Tra veti, censure e proposte indecenti

Ho pubblicato nel 1990 un volume dal titolo Palermo, edizioni Mondadori. Il libro, curato dai giornalisti Antonio Roccuzzo e Carmine Fotia, è un’analisi della mia esperienza e della situazione politica palermitana e nazionale lungo tutti gli anni 80.
Il testo fa riferimento a un’importante stagione di impegno politico e culturale contro il sistema politico-affaristico-mafioso rappresentato anche da personaggi poi anche coinvolti in Tangentopoli.
Il libro è stato venduto in oltre centomila copie, in pochi mesi.I responsabili della casa editrice, in considerazione del successo di vendite, hanno curato e immesso nel circuito anche un’edizione tascabile (collana Oscar Mondadori). La Mondadori viene, nel frattempo, acquistata dal dottor Silvio Berlusconi e il libro viene ritirato dal commercio, scompare dai cataloghi e dalla rete distributiva.

Nel 1992, il movimento per la democrazia La Rete organizza oltre cinquanta incontri pubblici in tutte le regioni italiane per denunciare il rapporto, nelle singole realtà locali e a livello nazionale, tra Politica, Affari, Mafia e Massoneria (PAMM) e organizza una forte mobilitazione, nel pieno della stagione di Tangentopoli, in Parlamento e nel Paese per l’abolizione della immunità parlamentare.
E’ superfluo ricordare, essendo noti, i rapporti del dottor Silvio Berlusconi con esponenti di quei mondi e con personaggi emblematici di Tangentopoli.
L’iniziativa conclusiva della Rete si è tenuta in Arezzo, per sottolineare e denunciare il ruolo della P2 di Licio Gelli.

Il Questore di Arezzo del tempo mi informa di atteggiamenti minacciosi del figlio di Licio Gelli, volti ad impedire la mia presenza davanti la loro abitazione.
A seguito di tali escandescenze ed accogliendo la richiesta del Questore, l’iniziativa viene spostata in centro città e la mia annunziata sosta davanti la villa dei Gelli si protrae, al termine dell’incontro pubblico in città, soltanto per alcuni minuti in considerazione delle ragioni di sicurezza invocate dal Questore.
Il signor Licio Gelli per reazione si esibisce in esternazioni alla stampa, offensive nei riguardi miei e di mio padre. Mio padre adisce le autorità giudiziarie competenti e ottiene la condanna, passata in giudicato, del Gelli per diffamazione.
Le stesse diffamanti affermazioni del Gelli vengono pubblicate su “Il Giornale” (quotidiano di proprietà della famiglia Berlusconi) il giorno 1 agosto 2008, a distanza di oltre quindici anni, e proprio nel pieno della procedura di formazione della Commissione di vigilanza Rai; le posizioni del Gelli vengono utilizzate per denigrare me e dichiaratamente per contrastare la mia elezione a Presidente di quella Commissione.
Gelli viene assunto a criterio di riferimento per le scelte parlamentari.
Ho subito annunziato, e ho dato mandato ai miei legali, di agire giudiziariamente contro quel quotidiano.

Mi limito, ancora, a ricordare che nei giorni scorsi il signor Licio Gelli ha espresso fiducia nei riguardi dell’On. Silvio Berlusconi e fiducia/auspicio che lo stesso possa realizzare oggi il noto “piano di rinascita democratica” della loggia P2 con devastanti progetti nel campo dell’informazione..
Non risulta, a tutt’oggi, alcuna personale presa di distanza dell’attuale Presidente del Consiglio dei Ministri da tali gravissime affermazioni e preoccupanti auspici.

Nel 2001, dopo la cessazione dall’incarico del Professor Pino Arlacchi, si avvia il procedimento per la nomina del Vicesegretario Generale della Organizzazione delle Nazioni Unite con delega al UNDCP, con sede a Vienna e competente nel mondo per la prevenzione e il contrasto al traffico di droga.
Diplomatici americani, italiani ed esponenti delle Nazioni Unite vengono informati e, per le rispettive competenze, incaricati di informare il Governo italiano della intenzione del Segretario Generale Kofi Annan di procedere alla mia nomina a Vice segretario Generale dell’ONU, nomina vista con favore dal Dipartimento di Stato USA (entrambe realtà, ONU e USA State Department, con le quali avevo da anni collaborato sin dall’incarico rivestito dalla signora Madeleine Albright e continuavo a collaborare, per l’affermazione di cultura della legalità e per l’azione internazionale di contrasto alla criminalità organizzata).
L’On. Silvio Berlusconi, all’epoca Presidente del Consiglio dei Ministri, esprimeva il proprio irriducibile veto a tale nomina, così come mi veniva confermato dal dottor Gianni Letta nel Gennaio 2002, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel corso di una conversazione telefonica.
E’ superfluo ricordare lo stupore a me personalmente manifestato da quanti, esponenti anche non italiani, erano stati informati di quel veto.
Nel 2008 vengo indicato da tutti i gruppi parlamentari dell’opposizione quale Presidente della Commissione di Vigilanza Rai. Si scatena su di me e sul mio partito Italia dei Valori una incredibile quantità di opposizioni e veti, in vario modo e sempre genericamente motivati.
Mi vengono, altresì, rivolti ripetuti inviti a mezzo stampa (da me ovviamente mai raccolti) a dissociarmi dalle posizioni e dalle dichiarazioni del Presidente Antonio Di Pietro quale condizione perché la mia candidatura possa essere accettata.
Protagonisti di tali esternazioni sono stati e sono ancora oggi esponenti del Governo nazionale e del PDL, taluni notoriamente indicati come legati all’organizzazione o come coinvolti nelle attività della P2 di Licio Gelli.
Con mia nota riservata del giorno 8 luglio 2008 ho informato doverosamente il Presidente della Repubblica sulle anomalie di tali critiche e “sull’irrituale ostruzionismo di maggioranza”.
Analoghe considerazioni ho espresso successivamente al Segretario Generale presso la Presidenza della Repubblica, nel corso di due conversazioni telefoniche.

