Disinformazione globale e crisi italiana

La via stretta tra propaganda e realtà

Nelle mani di Berlusconi, Tremonti e Draghi

di Elio Di Caprio

Poteva non avvenire quanto è successo e perchè è successo? Dove trovare le colpe e le responsabilità? Si direbbe che la disinformazione globale fa bene, è quasi necessaria. Tra il prevedibile (la crisi finanziaria annunciata da mesi) e l”imponderabile (chi avrebbe mai immaginato che la Lehman Brothers fosse lasciata allegramente fallire con tutte le conseguenze a cascata?) lo sforzo maggiore è da mesi quello di arginare il panico anche a costo di smentire in rapida successione quello che si è detto il giorno prima.

E” quasi un gioco globale. Non poteva sottrarvisi per primo lo stesso George W. Bush, il presidente di fine mandato da cui tutti prendono le distanze a cominciare dallo stesso candidato repubblicano alla successione MacCain. E” rimasto il solo Silvio Berlusconi a tessere le lodi del Presidente Bush che, secondo il Cavaliere, sarà presto rivalutato come uno dei grandi statisti del secolo. Onore a chi come Berlusconi non lascia l”amico nel momento di difficoltà e di massimo discredito internazionale, ma non sembra che i cittadini americani la pensino allo stesso modo. Chi ha sbagliato e perchè?

Fanno un certo effetto le critiche del premio Nobel per l”economia Paul Samuelson al lascito avvelenato del capitalismo “libertario” che sta determinando una crisi internazionale senza precedenti. Samuelson se la prende con George Bush che termina il suo mandato con il sigillo finale di un fallimento che da finanziario sta diventando geopolitico. Non solo il governo americano sta compromettendo il rapporto di fiducia con i suoi cittadini, ma il rischio a lungo termine è che il Paese perda la sua supremazia mondiale, che è fatta di hard power ( 700 basi militari USA sparse nel mondo) e di soft power per i modelli culturali di cui è stata finora il gestore indiscusso.

Le critiche del premio Nobel alla conduzione economica dell”America negli ultimi venti anni vanno dall”aver consentito un enorme debito, pubblico e privato, al conservatorismo compassionevole che non ha impedito invece sgravi fiscali solo ai più ricchi, alla sperequazione sociale che ha visto retribuzioni da capogiro per i top managers. Se poi si aggiungono i conflitti di interesse tra controllanti e controllati che hanno trovato ampio spazio nelle valutazioni di comodo delle agenzie di rating ed i prodotti dell”ingegneria finanziaria dei derivati che hanno inquinato le banche di mezzo mondo, il quadro è completo.

Secondo Samuelson neppure l”alchimia poteva trasformare il letame in oro e le generazioni future rabbrividiranno al nome di Bush e di Greenspan visto che la gran parte delle perdite oggi accusate saranno permanenti, come avvenne nel 1929-“32. Siamo veramente in una situazione così drammatica che fa presagire un impoverimento per tutti? Da noi solo Giulio Tremonti se ne era accorto in tempo lanciando allarmi che allora sembravano catastrofisti, ma poi si è contraddetto più volte, prima rassicurando che l”Italia uscirà dalla crisi più forte di prima, poi dichiarando che una nuova Bretton Woods per rifondare la finanza mondiale ( ma poi chi conosce veramente cos”è stata Bretton Woods?) non sarebbe alla fine così necessaria come invece aveva auspicato nel suo pamphlet sulla paura e la speranza. Se poi si vanno a rileggere le numerose dichiarazioni rassicuranti che il governatore-oracolo della Banca d”Italia Mario Draghi andava seminando prima che la crisi scoppiasse in tutta la sua virulenza – Draghi diceva che la crisi dei sub prime riguarda solo gli USA e presto finirà- risulta poi contraddittoria, per non dire altro, la sua tardiva ammissione che la crisi finanziaria tocca e toccherà l”economia reale e l”Italia non è certo in condizioni migliori degli altri Paesi europei per fronteggiarne le conseguenze. Se sbaglia G. Bush non può sbagliare il direttore della Banca d”Italia? Chi ha più responsabilità?

E” difficile rinvenire tra i nostri economisti personaggi della statura di un Samuelson, è vero, e poi non è certo la piccola Italia che possa promuovere da sola una rifondazione della finanza mondiale nonostante le ambizioni di Giulio Tremonti. La disinformazione italiana è meno grave di quella globale, non abbiamo responsabilità nemmeno paragonabili a quelle degli USA.

Ma qualcosa in più ci saremmo aspettati, almeno dei messaggi più cauti e più vicini alla verità per quanto riguarda il destino della nostra economia. Continua invece l”altalena tra l”ottimismo istituzionale del Cavaliere continuamente contraddetto dalla realtà, gli ammonimenti di Draghi che si allinea a cose fatte al pessimismo del Ministro dell”Economia, il tentativo di Tremonti di accreditarsi come l”uomo indispensabile a governare le grandezze economiche per tirarci fuori da marasma con meno danni possibili.

Ma è veramente così difficile trovare la via giusta tra la propaganda diretta a rassicurare e raccogliere consensi e la realtà dei provvedimenti necessari ad attutire gli effetti della crisi globale, senza sbavature e messaggi contraddittori che ora riguardano le rottamazioni, ora la solidità delle banche, ora i costi economici del protocollo di Kioto?. (Terza Repubblica)

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