Carceri d’invenzione, ma con un poco di verità 

di Giuseppe Muscardini *)

La velata raffigurazione delle sale di tortura della Santa Inquisizione Vaticana in una mostra dedicata a Giovan Battista Piranesi. Una mostra allestita all’interno delle sale espositive di Palazzo dei Pio a Carpi ospita una serie di incisioni di Giovan Battista Piranesi (1720-1778), evidenziando l’inquietante dimensione spaziale e psicologica della detenzione.

Quando si pensa ai molti uomini e alle molte donne che coraggiosamente hanno avversato il Fascismo e che per questo hanno subito i patimenti di lunghe reclusioni, per intima associazione la mente riconvoca figurazioni tetre, ampi stanzoni maleodoranti o celle ridottissime in cui la personalità del detenuto, se non era sostenuta da una motivazione ideologica potente, rischiava l’annientamento e l’alienazione. Quei richiami, specie se riferiti alla vicenda biografica di Antonio Gramsci, di Sandro Pertini, di Mauro Scoccimarro, di Umberto Terraccini, di Giancarlo Pajetta, di Leone Ginzburg, di Vittorio Foa, di Massimo Mila, di Aligi Sassu e degli oltre 4'596 imputati a cui il Tribunale Speciale inflisse severissime pene per attività sovversiva contro il Regime, si radicano nell’immaginario di ognuno di noi come autentica angoscia per la privazione della libertà e per le angherie subite in nome di un ideale. Numerosi e circostanziati lungometraggi sull’argomento hanno saputo ben trasmettere il carico di sofferenza cui era sottoposto un antifascista quando veniva incarcerato per le proprie idee.

Evoca quell’angoscioso stato d’animo la mostra intitolata Visioni di carceri e rovine, inaugurata sabato 20 settembre e allestita presso le Sale espositive di Palazzo dei Pio a Carpi fino al 23 novembre. Artista d’eccezione, capace di riprodurre le cupe atmosfere di ambienti destinati in passato ad ammassare detenuti, non è un contemporaneo, bensì l’acclamato Giovan Battista Piranesi. Il celebre architetto, incisore e scenografo, fu autore di una serie di sedici incisioni aventi le carceri come soggetto; e benché nella prima e nella seconda metà del Settecento ciò che vi è rappresentato fosse conforme al vero, battezzò l’inquietante corpus di stampe con il nome di Carceri d’invenzione, pubblicandone due edizioni in quindici anni. L’espressione coniata da Piranesi per definire graficamente il luogo detentivo, non voleva ridimensionare il senso di naturale fastidio che si provava (e ancora si prova) nel varcare la soglia di un carcere; semmai l’efficace titolo della raccolta, giocato palesemente su ciò che dall’esterno di un luogo di pena non era neppure facile supporre, aumenta maggiormente il patema, conferendo all’esercizio della fantasia un ruolo non secondario.

Né possiamo omettere l’ipotesi degli studiosi, secondo cui nelle intenzioni di Piranesi alcune tavole della seconda edizione costituiscono l’esatta raffigurazione degli ambienti Vaticani in cui la Santa Inquisizione estorceva le “confessioni” a quanti si trovavano segregati perché in odore di eresia. Le stesse architetture, con i volumi apparentemente sovradimensionati, certi elementi ben marcati e posti in primo piano come catene, strumenti di tortura, ruote, garitte, croci, puntelli, cavalletti e scale a chiocciola che sinuosamente scendono verso inimmaginabili profondità, rendono a dovere l’idea di un luogo di sofferenza concepito dalla Chiesa dell’epoca per uno scopo per così dire… istituzionale.
Ma davvero si possono riconoscere in queste incisioni di Giovan Battista Piranesi finalità etiche, palesate anche nella famosa serie delle rovine romane, a dimostrazione dell’ormai condiviso parere secondo cui ciò che nasce dalla fantasia non è meno terribile della realtà?

O non sono invece le proporzioni spaziali, le perfette geometrie e le vedute prospettiche degli interni, le protagoniste dei contenuti espositivi di questa stimolante mostra carpigiana? Eppure quegli stessi volumi, quelle soluzioni spaziali talvolta asfittiche e talvolta così ampie da risultare stranianti, hanno sempre influenzato, viziato e alterato la personalità di chi veniva privato della possibilità di gestire spazio e tempo, inducendo uomini di grande levatura morale come Silvio Pellico e Antonio Gramsci a misurarsi nell’isolamento con un “osservatorio” impietoso quanto realistico. Avvicinandoci alle tavole incise da Piranesi esposte in mostra a Carpi, è esattamente quell’osservatorio che ci interessa. E ancor di più quell’idea potente che ha favorito nel carcerato per reati politici l’evolversi di un mente speculativa capace di distinguere la realtà dall’invenzione.

*) Giuseppe Muscardini vive a Ferrara e lavora presso la Biblioteca dei Musei Civici d'Arte Antica di Ferrara. Narratore e saggista, collabora con “Nuova Antologia”, “Italianistica”, “Filologia e critica”, “Belfagor”, “Letteratura & società”, “Letteratura & Arte”, “Dibattito Democratico”, “IBC Informazioni commenti e inchieste sui beni culturali” e “Chroniques italiennes”. Collabora inoltre con i periodici e media elvetici “La Regione Ticino”, “Cartevive”, “La Rivista del Mendrisiotto”, Il Grigione italiano”, “Il Bernina”, “Quaderni grigionitaliani”, “Terra cognita”, “Seniorweb.ch”, “Pagine d'Arte” e “Radio Campione International”. È membro attivo dell'”Associazione Svizzera dei giornalisti specializzati” (Verband Schweizer Fachjournalisten – SFJ).

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