Occorre una diagnosi condivisa della situazione per rilanciare la crescita economica del Paese
Alla fine il tanto atteso duello non c’è stato. Gli addetti ai lavori si aspettavano che ieri mattina all’annuale assemblea dell’Abi ci fosse uno scontro all’arma bianca tra il ministro Tremonti e il governatore della Banca d’Italia Draghi. Ma sono rimasti delusi. Certo, un Tremonti sempre ricco di verve non ha rinunciato alle battute (“meglio tassare le banche che gli operai”) né a tirar fuori qualche coniglio dal cappello (dopo la Robin Tax, ora si ispira alla “economia sociale di mercato”), ma il suo non è stato il linguaggio provocatorio con cui nel 2003 duellò, sempre davanti ai banchieri italiani, con Antonio Fazio. Il british Draghi, poi, ci ha messo del suo per stemperare i toni, tanto che non sono mancati i sorrisi tra i due “contendenti”. Tuttavia, dietro l’ineccepibilità delle forme, nella sostanza le divergenze restano, eccome. Draghi, infatti, non ha spostato di una virgola il suo pensiero, in primo luogo sulla Robin Tax. I suoi effetti, ha detto, potrebbero essere spalmati dalle banche “sulle condizioni offerte a depositanti e prenditori di credito, sui profitti distribuiti o sulle risorse accantonate al patrimonio”. Traduzione: a rimetterci saranno o i clienti (milioni) o gli azionisti (centinaia di migliaia).
Niente di nuovo nemmeno sulla “vexata quaestio” dei rincari delle materie prime. Draghi, come Tremonti, non ha minimizzato la pericolosità dell”attuale situazione, ma ha ribadito la sua diagnosi opposta a quella del ministro: gli alti prezzi poggiano su fattori reali – eccesso della domanda sull’offerta – ai quali le banche centrali stanno reagendo con una stretta creditizia, evitando gli errori fatti durante lo choc petrolifero degli anni “70. Mai una volta, nel suo intervento, Draghi ha citato la parola “speculazione”, il tormentone su cui Tremonti ha puntato tutto nelle ultime settimane, fino a presentare all’Ecofin di Bruxelles un progetto europeo. Dove peraltro “la reazione dei tecnocrati è stata fredda”. Insomma, l’intemerata tremontiana sugli articoli 81 e 82 del Trattato di Maastricht (che vietano gli accordi di cartello, le intese e gli abusi di posizione dominante) è stata accolta un po’ freddamente. “Bella idea”, ha detto Almunia, salvo poi ribadire che il problema del petrolio sta semmai nello squilibrio tra domanda e offerta.
Insomma, sotto i sorrisi d’ordinanza nulla accomuna Via Venti Settembre e Palazzo Koch. Nemmeno sul ruolo della vigilanza bancaria. Anche ieri Draghi ha invitato infatti le banche ad applicare le norme sulla portabilità dei mutui e le ha sollecitate sulla questione delle commissioni di massimo scoperto. Tremonti, invece, continua a considerarla “cosa sua”, fino ad arrivare a proporre un “poliziotto dello sportello”, come quello di quartiere, per tutelare i correntisti. Dunque niente duello, ma profonde divergenze sulle diagnosi e soprattutto sulle cure tra i due contendenti. Detto ciò, e chiuso – speriamo per sempre – l’argomento delle divergenze tra Governatore e Ministro, sarebbe il caso di pensare a cose più serie. Ciò che serve – disperatamente – è infatti una diagnosi condivisa della situazione, per poi arrivare a una “road map” sul problema fondamentale, ovvero come rilanciare la crescita economica del Paese. La situazione, infatti, è drammatica: la spesa degli italiani addirittura negativa in termini reali (prima volta dal 2002), l’inflazione alle stelle, salari e stipendi che non reggono alla prova del potere d’acquisto e che finiscono in coda a qualunque classifica. Sono le caratteristiche di un quadro desolante, e stavolta veramente emergenziale, che non trova adeguata risposta nella maxi manovra triennale presentata dallo stesso Tremonti. Una manovra che non taglia abbastanza le spese, non abbassa le tasse, e soprattutto non prevede meccanismi di stimolo alla crescita. Di fronte a questo quadro, le scaramucce, vere o presunte, tra Bankitalia e Tesoro andrebbero messe velocemente da parte, per passare ad atti concreti. Basta con il gossip, insomma, e torniamo alla realtà. Che non è né bella né facile. (Terza Repubblica)