LE DICHIARAZIONI DI FINI

Hanno suscitato interesse e scalpore le parole di Gianfranco Fini sul fascismo pronunciate sabato scorso alla festa nazionale di “Azione Giovani” (il movimento giovanile vicino ad AN). Credo opportuno che chi è interessato a queste tematiche prima di tutto si legga proprio l’intervento di Fini in modo integrale potendosene così fare un’idea più completa (vedi quindi L’ALLEGATO AL “PUNTO” DI QUESTA SETTIMANA). Personalmente – se condivido in generale la logica e il senso del suo intervento – non nascondo che alcuni punti mi lasciano però perplesso o, meglio, suggeriscono in me altre e più profonde riflessioni. Ad esempio, se penso (non da oggi, ma da sempre!) che la Destra debba effettivamente credere, operare, vivere per difendere i valori della libertà, del pluralismo, della democrazia, dell’uguaglianza e della giustizia sociale e quindi combattere ogni forma di razzismo e discriminazione, proprio perché questo l’ho sempre pensato mi viene difficile credere adesso che però sia autonomamente ed automaticamente un “valore” anche l’Antifascismo. Questo non per difendere il fascismo, ma perché i “Valori” che abbiamo appena detto sono allora anche nell’anticomunismo o nell’antitotalitarismo. Come giustamente ha detto Fini non tutti gli antifascisti sono stati (e sono!) dei democratici… Insomma sono i “Valori” in sé che contano, non “l’anti-qualcosa”, mentre condivido il giudizio storico che – poiché il fascismo ha combattuto o non rispettato questi valori – va per questo doverosamente criticato, e senza sconti. A tutto ciò si aggiunge l’infamia delle leggi razziali vergognose ed inaccettabili. Per questi motivi si deve allora giustamente sottolineare come la difesa dei Valori che prima citavo furono incarnati da quegli antifascisti che durante il regime subirono repressioni e violenze. Questo fu “Antifascismo vero” ed eroico, di quando essere antifascisti era una difficile scelta di vita e non – come dopo il ’45 – un comodo posto in tribuna.

Un altro aspetto che Fini non ha toccato ma che mi sento di dover difendere è il ricordo e la testimonianza di quanti – come me e prima di me – nel dopoguerra hanno fatto politica “a destra”. Ricordo ancora oggi con intatto affetto chi si è prodigato e si è sacrificato perché io, ragazzo di allora, potessi fare politica in quel clima irrespirabile che era l’Italia degli anni ’70. Per questo non posso dimenticare chi faceva politica nel MSI e poi nel MSI-DN credendo in quello che faceva, così come devo correttamente sottolineare che molti di loro avevano aderito alla RSI e certo non ne erano pentiti. Sono persone oggi quasi tutte scomparse, ma penso a che cosa avrà provato dentro di sé chi è ancora vivo ascoltando le frasi di Fini perché le parole di Gianfranco potranno anche essere condivisibili, ma sono dette comunque “a posteriori.” Come poteva mai sapere un ragazzo diciottenne in armi l’8 settembre del 1943, dove fosse “la parte giusta” oppure quella sbagliata.

E se avevi scelto la parte “sbagliata” – come avvenne per centinaia di migliaia arruolati nella Repubblica Sociale (che in quel momento in mezza Italia rappresentava lo Stato) e magari non ne eri per niente contento – e i partigiani ti avessero ammazzato un amico in una imboscata, tu come avresti reagito? Un conto è infatti discettare oggi nei salotti, un conto è aver vissuto quelle situazioni che la mia generazione non ha fortunatamente conosciuto. Quante volte ho ascoltato i racconti, i drammi, i dubbi di chi tra il ’43 ed il ’45 si era trovato a decidere in un’Italia divisa e allo sbando, reagendo in maniera diversa ed a volte opposta. Quei racconti sono stati importanti nella mia crescita politica e personale perché mi hanno insegnato che la ragione non sta mai tutta da una parte sola. Lo ricordo perché è semplicemente la verità: mio padre ha passato due anni di campo di prigionia in Germania solo perché – ufficiale di marina e monarchico – credeva che la strada giusta fosse stare comunque dalla parte del Re, un mio zio fu arruolato a 18 anni nell’esercito della RSI, un altro (e mia madre) stavano e simpatizzavano in campo partigiano. Questo per dire come ciascuno scelse una strada all’inizio sconosciuta, ma tutti (almeno a casa mia) cercarono – a guerra finita – di comprendersi a vicenda ed insieme lavorare per la nuova Italia che nasceva.

Mi pongo infine due domande e faccio una constatazione. La prima è perché mai da Veltroni, D’Alema o tanti altri ex del PCI non ho sentito una parola chiara di condanna del “loro” comunismo e del loro personale passato (senza “se” e senza “ma”), ma – soprattutto – perché nessuno di quelli che alla destra fanno quotidianamente gli esami del DNA questa condanna gliela hanno mai chiesta. Eppure, dopo il 1945, che il comunismo fosse liberticida avrebbero dovuto accorgersene tutti quelli in buona fede, un po’ tardi arrivarci solo nel 1989! La constatazione finale è invece che se io sono qui a scrivervi queste righe lo sono perché il geometra D.R. – antifascista delle mie parti tuttora riverito e convinto – un sabato pomeriggio di tanti anni fa sul lungolago di Arona (Novara) sbagliò da un passo la mira con una spranga di ferro in mano calata dritta dritta sulla mia testa. Mi scansai e per una faccenda di mezzo secondo a farne le spese fu il tettuccio della mia A 112, altrimenti non sarei qui a raccontarlo. Io l’ho perdonato da tanti anni (come anche in tribunale) e per me va bene così, ma a lui e a tanti suoi “compagni” di allora e di oggi nessuno ha mai chiesto e verificato di che razza fosse il loro antifascismo…

Lascia un commento

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy: