Il virtuale diventa reale

Il web-paradosso per trovera amici

Alla fine ci sono caduta. Sarà per questo che la chiamano “rete”. Poche righe di biografia, anno di nascita, di laurea, una fotografia e sono entrata nella comunità di Facebook, social network “trendy”, come si dice sempre in questi casi, in cui si possono trovare amici “vicini e lontani”. Appena registrata, il sistema mi ha aiutata a cercare contatti, facendomi alcune domande: «Dove sei andata a scuola?», «Dove ti sei laureata?», “«Dove lavori?». In pratica, dove sei stata durante la tua vita. Perché devi essere da qualche parte per conoscere gente. Mentre, per ritrovarla, web-paradosso, devi essere in un non-luogo. In pochi minuti, la mia vita si è materializzata sullo schermo nelle sue tappe, pardon facce, salienti, in un’inquietante mescolanza di ricordi, che metteva sullo stesso piano infanzia e maturità. Con una ancora più inquietante carrellata di volti, forse sì vagamente familiari ma estranei. Non fosse per il nome. O per amici in comune. Perché quando trovi la persona che ti interessa, vedi anche i suoi amici. Per quantità e qualità. Chi usa questo programma ci mette la “faccia”. Perché se è vero che può rendere invisibile il proprio profilo, lo è altrettanto che i contatti non si possono schermare.
È la prima regola di ogni social network, che sia per software o web-galateo. Così, chi si registra può entrare nella vita di una persona e valutarne il successo. C’è una bella differenza tra avere cinque amici registrati o trecento. Ai voglia a spiegare: «I miei amici sono impegnati, non amano internet, odiano i social network». Il risultato non cambia: hai pochi amici o hai quelli sbagliati. Comunque, sei un web-fallito. Dal virtuale al reale, il passo è breve. Anzi, non c’è. Il virtuale è reale. Gli amici sono quelli che sono on line, che mandano messaggi, trillano per richiamare l’attenzione, scambiano file e canzoni. Gli amici sono quelli che spediscono mail, come spam, in cui raccontano ciò che accade loro, matrimoni, nascite, perfino funerali, ad una platea non meglio identificata di indirizzi mail. La famosa cartella “amici” appunto, presente in ogni rubrica. Trendy, s’intende. Il gioco è chiaro.
È “social” chi conosce così tante persone da mettersi in mostra senza vergogna. Chi ne conosce poche, rimane fuori. Dal web, dal gruppo, dal non-luogo che è il luogo più ambito. A guardare come va avanti la propria vita o come sarebbe potuta andare, studiando il percorso di questo o quell’amico di infanzia, che lo ha dimenticato. Chi è fuori non dimentica. È lì a cercare, a spiare, a fare confronti. A chiedersi quale sia la vita migliore. Quella che sta vivendo o quella che avrebbe potuto vivere se a scuola fosse stato nel gruppo giusto, se avesse passato meno tempo a studiare e più a stringere relazioni, se avesse avuto altre storie sentimentali, se fosse stato in altri giri. O se a girare fosse stata la fortuna. La ricerca diventa frenetica: ci deve essere da qualche parte, la prova che la sua vita sia migliore di quella di altri. Basta cercare. In rete, si sa, c’è tutto. Ci sono tutti. Soprattutto, i voyeur. D’altronde, chi resiste al fascino di vedere senza essere visto? È il dono dell’invisibilità, uno dei più invidiati poteri dei supereroi. Perfino dai bambini. Allora, si comincia a guardare. I compagni delle elementari: quanto sono invecchiati! E i bellissimi del liceo? “Vecchi” pure loro: chi con la pancia, chi senza capelli, chi ingrassato, imbiancato, incartapecorito. O chi più semplicemente è diventato “triste”. Non nella contingenza, ma a livello esistenziale. Perché, a volte, una foto vale mille parole. Se poi sul web metti addirittura più album, a tirare le fila si fa presto. Se sembra che tutto vada bene, niente paura, si può sempre immaginare.
D’altronde è un mondo virtuale e la bellezza – come la bruttezza – è negli occhi di chi guarda. La rete conserva tutto ma non trattiene nulla. Offre i suoi tesori al primo sguardo: reti di amicizie si svelano con un click mostrando “mafie” professionali, raccomandazioni date e chieste, tresche in atto, tanti vorrei-ma-non-posso. Perfino, posso-ma-non-vorrei. A ben guardare, le liste di amici degli amici si rivelano platealmente incoerenti. Annose inimicizie si riconciliano con un semplice invito ad essere inserito nell’elenco di contatti, ovviamente contraccambiando. La coerenza è un lusso che non tutti si possono permettere se il traguardo è la notorietà che confermi all’utente di essere “giusto”. Sei su un social network, quindi sei socievole. La gente ti chiede di essere tua amica, quindi vai alla grande. Qualcuno ti sta spiando, lo sai, perché sei online e tutti ti possono vedere. Anche per caso. Esisti perché sei digitabile. In rete, tutti sono amici. Tutti possono essere famosi. Che non vuol dire distinguersi, ma “esistere”.
Insomma, sei importante perché qualcuno che non ti interessa si interessa a te. Qualcuno che hai dimenticato si ricorda di te. Qualcuno che non ha più un posto nella tua vita, si mette a spiare chi ce l’ha. O sei felice perché stai guardando la vita fare giustizia, il tempo chiedere il prezzo- salato -delle angherie che hai subito. E il tempo è inclemente con tutti, soprattutto con giovani, belli, sicuri di sé, che hanno tutta la vita davanti. Perché prima o poi riprende i suoi doni. Felice per il malessere di altri. Felice per l’interesse dei dimenticati. È il miracolo malato della rete: nessuno è solo. O, forse, lo siamo tutti. Anche allo specchio. Con l’acquisita di libertà di essere, a volte, meschini. Pardon, web-meschini.

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