L’apologia della legalità  di Piero Calamandrei

A molti forse il nome di Piero Calamandrei non dice molto. Egli fu un insigne studioso, giornalista e uomo politico. Nato a Firenze nel 1889 fu professore di Diritto Processuale Civile nelle Università di Messina, Modena, Siena ed infine Firenze. Prese parte alla Prima guerra mondiale come ufficiale volontario combattente nel 218° Reggimento di Fanteria. Si schierò pubblicamente contro Mussolini e la dittatura, aderendo nel 1925 al Manifesto degli Intellettuali Antifascisti di Benedetto Croce
Fu uno dei pochissimi professori e avvocati che rifiutò la tessera del Partito Nazionale Fascista. Nel 1942 fu tra i fondatori del Partito d’Azione con Ugo La Malfa e Ferruccio Parri. Preferì dimettersi da professore universitario piuttosto che sottoscrivere una lettera di sottomissione a Mussolini che il Rettore della sua Università pretendeva. Dopo l’8 settembre fu colpito da mandato di cattura. Dopo la Liberazione fu membro della Consulta Nazionale e dell’Assemblea Costituente per il Partito d’Azione. E’ considerato, a giusto titolo, uno dei “Padri” della nostra Costituzione.
Sua nipote Silvia Calamandrei, ricercatrice, ha recentemente curato l’uscita del volume “Fede nel diritto”, che contiene il testo inedito di una conferenza che Piero Calamandrei pronunciò nel gennaio del 1940. Nell’introdurlo Gustavo Zagrebelsky, Presidente emerito della Corte Costituzionale, sostiene che la conferenza è un' apologia della legalità. La legalità è per lui un elemento morale, che corrisponde esso stesso a un' idea di giustizia perché crede che la legge in se stessa, in quanto cosa diversa dall' ordine particolare o dalla decisione caso per caso, contenga un elemento morale di importanza tale da sopravanzare addirittura l' ingiustizia eventuale del suo contenuto. La legge generale e astratta «significa che il diritto non è fatto per me o per te, ma per tutti gli uomini che vengano domani a trovarsi nella stessa condizione in cui io mi trovo. Questa è la grande virtù civilizzatrice e educatrice del diritto, del diritto anche se inteso come pura forma, indipendentemente dalla bontà del suo contenuto: che esso non può essere pensato se non in forma di correlazione reciproca; che esso non può essere affermato in me senza esser affermato contemporaneamente in tutti i miei simili; che esso non può essere offeso nel mio simile senza offendere me, senza offendere tutti coloro che potranno essere domani i soggetti dello stesso diritto, le vittime della stessa offesa. Nel principio della legalità c'è il riconoscimento della uguale dignità morale di tutti gli uomini, nell' osservanza individuale della legge c' è la garanzia della pace e della libertà di ognuno. Attraverso l' astrattezza della legge, della legge fatta non per un solo caso ma per tutti i casi simili, è dato a tutti noi sentire nella sorte altrui la nostra stessa sorte»………..«Indipendentemente dalla bontà del suo contenuto», «anche quando il contenuto della legge gli fa orrore». La certezza del diritto è il valore che primariamente è in gioco, un valore strettamente intrecciato alla sicurezza del singolo, affinché possa «vivere in laboriosa pace la certezza dei suoi doveri, e con essa la sicurezza che intorno al suo focolare e intorno alla sua coscienza la legge ha innalzato un sicuro recinto dentro il quale è intangibile, nei limiti della legge, la sua libertà». Il principio sottinteso è perciò che la legge è uguale per tutti. Non come in Italia dove è uguale per tutti meno quattro!!!

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