di Filippo Giovannetti
Censis: sempre più giovani emigrano all’estero in cerca di un lavoro e di uno sbocco professionale.
Riorganizzarsi anche all’estero. 38.690 studenti italiani si sono iscritti in facoltà universitarie straniere, in prevalenza tedesche (il 19,9%), austriache (16,1%), inglesi (13,7%), svizzere (11,6%), francesi (10,4%) e statunitensi (8,8%); e sono stati più di 11 mila e 700 (vale a dire il 3,9% del totale) i laureati che ad un anno dal conseguimento del diploma hanno trovato lavoro all’estero; il numero delle imprese estere partecipate da aziende italiane è arrivato a quota 17.200, per un volume di addetti pari a oltre 1milione 120 mila lavoratori.
Sono stati circa 13.368 gli italiani ad elevata qualificazione che si sono spostati, temporaneamente, dall’Italia agli Stati Uniti: di questi, 6.179 (+51,6% tra 1998 e 2006) sono lavoratori altamente specializzati, 5.692 (+51,7%) sono quadri o dirigenti di imprese internazionali, e infine 1.497 (+166,8%) sono in possesso del visto O1, concesso esclusivamente a lavoratori con “straordinarie capacità o risultati”. (Rapporto Censis 2007)
Questo è uno stralcio dell’ultimo rapporto Censis sui processi formativi ed il lavoro in Italia, e purtroppo le notizie non sono buone. Sempre più ragazzi italiani, soprattutto laureati scelgono l’estero per cercare lavoro e fortuna all’estero.
La fotografia del fenomeno l’ha fatta il Censis, usando dati sia i dati dell’Istat che di altri centri di ricerca e istituzioni, tra cui l’Immigration and Naturalization Service degli Stati Uniti.
Il quadro che ne esce è ambivalente. Può esser letto in maniera positiva perché indica la presenza in particolare tra i giovani di energie fresche, in grado di guardare oltre il proprio orizzonte domestico e immaginare qualcosa di nuovo. Demoralizzante, perché resta sempre il dubbio che almeno una parte di questi emigranti, in condizioni diverse, sarebbe rimasta volentieri in Italia per contribuire alla crescita economica e civile del Paese.
Una novità di questo studio è che oltre i giovani laureati e super specializzati, ormai ci sono molti ragazzi che scelgono di giocarsi le proprie chance professionali all’estero anche senza avere un curriculum particolarmente brillante, insomma, vanno a fare all’estero quella carriera professionale che magari potrebbero fare anche in Italia, ma con qualche difficoltà in più e qualche soddisfazione in meno.
La molla che spinge sicuramente i giovani a “fuggire” all’estero è la modalità di accesso al mondo del lavoro. Sicuramente molto più snella e limpida, senza bisogno di particolari raccomandazioni come purtroppo è la regola in Italia, e molto più frequente oltre confine l’accesso tramite stage o tirocinio in azienda Sempre considerando i laureati da tre anni, l’invio del curriculum è la modalità principale in entrambi i casi, ma all’estero capita abbastanza frequentemente di centrare l’obiettivo attraverso le inserzioni sui giornali o su Internet (22,4 per cento contro il 9 in Italia). Quanto alla carriera, tra i lavoratori dipendenti quelli che a tre anni dalla laurea hanno una posizione di quadro o funzionario sono il 32,1 per cento all’estero e il 17,1 in Italia, mentre l’accesso “precoce” alla dirigenza è equivalente nei due casi (intorno al 2 per cento). (Fonte: Il messaggero)
Il dato che emerge di più è ovviamente la disparità di trattamento economico a parità di titolo scolastico. In Italia i giovani lavoratori sotto i 1.000 euro sono circa il 24% contro il misero 10% di quelli all’estero, e se consideriamo la fascia alta degli stipendi vediamo come all’estero circa il 43% dei giovani guadagni sopra i 1.700 euro mensili, contro un indegno 9% per i giovani italiani.
La situazione purtroppo per il nostro Paese non è rosea, vivendo ogni giorno la mia situazione di dottorando di ricerca senza borsa (vuol dire lavorare gratis per un qualsiasi ente o azienda) la trovo sempre più frustante, e la tentazione di emigrare all’estero è sempre più forte. Ovviamente tutto questo non facilita la crescita dell’impresa Italia, si sa che ogni paese per crescere ha bisogno di innovazione, ricerca, idee nuove e forze fresche che le applichino; ormai il nostro è un sistema malato, del quale ci dobbiamo liberare se vogliamo ridare speranze e prospettive alle generazioni che formiamo.
I nostri “amati” politici invece di perder tempo sulle intercettazioni hot, o il modo per bloccare i processi, dovrebbero garantire opportunità di crescita e lavoro ai giovani, perché sono loro il futuro di questo nostro Paese.(www.agoramagazine.it)