di Ennia Dall’Ora
Le prime bandiere sui balconi già sventolavano superbe mentre dalla vicina scuola statale giungeva in sottofondo il rullo dei tamburi. Già una settimana prima erano in corso i preparativi per la festa del 28 ottobre e come, ogni anno, questa mi ha trovata impreparata e perplessa sul da farsi. Della realtà storica di quel 28 ottobre 1940 non ci sono dubbi, ma come spiegarla a dei bambini di due, tre, quattro e cinque anni? Siamo alle solite, devo anche quest’anno decidere se parlare di questa ricorrenza al Mulino Magico, come fanno tutte le altre scuole in Grecia, o non farlo affrontando le eventuali conseguenze che in ognuno dei due casi, ne scaturiranno.
Sui libri per i piccoli alunni c’è sempre una pagina destinata all’Oxi, di solito con difficoltà diversa, in base all’età a cui essi si rivolgono. Per i bambini di 2 e 3 anni si tratta di colorare, cercando di non uscire dai margini, la babbuccia degli Euzoni. Per gli alunni più grandi c’è l’abbozzo della bandiera, dove gli spazi devono essere completati incollando delle liste bianche o blu, precedentemente tagliate. Nelle suddette pagine non viene riportata nessuna indicazione per l’insegnante, ma in alto sulla pagina resta la data, quel numero nuovo che non sfugge all’attenzione dei bambini che pur non sapendo ancora leggere, si chiedono perché non ci siano i soliti due koluraki, (intendono i due zeri del 2008, data che sanno riconoscere)
Allora o si saltano queste pagine o si spiegano. Sembrerebbe una soluzione elementare, ma la ricerca di un linguaggio appropriato che non generi confusioni, non è facile. Bisognerebbe trovare delle parole quasi magiche che spieghino senza lasciare retropensieri ai bambini di nazionalità greca, italiana o le altre che convivono anche 10 ore al giorno in questa scuola materna, “ellino-italiana”, dei fatti che coinvolgono i due paesi per situazioni opposte.
Ad appesantire il tutto intervengono le mie esperienze pedagogiche, il mio bagaglio di conoscenza nel campo della psicologia evolutiva e in quello della narrativa infantile.
I personaggi di ogni favola, infatti, vengono catalogati dai bambini in buoni e cattivi, non c’e’una via di mezzo, almeno fino ai 6 anni. Per loro o si è “buoni” o si è “cattivi”, anzi cattivissimi, come loro sottolineano. Non esiste la possibilità che un “cattivo” si redimi e diventi buono, anzi il cattivo è “cattivissimo” e deve espiare per sempre questa sua cattiveria.
Una decina di anni fa, una maestra zelante aveva cercato di spiegare loro i fatti del 28 ottobre usando un linguaggio da fiaba che naturalmente cominciava con «c’era una volta un gruppo di italiani…. Già al termine italiano c’erano i primi interventi del tipo “come me” o “come la mia mamma che voleva venire in Grecia e”». Un racconto semplice, che creò non poca confusione nei bambini e una raffica di perché, quei continui ‘perché’ che spesso mettono noi adulti a disagio. Perché gli italiani erano cattivi? Perché allora la nostra maestra è ancora italiana, quasi si potesse cambiare nazionalità,come cambiare cappellino. Cosi teneri nelle loro domande e così preoccupati nello stesso tempo, si chiedevano come era possibile che gli italiani fossero cattivi quando i loro compagni italiani erano buoni, dove fossero questi italiani cattivi, se fossero stati uccisi, domande più che lecite visto che riconducono tutte al Bene o al Male.
Ieri Giovanni (italo-ellenico) di tre anni, mi ha detto: «Ti ricordi che quando ero piccolo avevo il bavaglino e non il tovagliolo come adesso che sono grande?». Sorridevo mentre pensavo che quel ricordo, secondo lui del passato, si riferiva solo a due settimane prima!
Se per i bambini la settimana scorsa, è già un passato lontano è evidente che il passato storico è un tempo non concepibile, quindi spiegando loro fatti avvenuti in un lontano passato, creerei confusione, almeno temporale. Visto che gli interventi pedagogici devono partire dalla sfera che è centrata su loro stessi, ne consegue che diventa ancora più difficile spiegare un fatto che non ha nessun rapporto con la loro realtà e che probabilmente nella loro logica, verrebbe a contraddire i nostri insegnamenti riguardo al fatto di essere tutti amici, di volersi bene, di comunicare con tutti indipendentemente dal linguaggio e di giocare con tutti senza litigare . Si sa il gioco vince ogni barriera,ogni frontiera, ogni diversità, ogni linguaggio.
E allora non è forse meglio lasciarli giocare questi nostri piccoli, lasciarli muoversi spensierati nel loro mondo, con i loro amici, senza caricarli di concezioni più grandi di loro. Ed ho deciso di giocare a fare il pane, simbolo dell’unione, e il profumo del pane di questi felici cuochi in erba, unito alle loro voci gioiose, ha addolcito anche il rullo dei tamburi.