Non solo Brunetta: mille modi di parlare di valutazione nella PA

di Maria Di Paolo

La valutazione, oggi, è il tema centrale: valutazione come esigenza organizzativa, come bisogno individuale di riconoscimento, come attribuzione di responsabilità al management pubblico. L’editoriale pone interrogativi importanti a partire dalle due diverse proposte di emendamento al Disegno di Legge AS 847 – presentate dal Ministro Brunetta e dal Prof. Ichino – per la costituzione di un organo più o meno indipendente che agisca da “garante” della corretta valutazione all’interno delle pubbliche amministrazioni. Le due proposte giungono a compimento di una riflessione più ampia, cominciata proprio nei giorni e sui tavoli di lavoro di FORUM PA 2008, dove per la prima volta il Ministro Brunetta ha lanciato la sua campagna di rinnovamento del pubblico impiego, a partire dai suoi vertici, quella che in modo semplicistico continuiamo a chiamare “lotta ai fannulloni” e che tanto ha animato il dibattito pubblico in questi ultimi mesi.

Oggi, col senno delle iniziative avviate, i provvedimenti presi, i dati messi in piazza e dopo cinque mesi di accaniti dibattiti mediatici siamo andati a rileggere, con nuove chiavi interpretative, i contributi emersi nei convegni di FORUM PA e raccolti nella nostra enciclopedia dei saperi on line, Saperi PA.

Il Forum Pubblico Impiego – che quest'anno FORUM PA ha dedicato alla figura di Ubaldo Poti – ha catalizzato molti degli interventi su questa tema, che è stato però sviscerato in tutte le sue dimensioni in molte altre relazioni. Cercatele tutte su SAPERI PA! Parole chiave: dirigenza e valutazione.

Valutazione, PA e mercato
L’exploit del Ministro Brunetta sul “colpirne uno per educarne cento” è accompagnato da argomentazioni profonde e puntuali su potenzialità e vincoli per la nostra Pubblica Amministrazione di contribuire alla produttività e competitività del Sistema Italia. Potenzialità: la pubblica amministrazione dispone di capitale umano mediamente migliore di quello privato, per livelli medi di scolarità, per titoli di studio, specializzazioni, lauree superiori. Vincoli: il pubblico attira le energie migliori ma poi le appiattisce, le distrugge con cattive regole e cattive prassi. E ciò dipende innanzitutto dal policy maker, dal datore di lavoro che evidentemente ha funzioni-obiettivo diverse da quelle dell'efficienza del sistema. Come a dire: il primo fannullone è il datore di lavoro. La questione quindi è: o la pubblica amministrazione si attrezza per misurare e valutare se stessa e la qualità dei propri servizi oppure saranno altri a farlo. E, in un sistema di beni e servizi pubblici aperti alla concorrenza, la sanzione sarebbe non solo la marginalizzazione delle amministrazioni pubbliche inefficienti, ma anche la distruzione stessa dei beni e dei servizi pubblici erogati.

Valutazione e trasparenza totale
Pietro Ichino individua due molle che, nella PA come in tutte le grandi organizzazioni complesse, agiscono sull’aggiustamento e l’adattamento alle necessità reali nei rapporti sia con gli interlocutori esterni che con quelli interni: è il paradigma exit/voice coniato da Albert Hirschman. La prima opzione – quella exit – è la possibilità, data all’interlocutore, di rivolgersi altrove, ovvero al mercato: dove il mercato funziona per davvero l’utente che esprime una valutazione negativa ha una forza di pressione fortissima. Se il dirigente non si adegua e l’organizzazione non reagisce, deve chiudere. La seconda è l’opzione voice, l’idea che la valutazione non debba essere soltanto opera di un valutatore interno ma frutto di una dialettica tra valutatore interno e valutazione civica, partendo dal presupposto che la società civile ha delle enormi energie valutative nei confronti dell’Amministrazione Pubblica. Presupposto essenziale è quella che gli anglosassoni e gli scandinavi definiscono “total disclosure”, la trasparenza totale.

Valutazione sostanziale, non formale
Antonio Naddeo, Capo Dipartimento della Funzione Pubblica e, quindi, costantemente “in campo” su questi temi, denuncia un meccanismo perverso interno alla nostra Pubblica Amministrazione: a fronte di una perfetta formale applicazione dei criteri di privatizzazione del contratto di lavoro c’è una responsabilità diretta – anche se non esclusiva – della classe dirigente nel non volere valutare il personale. I nuclei di valutazione ci sono per legge, c’è una norma sui contratti che ancora le retribuzioni di risultato dei dirigenti ad una valutazione a monte rispetto a degli obbiettivi ma tutte queste procedure vengono attuate solo al fine di percepire la retribuzione di risultato stessa.

Valutazione come “esigenza individuale”
Giovanni Valotti sposta l’asse sulla valutazione come esigenza individuale prima che organizzativa, quello che lui definisce il bisogno delle persone di sentire che il proprio lavoro è valutato e, in quanto valutato, serve a qualcosa e conta qualcosa: secondo uno studio condotto dall’Università Bocconi i dirigenti pubblici non si interrogano tanto sulla retribuzione – che, sembra, sia mediamente superiore, e non di poco, a quella dei manager privati del settore commercio – quanto sulla possibilità di essere valutati nel giusto modo, di far carriera, di vedere premiate le proprie competenze.

Valutazione e responsabilità
Il problema della responsabilità come fattore chiave è portato all’attenzione da Cesare Vaciago, direttore generale del Comune di Torino: “bisogna arrivare al punto di dire che se un dirigente ha un tasso di assenteismo doppio della media, se ha la stragrande maggioranza dei propri collaboratori valutata al di sotto di uno standard minimo deve esser licenziato”.

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