di Vittorio Craxi
Noi socialisti siamo tutti consapevoli della difficilissima sfida che abbiamo di fronte. Essa riguarda la crisi del socialismo italiano, quella della sinistra italiana e, più in generale, quella italiana. Mentre alle prime due compete soltanto a noi riuscire a dare delle risposte soddisfacenti, unendo un sano realismo ad una robusta dose di autocritica, la crisi italiana è quella che oggi preoccupa di più, poiché alimenta il nostro bisogno di essere forza politica attiva e classe dirigente in grado di dare il proprio contributo decisivo alla soluzione dei problemi del nostro tempo. Per questo motivo, vale fino ad un certo punto interrogarsi sulla grave situazione in cui ci siamo trovati, sconfitti per la seconda volta nel giro di pochi decenni e, questa volta, addirittura non portando responsabilità politiche evidenti, ma semplicemente per aver scelto non la solitudine politica, ma le ragioni della storia, dell’identità e della dignità. Per questo, la nostra assenza parlamentare oggi dev’essere vissuta non come un arretramento delle nostre idee, ma come una linea coerente di difesa della nostra storia, della nostra identità, che è quella del più antico partito della democrazia italiana, la più importante esperienza politica della sinistra in Europa e nel mondo. In ben altre circostanze avremmo voluto celebrare il nostro Congresso. Esso, d’altronde, cade in un momento assai delicato per la vita del Paese e rappesenta la giusta e doverosa riflessione che deve guidare con intelligenza questa nostra testimonianza e volontà di non venir meno agli impegni assunti un anno orsono: un impegno di unità politica dei socialisti italiani, un impegno per costruire una forza politica antica che sappia impegnarsi ed affrontare in modo nuovo e convincente i nuovi problemi della nostra società. Noi sappiamo di vivere lo splendido paradosso di chi riconosce al riformismo socialista il merito di aver saputo cogliere, nei migliori momenti della sua storia, l’essenza dei problemi della società italiana e di aver cercato di offrire risposte adeguate per il governo di una società moderna: è il paradosso di chi sa che, oggi, la pratica, il metodo e l’attitudine riformista, almeno nelle affermazioni di principio, appartengono alla cultura di riferimento delle forze che si alternano alla guida del Governo. E che la forma organizzata del riformismo moderno, che dovrebbe avere nel socialismo italiano il suo fulcro, soccombe, anzi sparisce, dinanzi alla nuova società politica che avanza. Potremmo accontentarci di far sopravvivere le nostre idee in qualche contenitore politico o elettorale, rinunciando al nostro essere comunità cancellando anche gli onesti sforzi che sono stati compiuti in questi quindici anni per mantenere in vita un soggetto politico tradizionale, figlio di una stagione e di una cultura politica che non c’è più e che non sembra essere più adatta ai tempi che cambiano. Io penso, in tutta onestà, che seguire questa tentazione possa apparire la strada più suggestiva ed anche la più comoda. Ma penso anche che questo abbandono del proprio compito, politico e storico, equivarrebbe non solo ad un tradimento della propria storia, personale e collettiva, ma ad un errore tragico di prospettiva dell’avvenire della democrazia e della sinistra italiana, che presto o tardi si troverà nuovamente a fare i conti con quell’inevasa questione socialista che noi continuiamo a sollecitare come la questione politica decisiva e fondamentale della democrazia italiana. Essa non rivive come una risposta ‘politicista’ alla crisi di identità del più grande partito della sinistra italiana, che pure non potrà sopravvivere a lungo senza un confronto serio e definitivo con la più grande famiglia politica della sinistra europea, che è e resterà quella socialista ed alla quale non può essere richiesta alcuna trasformazione ideologica o semantica, perché il socialismo democratico nel mondo ha vinto le sue sfide e le sue battaglie ed ha resistito e sconfitto, nella sinistra del mondo, la tentazione totalitarisa rappresentata dalla grande famiglia del comunismo internazionale. La questione socialista si può riproporre per la nostra capacità di indicare l’agenda politica dei principali problemi che riguardano le nostre società e che la vittoria delle destre non ha affatto risolto o saputo governare, lasciando sul terreno non solo lo spazio ma l’obbligo, per i socialisti democratici, di svolgere un ruolo attivo propositivo decisivo. In Italia vi è un deficit di natura democratica: è un deficit vistoso, enorme, e sta sotto ai nostri occhi: il fallimento del bipolarismo, insieme a quello di dare una struttura