Non sempre riusciamo ad assistere alla presentazione di un romanzo; c’è sempre troppa frenesia, troppa ansia di fare con la vita che scorre. Ma se ci concediamo una tregua rigenerante, possiamo incontrare Paolo Maninchedda e conoscere il suo ultimo libro, Diaspora.
Diaspora è un breve romanzo, denso e scorrevole insieme, che si legge e si fa leggere in un giorno, insomma una lettura veloce per un viaggio all’interno degli istinti umani, che sullo sfondo di un intrigo politico ambientato in Sardegna, scandaglia e fa riemergere con forza l’amore, l’odio, l’invidia, il dolore e la speranza. Attraverso le dinamiche di un gruppo di amici, abitanti dell’immaginario paese di Gitile, alla ricerca della soluzione del saper vivere, questo romanzo ha il sapore di una breve “educazione sentimentale”.
Ma Diaspora è tante cose e non è noioso. È anche un giallo, con l’intrigo “politico-culturale”, ed è anche la rivisitazione di alcuni luoghi della Sardegna, paesi e città. Sicuramente, con la rappresentazione di una realtà locale, umana e materiale, diversa e uguale a tutte le altre realtà esistenti, questo libro ha il leggero sapore di un’epica contemporanea. Inoltre, immagini e luoghi vivono nelle sue pagine e, per quella particolare forza dei romanzi, data da chi scrive, ma ancor più da chi legge, formano i legami più differenti. E così, con la crisi economica del 2008, leggendo questo romanzo viene in mente un altro tipo di dispersione e allontanamento, la diaspora della famiglia Joad del Furore di Steinbeck, famiglia che per la crisi del’29 emigra dall’Oklahoma alla California; anche lì in presenza di un prete, il predicatore Casy, che scopre di non avere un’anima, poiché “tutti siamo un pezzetto di un’altra anima immensa”, e che, come don Alvaro Manca, il “santo” del gruppo di amici che vive tra le pagine del libro di Maninchedda, sente con forza il peccato e il travaglio della propria esistenza.
Dubbi e riflessioni impregnano Diaspora, come il pensiero sul “giusto pubblico”, diverso dalla Giustizia, differenza che potrebbe far ricordare il film “Ladri di biciclette”: uno spaccato di realtà dove il “giusto pubblico” sembra insensibile e indifferente davanti alle esigenze dei giusti, proprio come per gli amici di don Alvaro.
Nel libro di Paolo Maninchedda non manca neanche una tensione costante, attraverso la ricerca dell’esistenza, che per la studiosa Simonetta Sanna è paragonabile alla ricerca di un modello, o ricerca di un modello del Cristo, che indipendentemente dall’esito aiuta a migliorare.
Lettura avvincente, Diaspora si cala nella realtà e fa pensare che non solo a Gitile devi “correre per non morire”. Si corre ogni giorno, e sempre di più, incontrando alcuni e “perdendo” altri, cercando risposte, come fanno don Alvaro e i suoi amici, perché, con le parole dello stesso autore, e in modo non banale: “bisogna esigere la verità delle cose cercando, perché cercando alla fine si trova”.
Cristian Ribichesu