Perché non esiste un “sogno italiano”?

La sbornia delle elezioni americane è finita. Perché non trarne qualche insegnamento? Provo ad indicarne un paio.
Il principale insegnamento mi sembra quello che, di fronte ai grandi problemi di una nazione, ci possono essere opinioni, convinzioni, visioni, politiche diverse, ma su tutto deve prevalere l’interesse supremo del Paese, il bene comune. Ho trovato una perfetta sintesi di questo insegnamento in un articolo dell’americanista Massimo Deodori sul Sole24Ore del 6 novembre, intitolato: “Insieme in nome dell’America”.
Un altro insegnamento l’ha dato proprio il vincitore Barack Obama nel rendere omaggio allo sconfitto McCain, riconoscendogli di aver combattuto fino all’ultimo per il Paese che entrambi amano e affermando che da questo momento in poi “tutti dobbiamo partecipare alla ricostruzione del nostro Paese”. Un invito dunque alla concordia di fronte alla grande sfida del cambiamento che s’impone soprattutto in un momento di crisi planetaria.
Anche lo sconfitto McCain ha lasciato agli americani un grande insegnamento, quando prima di congratularsi col vincitore, si congedò dai suoi sostenitori con queste parole: “A prescindere dalle nostre divergenze, siamo tutti americani e nessun legame ha mai contato per me più di questo. Questa notte, più di ogni altra, provo nel mio cuore soltanto amore per questo Paese e per tutti i suoi cittadini, che abbiano votato per me o per il senatore Obama, e auguro buon viaggio all’uomo che è stato il mio avversario e che sarà il mio presidente”. Che lezione di stile!
Durante la lunga campagna elettorale si è parlato molto del “sogno americano”, ossia la speranza di un mondo migliore. Per la realizzazione di questo sogno si sono mobilitate per mesi le coscienze e le intelligenze di un Paese di 300 milioni di persone, solo provvisoriamente schierate su due fronti opposti, in attesa di riporre la massima fiducia in un unico grande timoniere. Proclamando “l’audacia della speranza”, Barack Obama ha conquistato le simpatie degli americani e si appresta ora a trasformare quel sogno in realtà. La sfida non sarà facile ma potrà contare su una straordinaria coesione nazionale “in nome dell’America”, ossia un insieme di valori e di speranze condivisi dalla quasi totalità degli americani.
Perché non esiste un “sogno italiano”? Perché gli italiani devono assistere giorno dopo giorno allo scandalo di una politica che invece di aggregare divide? Perché in Italia sembra che la campagna elettorale non finisca mai? Perché si continua, anche dopo il verdetto finale delle elezioni, a utilizzare ogni occasione e ogni mezzo per tentare di delegittimare la parte avversa di prima delle elezioni? Perché gli insegnamenti americani non fanno presa sui politici italiani?
Sarebbe troppo semplice rispondere che Berlusconi non è Obama e Veltroni non è McCain. D’altra parte, sarebbe forse troppo azzardato dire che né Berlusconi né Veltroni hanno la caratura dei due leader americani. Probabilmente, ciò che manca ai due leader nostrani e ai rispettivi seguaci è quel comune sentire “in nome dell’Italia” capace di far superare le diverse visioni ideologiche e far convergere tutte le energie disponibili per dare anche agli italiani la possibilità di “sognare” un’Italia più giusta e più solidale. Anzi, sembra proprio che i due schieramenti si dividono, si ostacolano e si combattono “in nome dell’Italia”, incuranti delle perdite e delle energie che sottraggono all’inerme popolo italiano.
A leggere la stampa quotidiana e a seguire i “bollettini di guerra bipartisan” presentati dalla televisione e da certi dibattiti, un italiano che osserva la situazione del Bel Paese da lontano stenta a credere che un Paese così contrastato possa ancora sopravvivere e nonostante tutto continuare a nutrire qualche speranza. Indubbiamente gli italiani sono migliori della classe politica che hanno.
Potrebbe cambiare il clima politico italiano? Forse. Basterebbe che la maggioranza rinunciasse a tapparsi le orecchie ogniqualvolta l’opposizione lancia avvertimenti, presenta proposte ben argomentate, offre suggerimenti ispirati al buon senso e la propria disponibilità a collaborare. E, d’altra parte, basterebbe che la minoranza la smettesse di fare il Bastian Cuntrari per partito preso e si sforzasse di dare una mano al governo che, messo a mal partito dalla finanziaria e da una terribile crisi inaspettata, ha deciso (in buona fede) di tagliare qualche ramo secco e qualche spreco. Inoltre, la minoranza dovrebbe cessare di pretendere, in nome di una presunta superiorità morale e intellettuale, che le proprie proposte e i propri suggerimenti debbano essere accolti dalla maggioranza come verità sacrosante e trasformati prontamente in provvedimenti anche se contrari a quelli intesi dalla maggioranza.
Perché maggioranza e opposizione non s’impegnano a operare concordemente i tagli necessari nel settore della scuola e dell’università e allo stesso tempo a varare una riforma o una miniriforma significativa in questi due settori, che sono quelli in cui “il sogno italiano” potrebbe nascere e svilupparsi? E’ un’utopia?
Quel che accade a Roma ha purtroppo non pochi riflessi anche all’estero. Basti osservare anche solo quel che succede nella collettività italiana in Svizzera, dove la sinistra (praticamente incontrastata e senza opposizione) è tutta schierata contro Berlusconi, contro il governo, contro i tagli, contro la chiusura dei consolati (anche se i servizi sono interamente mantenuti), contro la chiusura dei corsi, contro, contro… E’ il partito della protesta assoluta, incapace di vedere all’orizzonte nient’altro che sciagure.
Dispiace che nemmeno le personalità di spicco di questa collettività sappiano mantenere la lucidità necessaria per operare un’analisi seria della situazione e di fronte alle difficoltà, innegabili, sappiano proporre come superarle, anche in presenza di tagli. Altro che “l’audacia della speranza” di Obama! Qui i big della politica sanno solo annunciare “il sogno infranto degli italiani all’estero”, i tentativi di “buttare a mare le comunità italiane all’estero”, prospettare la “desertificazione” e la “decapitazione” delle collettività italiane. Il massimo della lucidità è giunta da un onorevole, che ha affermato: “se i soldi non ci sono non ci sono!”.
Eppure la collettività italiana in Svizzera è sana e vitale, è orientata al futuro, è ottimista, non è in bilico tra cultura e ignoranza, ricchezza e povertà, sviluppo e arretratezza. Purtroppo questa collettività non ha rappresentanti o sono troppo pochi e invisibili.

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