di Teresa Isenburg Commissione globalizzazione e ambiente della Federazione Chiese Evangeliche in Italia (FCEI)
Proponiamo in anteprima l'articolo che verrà pubblicato sul prossimo numero del settimanale delle chiese battiste, metodiste e valdesi “Riforma”. L'autrice è membro della Commissione globalizzazione e ambiente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI).
A Roma dal 3 al 5 giugno 2008 si è tenuta la Conferenza sulla sicurezza alimentare mondiale: le sfide del cambiamento climatico e della bioenergia, mentre in parallelo (e non in contrapposizione) dal 1° al 4 giugno ha avuto luogo “Terra preta”: forum su crisi alimentare, cambiamento climatico, agrocarburanti e sovranità alimentare. Alla prima, conclusasi con una Dichiarazione, erano presenti capi di stato e di governo di 180 stati, al secondo, terminato con una Piattaforma per un'azione collettiva, esponenti di
800 movimenti sociali e forme organizzate del mondo contadino.
Nell'ultimo anno le rivolte del pane, del riso, della tortilla in oltre 30 paesi spaventano non poco l'establishment, hanno spinto già 28 governi a porre restrizioni alle esportazioni alimentari e impongono di riflettere su quanto è stato fatto nell'ultimo quarto di secolo. È difficile infatti non vedere una correlazione fra le scelte di liberalizzazione commerciale e finanziaria e il tracollo della piccola agricoltura per i mercati locali sottoposta al venire meno di investimenti e sostegno tecnico e alla concorrenza delle derrate importate a bassi prezzi grazie a sovvenzioni (circa $ 380 miliardi all'anno nei paesi ricchi). In Africa occidentale, ad esempio, il Mali e il Senegal importano l'80% del riso, in particolare da Thailandia e Vietnam; il Messico dal 1994, dopo l'entrata in vigore dell'accordo commerciale del Nord America (Nafta) è diventato importatore; Haiti importa il 100% del frumento e il 75% del riso e gli esempi si possono facilmente moltiplicare. In realtà nelle quali fra il 70 e il 90% (in Europa ci si aggira fra il 15 e il 20%) dei redditi famigliari sono assorbiti dal cibo (e questa situazione riguarda 2,2 miliardi di persone) qualunque aumento fa precipitare le situazioni. E come è noto nel giro di un anno i prezzi internazionali sono cresciuti del 130% per il frumento, del 74% per il riso e del 31% per il mais e, attraverso la dipendenza dalle importazioni, gli aumenti si sono abbattuti come una mannaia su uomini, donne e bambini poveri.
Da anni la FAO denuncia la inadeguatezza delle riserve, ma, come ha detto il segretario generale della FAO Jacques Diouf, non vi è stato ascolto fino a quando “gli esclusi dal banchetto dei ricchi non sono scesi in strada”. Anche le organizzazioni contadine avvertono da tempo delle nubi che si sono andate accumulando: lo scardinamento del plurisecolare modo di vita contadino ha trasformato milioni di uomini e donne legati alla terra in braccianti o salariati indebitati sbalzati dal loro mondo di riferimento: in meno di un decennio nei villaggi indiani i suicidi di contadini hanno superato la soglia di 150.000, con una protesta silenziosa e disperata; altrove un infinito corteo di persone a cui è stata depredata la speranza si muovono per sprofondare negli slums urbani, mentre è riconosciuto che le forme più assolute di miseria sono nelle aree contadine tradizionali abbandonate dalle autorità.
Sui motivi dell'impennata dei prezzi alimentari sembra ormai esserci una discreta convergenza di opinioni: una certa crescita della domanda per miglioramento economico (Cina, India) e insufficienza del rifornimento locale, insieme a perdite per avversità climatiche giocano, ma per una parte limitata. Forte invece è l'effetto speculativo: dopo la crisi dei mutui immobiliari statunitensi molti capitali si sono spostati, puntando in particolare sui futures drogati dalle prospettive degli agrocombustibili, sulla borsa valori dei prodotti (commodity) di Chicago dove vengono fissati quasi tutti i prezzi alimentari: secondo la Banca Mondiale la speculazione è responsabile del 37% degli aumenti. La produzione di etanolo negli Usa è un secondo fattore: nel 2007 1/3 (138 milioni di t) del raccolto annuo di mais è stato distillato: secondo dirigenti del Fondo Monetario ciò ha determinato il 40% degli incrementi delle derrate. La curva verticale del petrolio incide molto, sia per gli additivi chimici lungo la filiera sia per i trasporti. Concorde è anche la constatazione del declino delle agricolture famigliari, non più seguite dalla grande maggioranza dei governi in ottemperanza degli orientamenti economici prevalenti.
Quali le linee che emergono dai documenti prodotti negli incontri romani? Due parole sintetizzano le differenze: la FAO parla di sicurezza alimentare, il mondo contadino organizzato di sovranità. La FAO vede interventi a breve termine con aiuti e la revisione, sul medio/lungo periodo, delle politiche di sostegno a piccoli produttori, anche se subito dopo auspica una poco conciliabile rapida conclusione dell'agenda di Doha del WTO per la liberalizzazione; ricorda poi l'importanza della biodiversità (cosa positiva, verrebbe da dire, dato che almeno l'amaranto e la quinoa non sono quotati alla borsa di Chicago…), la necessità di contemperare i biocarburanti con la sicurezza alimentare e il risparmio energetico con l'ampliamento dei commerci: un documento, è evidente, frutto di molte mediazioni, non sottoscritto da tutti i paesi, ma da non disprezzare: in un mondo così violentemente bruciato dalle guerre, ogni segno di confronto multilaterale va coltivato come una pianta preziosa. Nel testo del versante contadino l'accento è posto sull'agricoltura famigliare per il mercato interno, con alcuni punti interessanti e operativi, come inserire anche quel settore nelle trattative per Kyoto dopo il 2012 (30% delle emissioni di CO2 proviene dall'agro-zootecnico); naturalmente molto critiche sono le posizioni sulla liberalizzazione e finanziarizzazione del settore agricolo commerciale e sui rischi dell'energia vegetale. Entrambi
evitano il tema delle sementi transgeniche e anche questa è una buona notizia assieme al fatto che dopo decenni si ritorna a parlare di agricoltura materiale che produce cibo e non solo di quella virtuale dei listini di borsa.
Che fare? A noi (io, tu, noi) che siamo in questa pasciuta parte del pianeta, oltre all'aiuto verso chi soffre, spetta di vegliare su quello che fa il nostro paese in materia di politica agricola, soprattutto nelle sedi internazionali (UE, contributi agli organismi internazionali, investimenti esteri) perché sono scelte che hanno conseguenze nel bene o nel male.