Da quale pulpito?

di Vittorio Lussana

Papa Benedetto XVI ha deciso di esprimersi, nei giorni scorsi, sulla situazione politica italiana: a suo dire, al nostro Paese servono nuovi esponenti cattolici competenti e responsabili. Sull’analisi convengo persino, almeno per certi versi. Tuttavia, tale autorevole opinione, che in realtà viene espressa da tempo anche da molti esponenti assai poco ascoltati in questa fase della nostra vita politica, mi ha portato a chiedermi se la Chiesa di Roma sia sempre stata così lucida nelle sue formulazioni. Analizzando infatti alcuni aspetti evolutivi del pensiero politico clericale, la Chiesa di Dio in Terra possiede un retroterra storico-culturale più che conservatore: chi è povero deve rimanere povero, chi è ricco deve rimanere ricco, chi è imprenditore rimane imprenditore, chi è un lavoratore rimane un lavoratore: un pensiero sostanzialmente aziendalista, da multinazionale della fede. La Chiesa ha sempre approfittato della propria posizione culturalmente egemonica al fine di svolgere le proprie opere caritative che, a loro volta, sono considerabili come delle vere e proprie organizzazioni ideologiche. Sebbene sia la collettività a sostenere la maggior parte dei costi di tali istituzioni, la Chiesa, in quanto imprenditrice, viene lasciata nelle condizioni di disporne in totale libertà, generando da sempre ‘spazi sociali’ culturalmente estranei alla democrazia, quasi come se quest’ultima fosse un concetto accettato ‘obtorto collo’: un ‘boccone’ ancora non del tutto digerito. L’antico diritto ecclesiastico feudale, secondo alcuni studiosi clericali non apparterrebbe, sotto il profilo della propria ‘matrice’, né al diritto del lavoro, né a quello pubblico: è un diritto a sé stante, riservato all’interno del clero. Di conseguenza, si traduce in una dottrina abituata a fare e disfare a proprio piacimento, al fine di estendere le proprie zone di influenza in qualsivoglia settore. Tutto ciò serve a camuffare una verità storica tutt’altro che misericordiosa: la Chiesa è storicamente colpevole dell’antisemitismo multisecolare, che fa parte della sua Storia come uno dei suoi ‘marchi’ più peculiari e caratteristici. Non dovrebbe stupire nessuno il fatto che sia stato questo ‘marchio’ a condurre il mondo di filato verso le camere a gas del fedele cattolico Hitler. Nel cattolicesimo non v’è praticamente nulla di originale: tutto è mutuato, smembrato e rimesso a nuovo. E quel che non deriva dall’antico paganesimo è stato ricavato dall’ebraismo. Ciò nonostante, non potendo gli Ebrei riconoscere la variante cristiana della loro stessa fede ed essendosi affermato il principio che essi avrebbero fatto uccidere il presunto fondatore di una Chiesa, l’odio clericale verso di loro ha finito col divampare almeno per venti secoli. A partire dal Santissimo apostolo Paolo, che seguitò ad accusare i propri familiari anche e soprattutto dopo essersi convertito. Seguendo il suo esempio (e non certo quello dell’ebreo Gesù), quasi tutti i primi padri della Chiesa sono stati avversari convinti del ‘popolo eletto’, rendendo l’antisemitismo una semplice ‘variante culturale’ del cattolicesimo. Tertulliano, Agostino, Giovanni Crisostomo scrissero appositi libelli contro i Giudei. E scagliarsi contro di loro al fine di sfogare la propria tracotanza ha rappresentato, per quasi due millenni, il segno distintivo del cattolico più autentico. Nel II secolo d. C. San Giustino – uno degli apologeti più rappresentativi – addossava agli Ebrei la colpa “non solo del male che compiono essi stessi, ma anche di quello che tutti gli altri uomini generalmente commettono”. Come si può ben notare, un simile giudizio sommario reca già in sé il germe della legittimazione della ‘soluzione finale’. In seguito, il Santo Dottore della Chiesa Efrem definì gli Ebrei “mentecatti, nature servili, servitori del demonio”. Mentre San Giovanni Crisostomo considerò gli Ebrei, nel loro insieme, “non migliori dei maiali e dei montoni”. Nel 638 d. C. si arrivò al VI Concilio di Toledo, in cui venne ordinato “il battesimo coatto di tutti gli Ebrei viventi in Spagna”, mentre il XVII Concilio di Toledo, celebratosi nel 694, ridusse tutti gli Ebrei alla condizione di “schiavi”. Insomma, nessun aspetto dell’antisemitismo esploso nel XX secolo risultava inedito alla Chiesa. Nell’anno 306 d. C. venne proibito il matrimonio e i rapporti sessuali tra cristiani ed Ebrei, nonché la consumazione comunitaria dei pasti. Agli Ebrei non è stato mai permesso di ricoprire cariche pubbliche (Sinodo di Clermond, 535 d. C.), né di dar lavoro a collaboratori cattolici. Nel 681, il XII Sinodo di Toledo decretò “la distruzione col fuoco di ogni libro ebraico”, mentre il Concilio di Costantinopoli del 692 fece divieto ai cristiani di farsi visitare da medici Ebrei. E così via di seguito: divieto di circolazione per le strade nei giorni delle festività cristiane, divieto per i cattolici di abitare, anche per brevi periodi, presso famiglie ebree, obbligo di pagare la ‘decima’ ecclesiastica pur non appartenendo alla Chiesa. Senza contare che nessun discendente di Mosè, per lunghissimo tempo ha mai potuto citare un cattolico in un giudizio, né deporre come testimone a suo carico. Mi appare del tutto evidente come i sicari di Hitler non abbiano dovuto far altro che stendere il braccio e prendersi ciò che da secoli era già stato seminato. Ed anzi, forte rimane in me l’impressione che il dittatore austriaco non sia stato altro che l’erede diretto del pensiero cattolico nella sua prassi più omicida. Allorquando, nel 1933, Hitler ricevette il rappresentante dell’episcopato cattolico tedesco, al Vescovo che aveva di fronte dichiarò di non voler fare “niente di diverso da quanto la Chiesa aveva fatto per 1500 anni”. Quel Vescovo non ebbe nulla da obiettare, né disse alcunché quando Hitler gli confessò più specificatamente che “riguardo alla questione ebraica, sto per fare al cristianesimo il più grande dei servizi”. Hitler ha potuto ascendere ad un potere assassino perché la coscienza di parecchie centinaia di milioni di cattolici tacque o, addirittura, accondiscese alle sue azioni. E si potrebbe persino affermare che Auschwitz – e fors’anche Hiroshima – si fondino su esimie bimillenarie tradizioni filosofico – morali della Chiesa. Nei confronti del Reich hitleriano e del fascismo italiano, la stragrande maggioranza dei cattolici fu allineata e silenziosa. Nell’aprile del 1936, un gesuita rifugiatosi in Olanda definì la stampa cattolica della Germania “uno strumento disgustoso di menzogna”. Ma ciò non si notò nemmeno, visto che già due anni prima, nel 1934, l’insigne Michael Schmaus, che poi divenne membro dell’accademia bavarese delle Scienze negli anni ’50, aveva scritto che “cattolicesimo e nazionalsocialismo possono e debbono marciare insieme, mano nella mano”. A questo punto, la domanda sorge spontanea: da quale ‘pulpito’ parla, oggi, la Chiesa cattolica?(laici.it)

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