forzatamente bipartitica alla nostra democrazia ci richiama all’evidenza di adeguare sul piano istituzionale e costituzionale la nostra democrazia. Essa non può reggere a lungo a continui cambiamenti in corso d’opera che vengono effettuati per dare successive coperture alle diverse fasi politiche che abbiamo vissuto nella lunga transizione italiana. E con le elezioni dello scorso aprile non si è affatto conclusa questa transizione, semmai si sono riproposti con maggiore evidenza i più concreti rischi di un’ulteriore instabilità politica ed istituzionale dopo le fratture che non furono sanate in seguito alla rottura democratica del ‘92 e ‘94. C’è un problema di instabilità e di squilibrio fra i poteri dello Stato. Essi non riguardano soltanto l’uso distorto del potere giudiziario e la sua influenza sul potere politico, ma anche i tentativi del potere politico di mettersi al riparo da essi lasciando intatte tutte le prerogative di autonomia dei giudici, che verrebbero sempre di più esaltate da uno scontro politico senza precedenti e dagli esiti tutt’altro che scontati. Questo modo di essere della società italiana e della società politica italiana, che si è adeguata all’idea che esista un potere irresponsabile che decide le sorti della della democrazia parlamentare, del Governo, dei singoli esponenti politici e che tiene sulla graticola per oltre un decennio l’uomo forte della politica italiana, non piace, non può piacere, non convince. Non piace neanche l’idea che la legittimità politica e democratica possa piegare a convenienza personale la legge, trascinando verso un conflitto mortale la democrazia ed obbligando i cittadini ad assistere attoniti allo stesso spettacolo dopo quindici anni e, come in uno spettacolo televisivo, prenderne parte schierandosi, ritenendo che essa sia la lotta del bene contro il male, nella convinzione di ciascuno di rappresentare il bene assoluto. Noi avvertimmo per primi che l’Italia si stava avviando verso la barbarie, che lo scontro politico che vide trionfare la magistratura unita al potere mediatico avrebbe aperto le porte ad ‘nuovismo’ fragile ed inconsistente, che avrebbe indebolito in maniera pressoché irreversibile le fondamenta non solo dello Stato di diritto, ma anche della stessa democrazia. Dentro questa scomparsa socialista non ci sono soltanto gli errori nostri e ciò che abbiamo saputo salvare e recuperare nel naufragio. Ma c’è – ed è evidente – la volontà di cancellare i testimoni scomodi di un’epoca, le prime vittime sacrificali di una rottura politica che ha aperto le strade ad una situazione confusa, squilibrata, rischiosa per le anomalie che essa stessa ha continuato a perpetuare, per la debolezza politica che produce e che è uno dei grandi fattori negativi che incombe su una stagione economica tutt’altro che positiva. Per questo, penso che da questo Congresso socialista noi dobbiamo mandare un segnale politico forte, chiaro, alto. Per noi, che abbiamo pagato per primi un uso spropositato della giustizia – un conto molto più salato di altri – e per la nostra vicenda, che tante volte è stata usata in questi anni per difendere questioni di altra natura, noi invochiamo che si dica la parola fine su questa infinita querelle che oppone politica e magistratura e che si apra un terreno di dialogo per delle riforme vere, un capitolo nuovo, e che intorno a questo non vi siano ripensamenti sulla strada del confronto e della convergenza politica fra maggioranza ed opposizione. Veltroni non faccia il passo del gambero: isoli nella sinistra chi si oppone a questa necessità ed apra una nuova stagione politica anche nella sinistra italiana. Egli può star certo che i socialisti, rinnovati e rafforzati, sapranno cogliere questa occasione. C’è un problema di pluralismo politico, di difesa delle prerogative, anche qui costituzionali, dei cittadini, che si sono trovati nuovamente dinanzi ad un parlamento non democraticamente eletto ma politicamente nominato da una ridotta ‘casta’, in questo caso una ridottissima elìte che ha deciso, sostanzialmente, la composizione dei nuovi legislatori in barba a qualsiasi regola democratica ed eludendo principì sacrosanti in democrazia: quello della libertà di scegliere i propri eletti e quello della rappresentatività democratica, di un diritto all’accesso politico che non può essere cancellato come è stato fatto nell’ultima campagna elettorale, la quale ha assunto toni da vero e proprio regime totalitario attraverso il bombardamento ossessivo operato dai media di Stato e da quelli controllati dal maggior leader dell’opposizione. Un bombardamento che obbligava tutti al cosiddetto ‘voto utile’. C’è dunque un problema