Parallelamente alla fine delle operazioni militari in Caucaso procede l’escalation politica. In questo caso la responsabilità maggiore spetta alla Federazione Russa con il riconoscimento unilaterale dell’indipendenza della Ossezia del Sud e dell’Abkhazia che fu, per inciso, formalmente proclamata dai Soviet delle rispettive repubbliche nel 1991/'92. Per la Russia si deve tuttavia parlare di responsabilità maggiori, ma non esclusive. Il progetto di integrare la Georgia nella NATO, rafforzato dopo la forte risposta russa all'aggressione georgiana, ha ulteriormente attizzato il conflitto.
Lasciatemelo dire: se qualche giornale nei giorni caldi avesse fornito un'informazione obiettiva circa le radici del conflitto, a nessuno sarebbe mai potuto saltare in mente di paragonare Gori alla Danzica del 1939 o di accostare la Georgia del 2008 alla Cecoslovacchia del 1968. E’ un fatto che la Georgia, proclamata la propria indipendenza con un atto di secessione dall’URSS, pensò bene di ridurre l’autonomia dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, e ciò benché fosse garantita dalla Costituzione della Repubblica Socialista Federata della Georgia non meno che dalle Costituzioni delle due repubbliche confederati. Il georgiano fu dichiarato lingua ufficiale unica. Venne abolito l'uso del russo. L’Ossezia e l’Abkhazia furono trasformate in semplici suddivisioni territoriali-amministrative: da repubbliche confederate a province dello Stato unitario della Georgia.
I conseguenti scontri etnici provocarono massacri di civili da ambo le parti, massacri che perseguivano l’obiettivo di rendere i territori etnicamente “puri”. Questo è avvenuto nel 1991/'92 in un contesto che dal 1920 era stato sostanzialmente pacifico.*) E gli scontri del 1991/'92 hanno posto fine, quanto meno per un periodo non breve, alle possibilità di una convivenza tra i diversi gruppi etnici, che pure registravano un forte numero di matrimoni misti.
Salta agli occhi l'analogia con la ex Jugoslavia soprattutto a riguardo della Bosnia Erzegovina con le sue tre etnie, costituite com'è noto dai serbi (cristiano-ortodossi), dai croati (cristiano-cattolici) e dalla maggioranza bosniaca (di tradizione mussulmana). Una crisi della Federazione jugoslava dopo la morte di Tito era probabilmente inevitabile, ma fu sicuramente accelerata dal riconoscimento unilaterale dell'indipendenza slovena e di quella croata. Ciò avvenne — sotto la spinta di Germania, Austria e Vaticano — per interessi nazionali e confessionali.
La secessione della Slovenia e, soprattutto, della Croazia (dove la pulizia etnica indusse alla fuga circa duecentomila serbi) innescarono un meccanismo infernale di reazioni a catena dai virulenti nazionalismi serbi contro gli albanesi del Kosovo a quelli dei croati contro i serbi della Krajna. E' palesemente lo stesso schema dei georgiani con la proclamazione dell’indipendenza di abkhazi e osseti.
Alcuni commentatori prevedono che i russi rimarranno in Georgia come i turchi a Cipro. Dal 1974 la Turchia, un paese NATO, occupa la parte settentrionale dell’isola di Cipro dove ha dato vita ad una Repubblica Turca di Cipro, come reazione all’unione con la Grecia voluta dalla maggioranza ellenofona dell’isola. La Repubblica Turca di Cipro è uno Stato riconosciuto soltanto dalla Turchia.
Nel 1975 appena nove giorni dopo la proclamazione dell’indipendenza dal Portogallo l’Indonesia invase Timor Est: un'occupazione brutale e genocida durata fino al 2002, cioè tre anni dopo il referendum per ristabilire l’indipendenza del paese.
Il Sahara già spagnolo, diviso nel 1976 tra Marocco e Mauritania, è stato illegalmente annesso al Marocco dal 1979, e ciò malgrado la strenua resistenza del Fronte Polisario che proclamò il 27 febbraio 1976 la Repubblica democratica araba Sahraui. Il referendum deliberato dalle Nazioni Unite non si è mai tenuto.
In questi tre episodi abbiamo dovuto registrare tiepidissime reazioni, se non il silenzio, di molti di coloro che adesso ci invitano alla mobilitazione per la Georgia o, addirittura, a morire per Tbilisi…
Tra la fine del XIX e l’inizio del XX i Balcani furono definiti la polveriera d’Europa, non per nulla si scatenarono una serie di guerre tra Turchia, Bulgaria, Serbia, Romania, Montenegro e Grecia, poi sfociate nella Prima Guerra Mondiale.
Oggi nel Caucaso ci sono tutte le caratteristiche balcaniche, basti pensare alla Cecenia, all’Armenia e all’Azerbaigian oltre che alla Georgia ed alle regioni contese.
La mina va disinnescata e non con nuove prove di forza, ma proprio in forza di principi di regolamentazione pacifica dei conflitti.
Dopo il Kosovo non vale più, come assoluto, il principio del rispetto dell’integrità territoriale degli Stati, quando concorre con il principio di autodeterminazione dei popoli. Rispetto al Kosovo la Russia non ha atteso l’esito di un referendum sotto controllo internazionale per procedere al riconoscimento di due nuove entità statali.
Lo spazio per un intervento politico internazionale, specialmente da parte dell’Unione Europea, esiste ancora. Parliamo dell’Europa come entità politica, da non confondere con le telefonate di Berlusconi all’amico Putin (come ha opportunamente ricordato Piero Fassino).
Il regime russo gode di un indubbio sostegno popolare, quando solletica il nazionalismo e la nostalgia di grande potenza, ma l’ambiente degli affari ha reagito negativamente con una spettacolare caduta della borsa ed una massiccia fuga dei capitali, come ricorda la prima pagina de Le Monde nell’edizione del 24-25 agosto scorso: evidentemente, il petrolio e il gas russo, da cui l’Europa dipende, non sono l’unico fattore economico in gioco.
Un approccio realistico e ragionevole è necessario con buona pace degli atlantisti più fanatici, che si mettano a gridare alla nuova Monaco e alla politica di appeasement nei confronti di Hitler. La proposta di una Conferenza internazionale appare una cosa metodologica e procedimentale più che la soluzione del conflitto (e i precedenti ciprioti, timorensi e sahraui stanno a dimostrarlo), ma almeno consente una tregua nel confronto politico-militare senza far perdere a nessuno la faccia.
Dopodiché tutto va messo in discussione, dallo scarso rispetto dei diritti civili in Russia e Cecenia, all’installazione di missili in Polonia e nella Repubblica Ceca, all’allargamento della Nato alla Georgia.
Il modello di convivenza europeo tra popoli deve riuscire a imporsi, altrimenti sarà un crescendo scatenato di nazionalismi: “Dall’umanità alla bestialità attraverso la nazionalità”, diceva lo storico marxista inglese Eric Hobsbawm, intendendo per “nazionalità” non l'identità storica e culturale di una comunità politica, ma il nazionalismo aggressivo cui assistiamo in molte parti del mondo. Proprio i recenti avvenimenti in Georgia costituiscono un monito per tutti.(ADL)