Dopo le ferie di agosto, vengo contattato dal presidente del Senato che chiede di incontrarmi e al quale ribadisco – come ho ribadito anche al Presidente della Camera dei Deputati – di essere un esponente dell’opposizione, di un’opposizione intransigente, e di essere anche consapevole della natura parlamentare di garanzia dell’incarico che avrei dovuto ricoprire e consapevole degli obblighi che su di me sarebbero gravati in considerazione di tale natura (tale posizione è stata da me espressa con chiarezza in due interviste rilasciate al quotidiano “La Stampa” il 7 ottobre 2008 e al quotidiano “la Repubblica” il 13 novembre 2008, nelle quali confermavo la consapevolezza di quel ruolo parlamentare di garanzia, preannunciando le mie dimissioni dall’incarico di Portavoce nazionale dell’Italia dei Valori nel caso di assunzione dell’incarico di Presidente della Vigilanza).

Sono noti alla cronaca i tentativi di subordinare e collegare la mia elezione alla elezione di un Giudice della Corte Costituzionale.
Un tale collegamento è del tutto arbitrario in considerazione della diversa natura ( e delle diverse modalità di copertura) dei due incarichi e in considerazione della improponibilità (espressa oltre che dall’On. Antonio Di Pietro e dall’IdV anche dall’On. Walter Veltroni e dal PD) di un candidato a Giudice Costituzionale in ragione di una nota pendenza giudiziaria e in ragione del ruolo di difensore di fiducia dell’On. Silvio Berlusconi rivestito dallo stesso candidato.

Si è altresì utilizzato a pretesto, per impedire la mia elezione, il testo di una mia intervista sul “Corriere della Sera” del 29 settembre 2008. In tale intervista, quale esponente dell’opposizione, ho denunciato (come hanno, peraltro, fatto e ripetutamente autorevoli esponenti di tutte le opposizioni e anche taluni autorevoli esponenti dell’attuale maggioranza) il rischio di autoritarismo nel nostro Paese per l’indebolimento del ruolo del Parlamento e per l’affermarsi di una forte leadership personalista senza adeguati bilanciamenti istituzionali. Specificavo, in quell’intervista che, così come il giorno prima aveva fatto l’On. Veltroni parlando del “rischio Putin” per l’Italia, il mio riferimento al modello argentino era un “espediente comunicativo”, modello quale descritto in tutti i manuali di diritto e di scienza costituzionale.

Non mi soffermo, in questa sede, sul “consiglio” a me rivolto da autorevolissimi esponenti istituzionali della maggioranza di essere disponibile a un contatto …. “riservato” con il Presidente del Consiglio dei Ministri, anche soltanto limitato a una conversazione telefonica.
La natura parlamentare dell’incarico di Presidente di Commissione di Vigilanza – ho più volte obiettato, rifiutando quei “consigli” – rendeva istituzionalmente non corretto ogni mio contatto con esponenti del Governo e ciò sin tanto che tale contatto non fosse divenuto necessario a cagione del ruolo da me eventualmente (e non ancora) ricoperto di Presidente.

Nonostante l’atteggiamento di distacco che in questa vicenda il Presidente del Consiglio dei Ministri cerca di far apparire, ricordo che l’On. Silvio Berlusconi ha esternato pubblicamente un veto nei riguardi miei e di altri candidati del mio partito (tra le innumerevoli esternazioni si rinvia alle agenzie di stampa del 7 e del 8 ottobre 2008).
Il resto è cronaca a tutti nota, sulla quale avrò e avremo tutti modo di tornare successivamente.
Ho ritenuto doveroso rendere pubblica la presente nota per rispetto della verità e per consentire di cogliere, al di là di ogni pretestuosità, la gravità della situazione che si è venuta a determinare, a tutto danno della credibilità delle istituzioni e del regolare svolgimento dell’attività e dei ruoli parlamentari.
Ritengo doveroso, inoltre, esprimere ad Antonio Di Pietro e al mio partito gratitudine per l’attenzione e il sostegno, così come ritengo dover esprimere gratitudine per l’attenzione e il sostegno al PD e all’UDC.

Comunico, infine, che ho deciso di rassegnare le mie dimissioni da componente della Commissione Parlamentare di Vigilanza quale mio contributo personale e politico alla denuncia, la più forte possibile, di una inaccettabile mortificazione del Parlamento e di una inaccettabile mortificazione della Commissione di Vigilanza chiamata a garantire nel settore radiotelevisivo e con riferimento al servizio pubblico principi di libertà e di pluralismo sanciti dall’art. 21 della Costituzione

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