di democrazia delle regole e di nuove regole della democrazia politica e della democrazia economica. Queste ultime diverranno sempre più fondamentali innanzi ai periodi di crisi che dovremo affrontare, in cui le tentazioni di approfittare della fragilità degli organi di controllo dello Stato si moltiplicheranno come si sono moltiplicati, in questi anni, i vistosi casi di speculazione finanziaria ai danni dei cittadini, eludendo clamorosamente ogni regola del mercato e della libera concorrenza. Lo sforzo di semplificare un sistema normativo che, troppo spesso, ha frenato ogni capacità di intraprendere, ostacolando lo sviluppo, non può e non deve coincidere con l’esaltazione e la pretesa di sciogliere il vincolo che lega indissolubilmente il mondo del lavoro a quello dell’impresa lasciando al solo mercato il compito di definire regole e obiettivi. C’è inoltre una questione legata al nostro essere parte di una Unione più grande, l’Europa, e alle enormi difficoltà che, oggi, quest’Unione sta attraversando nella necessità di comprendere che essa è ancora la frontiera di un possibile cambiamento e che un suo ulteriore indebolimento inevitabilmente finirà per travolgerci. L’Europa è stata una grande conquista socialista. Non è un caso che uno dei padri di Maastricht militi assieme a noi. L’Unione non è soltanto lo strumento per promuovere e diffondere la pace, la democrazia e l’apertura dei mercati, ma resta l’unica utopia politica ancora capace di promuovere ed influenzare i cambiamenti globali nel nuovo secolo, di diffondere non solo quei principi e valori fondamentali di eguaglianza, tolleranza e progresso, ma può ancora contribuire a ricostituire, anche in democrazie in crisi come la nostra, il veicolo fiduciario fra cittadini e governanti. La nostra capacità politica, parlo delle forze socialiste, riformiste e democratiche, deve essere dunque quella di esercitare un’influenza decisiva per una fiducia rinnovata in un Europa in grando di fondare una nuova ‘missione’ dell’Europa, che non resusciti il Trattato di Lisbona ma che riscriva un nuovo patto, una nuova missione ‘tarata’ sul mondo nuovo che è di fronte a noi. Rafforzare i vincoli e le opportunità che derivano dalla nuova Europa può mettere in crisi coloro che si attendono, come fa Tremonti parafrasando il vecchio Marx, che presto o tardi anche l’Europa, come il capitalismo, cadrà in contraddizione. Cavalcare le ansie e le paure rafforzerà sicuramente i partiti dell’euroscetticismo, incoraggerà politiche protezionistiche e difensive di fronte all’avanzare impetuoso della globalizzazione. Ma questo genere di risposte politiche hanno il respiro corto. Rilanciare una centralità democratica e non burocratica dell’Europa e la sua capacità di governo dei processi di globalizzazione attraverso la restituzione di una responsabilità effettiva al potere politico, sottraendolo dalla morsa del burocratismo e delle sole fredde regole del mercato: questa è la sfida! Una sfida in cui i socialisti si oppongono ai conservatori ed in cui i primi devono avere il “coraggio di fare la differenza”, come recitava lo slogan del Congresso della nostra Internazionale, ovvero il coraggio di far coincidere gli interessi generali dei più deboli con un maggior grado di efficienza e di efficacia delle prestazioni e dei servizi pubblici, della qualità dell’istruzione, della capacità di investimento sulla ricerca tecnologica, sulla qualità e sulla sicurezza del lavoro, sulla capacità di continuare ad esprimere un alto tasso di solidarietà verso gli esclusi e i non integrati, verso quel miliardo di ultimi della terra, un miliardo di persone che vivono in condizioni disperate quando il mondo gode di una ricchezza che non ha precedenti nella storia dell’umanità. Ed è proprio questa abbondanza che ha provocato costi sempre maggiori, come tocchiamo quotidianamente con mano attraverso l’aumento del carburante, del cibo e delle materie prime. Mentre noi ricchi temiamo il rischio della stagflazione, cioé di un’inflazione senza crescita, i più poveri non possono permettersi neanche di mangiare. Alla penuria alimentare mondiale si può corrispondere non solo in termini di solidarietà e di aiuto, ma anche nella capacità di incrementare i programmi di sviluppo agricolo nel Continente africano, perché solamente così si potrà frena il sottosviluppo arrestando, altresì, quel flusso immigratorio che non fa ‘dormire la notte’ la destra italiana ed europea. Esso, ci dicono tutti gli esperti, è destinato ad attenuarsi negli anni. Potremmo anche pensare che la nostra tranquillità dipenderà dal numero di soldati che manderemo per le strade e dal numero di impronte che riusciremo