L’era degli imperativi categorici

La svolta nazional- socialista del Cavaliere

Quando lo Stato resta l'estremo rifugio
di Elio Di Caprio

Privato è bello, ma pubblico è più sicuro. Viva lo Stato, meno male che c”è lo Stato. Sembra di sognare sentendo le ultime dichiarazioni del duo Berlusconi-Tremonti. Svaniscono come d”incanto le retoriche sulla libertà di mercato che si riequilibra e si aggiusta da solo senza interventi esterni. Non si esclude che alcune banche italiane debbano venire nazionalizzate se la situazione lo richiederà e a tale scopo le munizioni sono già pronte. L”intervento dello Stato è un imperativo categorico, come negli anni “30 ai tempi della Grande Depressione. Parole o realtà? Ma cosa è lo Stato? Non è solo quello degli impiegati “fannulloni”, è anche l”ente di ultima istanza a cui rivolgersi per far prevalere l”interesse pubblico in tempi di crisi. Ora il duo Berlusconi-Tremonti si trova a governare le conseguenze di una crisi finanziaria dirompente ben più grave di quella del 2001 dopo l”attacco alle Torri gemelle.

Il nostro debito pubblico è sempre lì, le proporzioni sono più o meno quelle di allora, condiziona il nostro sviluppo, ci sottrae ogni anno ben cinque punti di PIL a sentire le concordanti analisi di destra e sinistra che si sono alternate alla guida del governo negli ultimi 15 anni. Con un debito pubblico così alto che rischia di aggravarsi se dovremo mettere mano a misure di sostegno all”economia – con nazionalizzazioni o senza nazionalizzazioni – è più conveniente sottolineare, come fa il nostro Ministro dell”Economia, che la soluzione alla crisi finanziaria in atto non può essere nazionale, ma europea: è la moneta unica, è la comune barca monetaria, è l”euro lo scudo vero che ci può proteggere in tempi di turbolenze finanziarie.

Le Borse cadono e a chiamare in soccorso lo Stato è lo stesso Berlusconi, il proprietario della TV privata che in altri tempi, per contenere il pessimismo dell”opposizione sul crescente impoverimento dei ceti medi, invitava a vedere come gli italiani si stavano invece arricchendo con i loro investimenti azionari. Adesso non lo direbbe e non lo dice più, anzi vorrebbe blindare ancor più l”azionariato di Eni ed Enel perchè i due gioielli di famiglia, le due aziende (ex?) pubbliche non sfuggano all”Italia ed allo Stato. E” sempre lo Stato che con un governo di centro-destra ha consentito il salvataggio di Alitalia addossandosi le perdite della “bad company”. E” sempre lo Stato che con i governi di centro sinistra ha lasciato Telecom al suo destino favorendo, in nome del libero mercato, la scalata a debito di Roberto Colaninno ed adesso abbiamo un gioiello di famiglia in meno.

Forse di etica e di Stato, ben coniugati, ci sarebbe stato bisogno molto tempo prima. Tremonti e la politica arrivano in ritardo. Di errori ne sono stati fatti tanti già dai tempi delle privatizzazioni affrettate e senza strategia. Ma per venire ai tempi più recenti è legittimo domandarsi cosa sarebbe successo se Giulio Tremonti avesse applicato la sua teoria, che ora propaganda, della necessaria combinazione tra Stato ed etica subito dopo l”introduzione dell”euro in Italia : forse lo Stato avrebbe avuto qualche mezzo “etico” in più per impedire che interi ceti sociali si impoverissero a seguito delle speculazioni da euro.

E” vero che le speculazioni che adesso vanno fronteggiate sono ben altre e colpiscono un po tutti, ma il vero rischio da mettere in conto è lo sfarinarsi ulteriore della coesione sociale interna messa a dura prova dalla divaricazione crescente tra ceti poveri e ceti ricchi, tra Sud e Nord Italia, tra garantiti e precari. E” questa la vera sfida su cui si misurerà l”intera classe dirigente, di maggioranza e di opposizione, alle prese con le difficoltà dell”economia reale.

Nel teatrino italiano mai dismesso la sinistra si preoccupa che gli interventi della mano pubblica non siano tanto pervasivi da alterare il funzionamento del libero mercato, mentre il cavaliere, all”opposto, non se ne preoccupa, diventa disinvoltamente “socialista” e parla di imperativo categorico a proposito della necessità dell”intervento pubblico in economia. E” un”inversione di ruoli che serve solo alla propaganda ma che nulla dice sull”effettiva capacità di contenere la crisi. (Terza Repubblica)

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