Verso l’impegno e il senso di responsabilità
Il bello non è l’unico contesto significativo per un’educazione all’impegno e alla responsabilità. Da un punto di vista metodologico, il percorso più efficace è centrato sulla difficoltà che dovrà prevedere un impiego minuziosamente ponderato dell’aiuto lungo l’asse che va dalla totale autonomia alla cooperazione. Il ragazzo stimolato dalle potenzialità di divertimento in modalità più sofisticate e dal desiderio di mettersi alla prova, avrà occasione di imparare non solo a non arrendersi di fronte alle difficoltà, ma anche scoprire che adattando il suo intervento ai vincoli che la realtà presenta, il ragazzo potrà contribuire decisivamente alla modificazione di quella stessa realtà. Come l’educazione al bello anche l’educazione al difficile risulta sostanzialmente una strategica dinamica processuale di formazione della capacità intenzionale: è una modalità per offrire al ragazzo la potenzialità di autopercezione, quale attore di un ruolo, di un copione, di una parte di storia che gli spetta e che gli è dato vivere. Il percorso educativo e rieducativo deve anche costruire ambiti che consentano al ragazzo di problematizzare la sua nuova dislocazione nel mondo, rispetto agli altri.
Le esperienze dell’altro.
Una transizione obbligatoria finalizzata al cambiamento dell’interpretazione del mondo da parte del ragazzo risulta il riconoscimento del retroscena essenzialmente intersoggettivo su ogni agito ed esperienza sul reale e sul sé. Collocare i vissuti nell’ambito di un palcoscenico intersoggettivo risulta funzionale anche a una consecutiva rideterminazione dell’identità personale. L’identità si costruisce, decostruisce e ricostruisce sempre in relazione e in situazione. La nostra identità dipende indubbiamente da un vissuto, da una storia, da una sedimentazione di rapporti con gli altri. L’incontro con l’altro non è ovviamente un’esperienza nuova per il ragazzo difficile “Si tratta di ragazzi e ragazze i cui comportamenti sono percepiti come dissonanti rispetto ad un certo modello condiviso di competenza sociale e che per questo marcano la diversità di chi li compie rispetto agli altri” . L’esperienza rieducativa centrata sull’incontro con l’altro rappresenta un luogo estremamente delicato. L’educatore deve valutare l’esistenza di un modo già costruito e strutturato di riflessione sul sé per determinare delle esperienze dell’altro rapportate alla biografia del ragazzo ed alle sue esperienze di vissuti esistenziali.
L’esistenza gruppale.
La percezione di costituire parte di un mondo intersoggettivo determina una dinamica relazionale sia autonoma, sia dipendente. Tra i ragazzi si formano gruppi spontanei che non sempre assumono la configurazione di un contesto formativo rispondente allo scopo. L’intervento dell’educatore consiste nel coordinare la formazione del gruppo dove sorge il timore che esso si configuri in base alle stesse dinamiche procedurali che hanno contribuito alla genesi di una determinata interpretazione dell’altro e del sé. Se l’educatore non può permettere la libera spontaneità dei meccanismi di aggregazione, non può costringere i ragazzi a svolgere attività per loro insignificanti e il suo intervento consiste anche nel permettere che i ragazzi propongano e concordino tra loro progetti e attività significative per tutti. L’attività prescelta nel mettere in funzione il dispositivo dinamico della vita di gruppo. “Un dispositivo che assimila la scuola al carcere, all’esercito, alla fabbrica, all’ospedale; che essa contribuisce a rimettere a punto piegandolo alla peculiarità dei propri intenti. L’apparato educativo della società occidentale che si configura variamente sia in ordine a compiti di istruzione sia a effetti diffusi di assoggettamento e individualizzazione” . Si deve comunque trasformare in un mondo in comune, in un piccolo universo costruito e condiviso dall’essere e dal fare insieme. L’esistenza di relazioni interpersonali rappresenta un tessuto interconnesso di rapporti di dipendenza che, all’interno dell’attività di gruppo, si rivelano quali molteplici possibilità perché l’azione individuale risulti significativa e realizzabile. L’esperienza dell’”altro” come azione collettiva, pedagogicamente condotta, si trasforma in luogo per agire concretamente e per ripensare l’interrelazione tra autonomia e dipendenza (Bertolini 1990) che ricollega il soggetto al mondo sociale e alla produttività delle sceneggiature collettive. Agire con l’alterità non deve rivelarsi per il ragazzo un conformarsi a tutto quanto stabilito, dato e negoziato anche se intersoggettivamente, ma significa un costruire progressivamente questo mondo in comune, attraverso pratiche processuali, dinamiche procedurali di continua calibrazione, di assidua ricerca di equilibrio tra azione individuale e scenario collettivo e sociale. Se l’educatore è in grado di tenere costante la funzione di contenitore del gruppo, permettendo che esso si stabilisca come un apporto di sostegno e si realizzi ed attualizzi come un punto di riferimento imprescindibile per il ragazzo, qualunque sua dinamica comportamentale deviante e disagiata si trasforma in un incentivo pedagogico a reagire non con modalità di segregazione e rinuncia, ma con tentativi di rivisitazione personale. All’interno di una dinamica collettiva e gruppale risulta imprescindibile il ruolo guida di un leader dialogico, non autoritario, ma autorevole, che presenti spunti creativi e di incoraggiamento alla creatività, al “fare” anche in interazione al fine di costruire elaborati, pratiche, opere, oggetti ispirati al bello nel suo senso estetico di intenzionalità pedagogica tramite cui si significano il mondo, la realtà e gli altri e si attribuisce senso, valore e significato a tutto quanto si crea, si produce, si realizza e viene messo in comune con l’”altro”, con gli altri e le reciproche differenze e le plurime diversità di ciascuno. Il disagio insorge quando si presenta una sorta di opacità referenziale tra le alterità e quando le differenze si appiattiscono nel conflitto o si avviliscono nell’indifferenza.
L’intenzionalità educativa.
L’intenzionalità è volta a promuovere il comportamento prosociale nell’empatia e nelle dinamiche della mente che prevedono il pensiero metacognitivo e metacomunicativo tramite cui due persone o più soggetti possono interagire anche tramite un’intesa sottile di contenuti, di pensieri, di sguardi d’intesa, riuscendo a comprendere l’uno il pensiero dell’altro. Risulta necessario comprendere ciò che l’altro immagina e pensa, perché si impara ad osservare la nostra mente non come l’unico spazio cerebrale possibile su questa terra. Con la metacomunicazione si interagisce con la mente delle alterità e si creano concetti più ricchi, costruttivi, carichi di comprensione e passione reciproca.