di Eugenio Marino
Quella di sabato al Circo massimo è stata una grande manifestazione: bella, pacifica, serena, democratica e propositiva. È stata anche il segnale di un partito che c’è, che è forte, che ha capacità di unirsi e mobilitare iscritti e non, oltre i propri confini.
Una manifestazione imponente che ha denunciato le molte cose che non vanno di questo Governo, a cominciare dai tagli spropositati e non giustificabili in molti settori della spesa pubblica italiana: tagli che non risolvono i problemi degli sprechi né creano le condizioni per l’ammodernamento dell’Italia, ma che fanno venir meno anche le condizioni minime indispensabili per il semplice funzionamento del Paese. A titolo di esempio vorrei parlare di ciò che conosco meglio: i tagli irrazionali abbattutisi sulle politiche per gli italiani all’estero. Circa 50 milioni sui già non sufficienti 82 complessivi investiti dai precedenti governi.
Anche per questo motivo sabato eravamo al Circo Massimo con una nutrita rappresentanza di cittadini italiani residenti all’estero, arrivati soprattutto dalla Germania. Eravamo là per ribadire che la scure di questa Finanziaria finirà per cancellare definitivamente il rapporto tra l’Italia e le sue comunità nel mondo.
C’erano donne e uomini, giovani, meno giovani e giovanissimi. Persone che sentono oggi più precario il proprio futuro, che hanno sfilato con la voglia di garantire anche a figli e nipoti la possibilità di studiare la lingua e la cultura italiane e di avere assistenza sanitaria se dovessero trovarsi in condizioni di indigenza, come già oggi avviene soprattutto in America Latina.
Manifestavamo non solo per dire dei “no”: ai tagli, alla chiusura dei corsi di lingua e cultura, all’eliminazione dell’assistenza sanitaria e al rinvio delle elezioni di Comites e CGIE. Manifestavamo anche per dire dei “si”: alla doppia cittadinanza, alla società multiculturale e all’accoglienza agli immigrati (come il ragazzo di Secondigliano che ha parlato dal palco, ricordandoci che anche noi abbiamo vissuto l’emarginazione e la discriminazione).
Quella manifestazione, dunque, ha rappresentato un momento collettivo in cui si è chiesta al Governo una sterzata generale sul futuro dell’Italia. E in questa sterzata generale devono rientrare anche le politiche per gli italiani all’estero, come ha giustamente ricordato Veltroni dal palco.
Per questo, però, ora occorre far sentire forte, anche lontano da Roma, la voce di tutta la comunità italiana nel mondo. Come?
La scorsa settimana il Segretario Generale del CGIE, Elio Carozza, ha inviato una lettera agli stessi consiglieri del CGIE, ai presidenti e consiglieri dei Comites, agli enti gestori dei corsi di lingua e cultura italiana, per denunciare l’enormità dei tagli previsti verso le nostre comunità e il fatto che essi finirebbero per cancellarle, per chiedere al Governo di rivederli e per sollecitare una grande mobilitazione a supporto di queste richieste universalmente condivise.
Sono d’accordo con coloro che, nella maggioranza come nell’opposizione, ritengono che oggi vadano sospese le appartenenze politiche e supportata l’iniziativa del Segretario Carozza, alla quale già in molti hanno risposto positivamente, da entrambi gli schieramenti. Credo sia utile, dunque, mobilitarsi, scendere in piazza anche all’estero per manifestare e chiedere al Governo di rivedere l’entità e la distribuzione dei tagli per gli italiani all’estero. Questo non significa che come italiani nel mondo vogliamo esimerci dal partecipare ai sacrifici per il risanamento del Paese, se di questo si tratta, ma non al prezzo di venir cancellati o messi in ginocchio. Sarebbe difficile, così ridotti, aiutare qualcuno.
Allora muoviamoci insieme, a partire dalle rappresentanze istituzionali: Comites, CGIE, eletti, ma anche rappresentanti di partito e del mondo sindacale e associativo, per concordare e coordinare manifestazioni e azioni di protesta forti, pacifiche, autorevoli. Finalizzate a far giungere al Governo e ai suoi rappresentanti la voce delle comunità.
Spetterà poi ai partiti politici e agli eletti dall’estero nel Parlamento nazionale trasformare la protesta popolare e democratica delle piazze in autorevole e istituzionale proposta di Governo.