àˆ il momento di agire

Urge un ritorno alla politica reale

Seguiamo l’esempio di De Gasperi e a La Malfa e percorriamo una terza via tra stato e Mercato

Quando il premier si occupa a tempo pieno di politica estera è sempre un gran brutto segno. E non tanto per le boutade su Obama, e neppure per le molto più azzardate e pericolose dichiarazioni sulla Russia e lo scudo stellare, quanto piuttosto per il fatto che – ancora una volta, incassata la vittoria elettorale – il presidente del Consiglio sembra annoiarsi di fronte alla necessità di sporcarsi le mani con la gestione degli affari correnti. Affari che questa volta, peraltro, sono di una gravità assoluta.

Da un lato, infatti, assistiamo impotenti all’acuirsi di un declino economico e industriale italiano che continua imperterrito il suo cammino. Non bastavano gli ultimi dati della Banca d’Italia e dell’Istat per dimostrare che la crisi ha già iniziato a contagiare le imprese per effetto della contrazione del credito, e che queste continuano a registrare un trend declinante per quanto riguarda gli investimenti. Ieri è arrivato anche l’Eurostat a certificare che ormai per l’Italia è recessione tecnica. Ed è una recessione più profonda di quella che ha colpito la Germania (e che per ora ha di fatto risparmiato la Francia e la Spagna): ennesima dimostrazione che la tesi del “siamo tutti uguali di fronte alla crisi” ha le gambe molto, molto corte.

Dall’altro lato, anche “l’uomo della strada” percepisce che il Paese è di fatto “non governato”: la Borsa continua a perdere punti giorno dopo giorno, le aziende si mettono in fila per chiedere la cassa integrazione, 130 tra piloti e assistenti di volo in spregio a qualunque senso di responsabilità riescono a mettere in ginocchio il trasporto aereo nazionale. E, come se non bastasse, un manipolo di studenti reazionari si allea con i più corporativi tra i docenti e con la stampa più ideologica per scimmiottare il ’68, mentre le tossine del vecchio non sono per nulla espulse dal corpo della società. La più grande azienda culturale del Paese, la Rai, non riesce a darsi un vertice e persino la legge elettorale per le europee che Berlusconi e Veltroni vorrebbero cambiare senza riuscirci (per fortuna) nonostante l’apparente forza parlamentare. In questo scenario da “deserto dei tartari”, il contrasto tra un Potere mai così forte, concentrato e dotato di consenso – tanto da indurre qualcuno a denunciare un deficit di democrazia – e i mille frammenti e le indecisioni di un Paese allo sbando, soffocato dalla paura del presente e soprattutto del futuro, Berlusconi dovrebbe avere il coraggio di fare tre cose.

Primo: visto che s’interessa di politica estera, si legga qualche libro che gli racconti il pensiero e l’azione dei grandi statisti del passato. Magari ispirandosi al Winston Churchill che nel 1940, appena eletto premier, fece un famoso discorso: “Dico al Parlamento come ho detto ai ministri di questo governo, che non ho nulla da offrire se non sangue, fatica, lacrime e sudore. Abbiamo di fronte a noi la più terribile delle ordalìe. Abbiamo davanti a noi molti, molti mesi di lotta e sofferenza”. Allora, la “terribile ordalia” era la guerra mondiale, adesso è la crisi. Berlusconi, infatti, non deve avere paura di fare una grande “operazione verità”. Spiegando al Paese come stanno davvero le cose, quali idee forti ha in testa per uscire dal tunnel, qual è la direzione di marcia che s’intende imboccare, quali interessi in conflitto con altri si è in grado di mobilitare in modo che il consenso non si riveli un’inutile delega in bianco che s’infrange di fronte al blocco conservator-corporativo di minoranze organizzate.

Secondo: il premier deve avere il coraggio di affermare la propria leadership sul campo, perchè essere campioni di incassi elettorali è condizione necessaria ma non sufficiente. La legittimazione popolare va conquistata giorno per giorno, evitando la spiacevole percezione di “nessun conducente alla guida”. Così, per esempio, la statura di un Tremonti pur in versione apocalittica vede rafforzarsi la sua autorevolezza perché capace di utilizzare toni anche gravi, di resistere all’ottimismo un po’ becero di Palazzo Chigi e di affermare che la situazione questa volta è seria “e anche” grave. Nei momenti di crisi, del resto, gli elettori preferiscono un leader preoccupato ma presente piuttosto di uno assente e spensierato.

Terzo: scelga, il premier – e questo è il punto più arduo – una sua personale interpretazione di cosa significa “politica economica”. Berlusconi adotti una sua cifra personale nella grande diatriba di questi mesi che ha visto, dopo la “damnatio memoriae” trentennale, il ritorno in grande stile dell’interesse nazionale e del ruolo dello Stato, adesso anche in versione esagerata di statalismo di ritorno. Lo faccia, questo sforzo intellettuale, rifacendosi a grandi esempi del passato – mi riferisco in particolare a De Gasperi e a La Malfa – che una “terza via” tra Stato e mercato l’avevano già trovata. E abbia il coraggio di osare. Magari facendosi promotore in prima persona di un grande piano di investimenti pubblici che serva a rilanciare consumi e investimenti privati.

Copiando, semplicemente, ciò che in Cina e negli Stati Uniti è stato appena fatto o si ha in programma di fare. Agisca, in definitiva. Perché se il ritorno all’economia reale è la parola d’ordine di questi giorni, anche un ritorno alla politica reale, e al suo ruolo di grande decisore degli scenari, è di impellente necessità. E, effetto non secondario, è in grado di rafforzare anche leadership numericamente forti ma politicamente appannate.

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