L’antifascismo dei fascisti e il fascismo dei qualunquisti

di Gian Luigi Bettoli, Spilimbergo (PN)

Per rispetto dei morti di ieri e di quelli di oggi bisogna denunciare il fatto che: se esprimere opinioni diventa sempre più spesso reato, incitare alla violenza è diventata un’opinione.

Difficile stupirsi che un ministro della guerra come La Russa ed un podestà di Roma come Alemanno approfittino dell’8 settembre (giorno dello scioglimento al sole dell’esercito della monarchia fascista e della speculare, e vittoriosa, nascita della Resistenza popolare) per fare l’apologia delle camicie nere collaborazioniste dei nazisti.

Indignarsi sì, è doveroso, soprattutto con questa Italia di oggi, ignorante o dimentica di un passato che rappresenta le fondamenta della Repubblica e della Costituzione.

Difficile perfino stupirsi che – a differenza del capo degli ex (?) fascisti, Fini, che da anni cerca sempre più solitario di proporre una svolta del suo partito, puntando a collocarsi nel solco della destra europea di tradizione liberale ed antifascista – il presidente del consiglio Berlusconi liquidi la questione sbrigativamente: in fondo, i peggiori fascisti sono sempre stati quelli che hanno approfittato e strumentalizzato gli squadristi, lasciando a loro il lavoro sporco e dedicandosi invece ai propri affari. La storia dell’Italia moderna è (anche) la storia di classi dirigenti che sono state consecutivamente monarchiche, fasciste, democristiane ed ora berlusconiane, disposte ad accettare ogni compromesso, pur di mantenere le mani libere sulla società e l’economia.

A volte (certo non sempre, né spesso…) è comprensibile parlare di buona fede delle pedine del movimento fascista, parte delle quali ha chiuso per tempo con quel passato, rendendosi conto del tragico errore. Ma non è ammissibile parlare di buona fede per i profittatori, gli opportunisti, i grandi e meno grandi burattinai. Quelli di ieri, come la monarchia e le gerarchie statali, economiche e religiose del nostro paese; quelle di oggi, che sputano sulla memoria del sacrificio di antifascisti e partigiani e confondono con un interessato disinteresse le ragioni e le colpe della nostra storia.

D’altronde, come lamentarsi se parte della stessa sinistra italiana – iniziando dai postsocialisti di Craxi per finire con i postcomunisti come Violante – ha cercato di accelerare una vana corsa verso il “potere” gettando le proprie ragioni alle spalle nella smania di legittimarsi e finendo per avvalorare le non-ragioni dell’avversario, dal “superamento dell’antifascismo” alla “comprensione per i ragazzi di Salò” fino alla moltiplicazione astronomica delle foibe e dei “triangoli della morte”. Fra politici furbetti e storici alla moda si è fatto strame di ogni principio e dato di fatto.

D’altronde da anni siamo arrivati ai paradossi: come quello dei fascisti in abito buono diventati i migliori “amici” di Israele, mentre la sinistra (quella che ha popolato i campi di concentramento ed i forni crematori nazisti per prima, rispettivamente insieme ai portatori di handicap ed ai pazienti psichiatrici, e poi agli ebrei, cristiani evangelici confessanti, testimoni di Geova, omosessuali e nomadi) viene accusata di antigiudaismo per la difesa dei diritti dei palestinesi, vittime insieme agli ebrei dell’antisemitismo e del colonialismo europeo. Vescovi nazisti sono stati proclamati santi (come il croato Stepinaz), mentre ogni azione partigiana viene messa all’indice.

Intanto, nella nostra “civile” Italia postantifascista, si può di nuovo dare la caccia liberamente agli omosessuali ed agli stranieri, incendiando le loro case, ammazzandoli di botte per la strada o facendoli morire come mosche nei cantieri, dove di “nero” ci sono soprattutto i rapporti di lavoro. In un paese dove non si sono mai fatti i conti con le centinaia di migliaia di vittime del colonialismo e delle guerre italiane, ogni aggressione è derubricata dalla magistratura (ma come si sono potute – a sinistra – sostituire le inchieste giudiziarie alla lotta di classe?) a “futili motivi”, “ragazzate”, eccetera. Come quando, decenni fa, ogni aggressione fascista era liquidata in questo modo: finché non hanno cominciato ad esplodere le bombe delle stragi nere.

Di che stupirsi, appunto, quando ci sono politici come Bossi che hanno fatto carriera parlando di armi e di violenza? Finché ci sono giornalisti, come il direttore di Telepordenone, che di armi parla sempre, invitando ad usarle? Con simili “educatori” in cattedra, come si può escludere che qualche scemo ti ammazzi di botte per strada? Se esprimere opinioni diventa sempre più spesso reato, incitare alla violenza – evidentemente – è diventata un’opinione.

P.S.: In tanta tristezza, la notizia della “fuga ingloriosa” dei trafficoni che cercavano di arraffarsi Alitalia con la protezione del governo di Bananaland, cacciati a furor di popolo da migliaia di lavoratori festanti, è un raggio di luce. Meglio il fallimento, che l’ulteriore massacro dei diritti dei lavoratori. Il neoliberismo precipita in tutto il pianeta, insieme con i suoi finanzieri d’accatto. C’è ancora speranza, se la gente è ancora capace di dire no.

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