a prendere ai bambini per difenderli dallo sfruttamento. Ma senza una visione di insieme dei problemi globali, di una seria e responsabile presa d’atto dei problemi che ci riguardano e che sono legati in un rapporto di interdipendenza planetaria, non faremo una politica né seria, né efficace. Cambiamenti climatici e nuove responsabilità verso l’ambiente: non si eluda il carattere d’urgenza che va assumendo questa questione: lotta allo sterminio per fame e crescita dei diritti civili e dellle democrazie per scongiurare la trappola dei conflitti a bassa o ad alta intensità. Penso che i socialisti italiani possano impegnarsi tanto su una agenda locale, quanto su una di carattere globale di temi e di problemi sollecitando, con una politica di campagne coraggiose, un confronto con l’opinione pubblica italiana superando così lo ‘shock’, per alcuni, l’imbarazzo, per altri, di non essere una forza parlamentare sapendo tuttavia essere una forza politica che ha moltissimo da dire, da fare, da proporre e da riflettere. Per questo non mi appassionano le discussioni sulle politiche delle alleanze, se stare alla destra o alla sinistra del Partito democratico, se essere più laici o più riformisti: sono convinto che la nostra presenza sul terreno della politica si misurerà con la nostra capacità di affrontare con coraggio le sfide che abbiamo di fronte, tornando ad avere la forza politica e culturale di chi sa che ha saputo fare la differenza e che continuerà a farla. Al Partito Democratico e ai suoi leader, quando si toglieranno quello ‘scolapasta’ dalla testa che li fa tanto assomigliare al Napoleone di Waterloo, va sollecitato un confronto serio anche sugli errori più recenti, sull’incapacità di assumere una posizione politica compatibile con le aspirazioni di una sinistra moderna e in grado di affrontare le sfide del cambiamento, una riflessione capace di andare ben oltre la necessità di farsi dare la ‘linea della domenica’ che li condurrà ad un ennesima sconfitta. Che dica definitivamente una parola onesta e chiara sul tumore che hanno voluto allevare, nella sinistra italiana, rappresentato dal Partito dei valori e dal suo leader, Antonio Di Pietro: un ‘cancro populista’ che non è né di destra, né di sinistra, ma una malattia dalla quale si deve guarire e si può guarire cominciando a dichiarare che non si è più disponibili a contrarre alleanze, locali o generali, con l’Idv. Deve dunque finire l’ambiguità politica di chi ritiene di poter stare coi piedi in tante ‘staffe’, di essere talmente presuntuoso da non capire che all’arretramento in Sicilia e nel nord Italia non potrà che seguire un’altra clamorosa sconfitta, che il ‘pelo lisciato’ prima a Berlusconi e poi al giustizialismo li ha fatti entrare in una situazione convulsiva lacerante, propedeutica ad altre divisioni e ad altre sconfitte. Sta a loro l’onere della prova e della scelta: la fuoriuscita dalla solitudine non può tradursi in una riproposizione sic et simpliciter della larga coalizione dell’Unione. Tuttavia, la ‘centralità strategica’ del Partito Democratico si ridurrà poco a poco se esso non sarà capace di dotarsi di un vero e serio baricentro politico fondato su scelte autenticamente riformiste, senza rincorrere o ‘scopiazzare’ la destra sul suo terreno, perché altrimenti il Pd è destinato, in quanto progetto politico, a fallire miseramente, poiché ha rinchiuso nella vuota formula della “vocazione maggioritaria” una caotica sommatoria di sigle prive di un indirizzo comune, senza un progetto politico credibile per il Paese, aggrappato all’illusione schematica che vorrebbe il Partito democratico illuminare la scena della sinistra europea e mondiale egemonizzando tutta l’area laica e socialista e non viceversa. Tornando a noi, io considero comunque un risultato importante essere arrivati a questo appuntamento: erano ben altre le basi e i presupposti della Costituente socialista. Questo cambio di fase politica ci sospinge verso un diverso atteggiamento ed una riflessione che deve tenere conto dei mutamenti in atto. Non ci sono tesi politiche diametralmente contrapposte fra noi. E penso che il Congresso e i compagni meritino che dalla nostra discussione si faccia una sintesi. Chi ha orecchie più sensibili potrebbe non aver resistito alle sirene che risuonano sempre più forti all’indirizzo dei socialisti, a sinistra come a destra. Mi colpì molto, ad esempio, una frase che Berlusconi pronunciò qualche anno fa affermando orgogliosamente: “I riformisti veri stanno con noi”. Egli completò il suo ragionamento dicendo che “quand’ero fuori dalla politica chiesi a Craxi cosa fosse il riformismo ed egli mi rispose che era la capacità di