Ducecento persone stipate in un corridoio…

di Valentina Giordo e
Cristian Ribichesu

…la maggior parte in piedi, alcune sedute, stanche di dover aspettare per ore; caldo, sudore, umanità. Una signora spazientita, urlando nel tentativo di superare le voci degli astanti, scandisce i nomi della graduatoria per verificare chi è presente. Quelli che sono stati chiamati si alzano, entrano in una stanza ed escono con un’espressione che non riesci a decifrare: potrebbe essere rassegnazione, tristezza o solo stanchezza. Qualcuno ha un foglio in mano, qualcun altro esce senza niente, quelli che aspettano fuori chiedono ansiosi “Come è andata? cosa ti hanno proposto?”, s’informano su quale sarà il loro destino e intanto tirano fuori un altro foglietto e cancellano qualcosa. Molti hanno paura di dover affrontare ogni giorno centinaia di chilometri su strade che non sono certamente sicure e scorrevoli. Sono presenti molte donne, qualcuna è anche incinta, qualcuna è avanti con l’età e qualcuna vorrebbe solo tornare a casa e farsi una doccia. Ci sono anche alcuni uomini, per lo più docenti precari, altri che hanno accompagnato le proprie compagne o mogli.
Non è l’incipit dell’ennesimo libro sui campi di concentramento o un articolo di cronaca sui centri di accoglienza per gli immigrati, è semplicemente la descrizione di una giornata trascorsa al Liceo Azuni, a Sassari, il giorno delle nomine dei docenti, tutti abilitati, per le supplenze annuali.
Per chi non lo sapesse, il reclutamento degli insegnanti avviene, o avveniva prima che ci mettesse mano il ministro Gelmini, in questo modo: dopo aver conseguito la laurea, previo superamento di un esame di ammissione, potevi accedere alla scuola di specializzazione all’insegnamento (SSIS), che dura due anni ed è a totale carico dello specializzando (1200 ore di lezione con tirocinio nelle scuole e laboratori, decine di esami, diverse migliaia di euro di tasse ed esame di stato finale); dopo aver conseguito l’abilitazione, a richiesta, potevi quindi essere inserito in una graduatoria provinciale. Da quel momento cominciava il calvario che avrebbe portato il “super-specializzato” ad una lunga serie di convocazioni per la nomina in cattedra a tempo indeterminato, per i pochi posti disponibili, o a tempo determinato per la maggior parte.
Quest’anno il Ministero ha deciso di fermare le abilitazioni SSIS per l’insegnamento nelle scuole secondarie (potranno essere conclusi solo i corsi iniziati l’anno scorso) creando molte incognite per chi ancora deve conseguire l’abilitazione.
Con i tagli programmati, sia dal vecchio che dal nuovo Governo, per alcune classi di concorso, cioè per alcune materie, su cento insegnanti che vanno in pensione si avrà solo un ricambio del 16%, il tutto con la formazione di classi che in moltissimi casi saranno composte di trenta o più alunni. Di conseguenza nel Paese, che tra le ricchezze più volte citate dal Touring club annovera la presenza di tanti piccoli comuni, verranno chiuse le scuole dei paesi, con un aggravamento del fenomeno dello spopolamento delle zone interne. Da più parti si sostiene che la Scuola non deve tenere conto delle esigenze degli insegnanti, ma di chi usufrisce del servizio, cioè delle famiglie e degli studenti. Ma con la riduzione del numero dei docenti e la precarizzazione delle cattedre il danno maggiore lo ricevono proprio gli alunni e le famiglie più disagiati posto che, come risulta da studi di livello internazionale, i progressi dei ragazzi, che sono addirittura esponenziali per quelli provenienti da contesti sociali difficili, sono tanto maggiori quanto meno numerose sono le classi che frequentano.
Per di più in Italia, con il taglio alle assunzioni degli insegnanti, si blocca il turnover nonostante che il nostro sia il paese europeo con la classe docente più anziana (48 anni di media per i maestri delle elementari, 51-52 per quelli delle medie e delle superiori). In Sardegna “spariranno” ben 1.281 posti; capiterà così che anziani lavoratori dovranno pagare, con i loro contributi, il sussidio di disoccupazione dei giovani, invertendo la regola del buon senso secondo la quale dovrebbero essere questi ultimi ad assicurare la pensione dei vecchi.

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