economia reale, prima che il tasso di disoccupazione raggiunga livelli di guardia e che si entri in una fase di recessione prolungata: si dovranno scoraggiare la speculazione ma anche il risparmio, inasprendo il regime fiscale delle rendite finanziarie, riducendo contestualmente il carico impositivo sulle aziende produttive e sulle famiglie a basso reddito per favorire i consumi. Sarà necessario aumentare l’intervento diretto dello Stato-imprenditore sull’economia, con investimenti in edilizia, infrastrutture, educazione, ricerca e sanità. Questo vorrà dire ridurre gli sprechi e i privilegi garantiti alle varie “caste” che di fatto impediscono il rilancio del Paese.
In tal senso è sembrato muoversi il Governo greco con la finanziaria 2009 presentata a fine novembre, nonostante la grave crisi di fiducia e le risorse economiche estremamente limitate. Dall’anno prossimo è infatti prevista la tassazione dei dividendi, delle plusvalenze derivanti dalla compravendita di azioni e delle stock options, strumenti finanziari fino ad oggi utilizzati dalle aziende per remunerare una parte dei dirigenti aggirando l’ostacolo del Fisco. In termini di entrate, la velocità di chiusura 2008 è ancora molto bassa, con il condono fiscale (fruibile entro fine dicembre – ndr) che ha generato ad oggi incassi notevolmente inferiori al miliardo di euro previsto e con la tassa sugli immobili ETAK in grave ritardo, a causa delle difficoltà nell’interpretazione del meccanismo impositivo e nella mappatura catastale.
Le proiezioni sul disavanzo primario nel 2009 sono ottimistiche, intorno al 2,5%, grazie alla promessa riduzione di spese e sprechi, compensata dagli aiuti economici alle classi meno abbienti. Queste previsioni rischiano purtroppo di scontrarsi con il calo dei consumi e dell’attività economica, che potrebbe protrarsi più a lungo del previsto. Dalle trimestrali delle aziende quotate in Borsa si evince infatti una riduzione media dei profitti pari al 20% sui primi 9 mesi dell’anno mentre le entrate IVA sono in calo a causa dei minori consumi. Il Governo ha già dovuto fare dietrofront su misure contrarie allo sviluppo della domanda, come ad esempio il tanto paventato redditometro, che dopo varie discussioni si applicherà unicamente a vetture con cilindrata superiore a 2 litri e ad abitazioni più grandi di 200 metri quadri. Non ci dovremo quindi stupire se nel corso dell’anno assisteremo al varo di numerose mini-manovre correttive, nonché al solito infuocato clima politico.

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