migliorare la vita di tutti con gradualità, senza andare contro le proprie radici e contraddire le proprie origini”. Ecco: io mi permetto di osservare, con buona pace di chi pensa il contrario, che chi ha abbandonato il terreno della ricostruzione socialista abbia contraddetto le proprie origini ed abbia scelto di recidere il legame con le proprie radici, rinunciando alla ricostruzione socialista ed accettando, in buona sostanza, la sconfitta. Penso che tanti compagni vadano sollecitati al confronto, perché non pensino che sia sufficiente scaricarsi la coscienza una volta ogni tanto presentandosi alle assemblee sindacali col garofano all’occhiello dopo una giornata passata assieme al proprio compagno di partiti come La Russa o al Ministro Calderoli. Ai socialisti riformisti va lanciato un invito al dialogo ed una sfida, al tempo stesso, affinché ricostruiscano, attraverso un patto politico, un terreno di incontro e di riflessione che parta dai medesimi presupposti senza pretese di superiorità, perché dalla riflessione riformista può scaturire una discussione più feconda per l’avvenire, che si prepara pieno di incognite politiche. Io penso che le radici comuni e antiche e i frutti che potrebbero dare ancora oggi, se veramente vogliamo guardare al futuro traendo dalla storia recente un bilancio rigoroso, sono infinitamente più fecondi e più importanti di qualunque separata tradizione, di qualunque permanente settarismo, di qualunque organizzazione o personalità politica che si richiami ad una comune storia. Non si tratta di estinguere dei partiti, tantomeno le loro storie e le loro gloriose tradizioni, poché penso che il passato possa continuare a vivere senza necessariamente ostruire il presente, impedire il nuovo o negare il cambiamento e i mutamenti. Penso che, per noi, valga un di più di attaccamento alla nostra storia, alle nostre radici, ai nostri simboli, perché troppe volte e per troppi anni ci hanno dati per morti, soppressi, inutili.Eppure, altrettante volte abbiamo saputo risalire la china e cambiare rotta a un destino che sembrava segnato. Nella scelta del cambiamento esiste la necessità di non smarrire la propria identità, di non perdere l’album di famiglia, i suoi protagonisti, le loro storie, le nostre storie e i loro simboli che sono poi i nostri simboli, i quali, ancora oggi, sono riconosciuti da milioni di italiani. Ho apprezzato il contributo politico, interno ed internazionale, di Pia e lo slancio entusiasta di Angelo: penso che tutti quanti noi ne faremo tesoro. Dobbiamo, tutti quanti noi, essere riconoscenti anche a chi ha guidato in occasione di elezioni anticipate il partito, a chi si è assunto la responsabilità di una sconfitta che sta in capo a tutti noi. Sapevamo che andavamo dinnanzi ad un esito già definito. Ma questo non mi ha fatto recedere di un millimetro dalle mie convinzioni politiche radicate, dal mio attaccamento politico alle radici ed alla storia socialista. Spetta a Riccardo il compito e la futura responsabilità: si sprecheranno, immagino, le metafore ciclistiche, poiché la strada è indubbiamente in salita. Ma ciascuno di noi, proprio come nel ciclismo, metterà gambe e testa per affrontare con spirito di solidarietà le prove più faticose. A lui, in conclusione, voglio dedicare le frasi che pronunciò qualche anno fa un nostro compagno che egli incontrò qualche mese prima della sua scomparsa, quando invocava un rinnovamento vero e convincente del partito ed un ricambio effettivo nonché “l’assunzione di responsabilità da parte di nuove generazioni di dirigenti”. “Il problema dei socialisti”, diceva, “non è quello di evitare una sconfitta che c’è gia stata, ma quello di non scomparire dalla scena politica. E si scompare rinunciando ad una lotta, si scompare anche scegliendo la via della viltà ed un avvenire da subalterni. Penso che il partito debba preservare la sua identità socialista e riformista e ricercare le alleanze possibili su ogni terreno accettabile che non può essere quello di destra, per vincere una sfida di sopravvivenza e riprendere il cammino per il futuro. Tante cose che, purtroppo, ci circondano, sento fanno parte, invece, di quella sorta di “cupio dissolvi” che è un male dei deboli e dei confusi, ma che, mi auguro, i più giovani terranno lontano da loro e dal quale, chi ha dedicato la loro vita a questa comune esperienza socialista, mi auguro siano immuni”. Ecco: io penso che il Congresso socialista di Montecatini abbia già allontanato questa tentazione: siamo pronti ancora a batterci per il nostro avvenire e quello dell’Italia.(laici.it)
(discorso tratto dal 1° Congresso nazionale del Partito socialista di Montecatini Terme)