La sinistra da dimenticare

di Claudio Fava (SD/PSE)

Claudio Fava è il nuovo coordinatore di “Sinistra democratica”. Il movimento politico fondato da Fabio Mussi e Cesare Salvi ha appena compiuto un anno di vita incassando una disfatta. Fava, europarlamentare nel Gruppo socialista, propone le sue ricette per ricostruire una sinistra molto, molto malmessa dopo dal voto del 13 e del 14 aprile scorsi: “Sono nella famiglia del socialismo europeo e lo ritengo un asse portante”, puntualizza Fava, “ma credo che adesso la priorità ora è uscire dalle stanze, dai riti, dalla dimensione cupa e soffocante che la sinistra ha proposto sinora”. Porta chiusa alla costituente comunista: “Da loro ci dividono le formule, le categorie, il merito dell'azione politica”. Con il Pd va trovato “un terreno di contenuto sul quale lavorare insieme”. Occorre però capire che quella socialista è “l'esperienza di una cultura politica della quale questo Paese non può fare a meno”.

di Andrea Scarchilli

– A poco più di un anno dalla nascita di Sinistra democratica, qual è il giudizio del nuovo coordinatore del percorso fatto finora dal movimento?

Se il bilancio dovesse essere affidato solo al risultato elettorale della Sinistra arcobaleno sarebbe un bilancio assai malinconico. Credo invece che vada preservato lo spirito con cui sono nate la sfida e la proposta di Sd, che tra le anime delle sinistra è quella che sin dal primo giorno ha cercato di lavorare con più determinazione e verità a una Costituente di sinistra e promuovere l'idea di sinistra in questo paese. Credo che alla fine abbia subito la vischiosità di una fase politica, la sinistra ha fatto registrare su questo progetto molte resistenze, egoismi e individualismi e soprattutto un'idea vecchia e autoreferenziale che ha prodotto di sé, non solo in campagna elettorale ma anche nei mesi che l'hanno preceduta. Per cui, partendo dal presupposto che sono fortemente affezionato all'idea promotrice di Sinistra democratica, dico che questa idea ora va declinata in un modo diverso e anche con compagni di strada diversi rispetto a quelli che si sono trovati nel progetto dell'Arcobaleno.

Ha qualche appunto da fare alla dirigenza precedente alla sua? C'è qualcosa che si sarebbe o non si sarebbe dovuto fare?

Da parte nostra l'errore di fondo è stato quello di ritenere, forse anche in buona fede, che si potesse riunire tutto quello che c'era a sinistra e che questa unità della sinistra, a prescindere da sensibilità, linguaggi e forse obiettivi diversi, rappresentasse un valore in sé. Così non è stato e Sinistra arcobaleno è stata percepita come un cartello elettorale perché era solo un cartello elettorale, una somma di apparati che hanno gestito questa fase con grande diffidenza. Abbiamo perso l'abbrivio iniziale, la spinta forte che ci aveva dato il paese quando questo processo si è messo in moto. Quei segnali che avremmo potuto cogliere li abbiamo accampati, e non sempre sulla base di ragionamenti nobili. Andavano fatti, per esempio, gruppi comuni alla Camera e al Senato. Ci voleva un imprinting democratico per un nuovo gruppo dirigente che rappresentasse non solo l'idea di una sinistra che si metteva insieme ma decideva anche di guardarsi dentro, rivedere le forme di partecipazione e i linguaggi. Invece l'ultimo anno è andato via affidato a riti e liturgie burocratiche che non hanno prodotto un solo voto in più bensì molti in meno. Mettiamo da parte, quindi, le ragioni esterne che hanno contribuito a farci precipitare al tre per cento – come il voto utile e la copertura informativa sfacciatamente omertosa nei nostri confronti – e ripartiamo dal modo in cui non è stata percepita la novità della nostra scelta, dal modo in cui forse non siamo riusciti a costruire l'offerta di una nuova sinistra e dal modo in cui questo paese è profondamente cambiato senza che a sinistra si registrasse, nelle forme di partecipazione e nei gruppi dirigenti, un cambiamento altrettanto significativo.

Quali sono le sue priorità per il rilancio di Sinistra democratica e di tutta la sinistra?

La sinistra deve continuare a chiedere, a domandare, a guardare con curiosità, attenzione, capacità di stupore un mondo e un tempo che sono profondamente mutati. E' cambiato il senso comune del paese, e in peggio. Dobbiamo confrontarci su questo dato, non per inseguire la destra ma per proporre un nostro modello culturale di interpretazione della realtà che non può più essere affidato alla lotta di classe. E' cambiata la categoria della povertà che è diventata sociale, culturale, esistenziale e riguarda ormai quasi la metà del paese. E' cambiato il modo di sentire la politica da parte del paese reale. Rispetto a questo occorre modificare profondamente forme e contenuto della nostra proposta.

Come?

Dobbiamo iniziare da alcuni punti di verità. Innanzitutto dal fatto che questa nuova idea di sinistra deve partire anche da ciò non sta dentro ai partiti, che non partecipa ai congressi, non è soggettività politica tradizionale. Penso a una sinistra diffusa che questo paese ha conosciuto, come gli autoconvocati di piazza San Giovanni, i centomila di Bari, i tre milioni dell'articolo diciotto a Roma. Si tratta di realtà che non devono essere semplicemente cooptate. Si deve proporre loro un terreno di condivisione e pari dignità politica. Dobbiamo fare lo sforzo di andare oltre, uscire dai luoghi, dai riti, dalle stanze, dalla dimensione molto cupa e soffocante che fino adesso ha proposto la sinistra. Bisogna essere chiari, poi, sul concetto di unità. Stiamo insieme, uniti, ma con chi crede che sia indispensabile questa navigazione in mare aperto. A chi vuol fare la Costituente comunista va il nostro massimo rispetto ma da loro ci dividono le formule, le categorie, il merito dell'azione politica. Infine vogliamo batterci per superare questa idea assai egoistica dell'autosufficienza: non è autosufficiente il progetto del Pd di rappresentare tutto ciò che sta fuori dalla cultura e dall'egemonia berlusconiane. Non è autosufficiente, tuttavia, neanche la sinistra. Bisogna costruire un centrosinistra che archivi definitivamente l'esperienza dell'Unione e si basi sul merito di un'idea di paese che condividiamo, al quale ciascuno dia un contributo di assoluta autonomia, senza logiche annessionistiche. In questo credo che un nuovo soggetto della sinistra abbia spazio, responsabilità e debba stabilire con il Partito democratico un ragionamento che non è legato alle cortesie della politica bensì alle reciproche autonomie”.
Si discute molto, in questi giorni, della forma che dovrà assumere il nuovo soggetto. Federazione, partito unico. Qual è la struttura che ha in mente?
La federazione non mi convince, è ciò che è stato già fatto e bocciato dagli elettori. Produrrebbe accordi elettorali sotto forma di cartelli che si ritrovano alla vigilia del voto e si perdono il giorno successivo. Mi sembra che il paese abbia già dato, attraverso quel tre per cento, un voto netto alla logica delle federazioni. Penso che il partito unico è un'espressione piuttosto pesante, ho in mente piuttosto una costruzione che non recuperi le vecchie abitudini e liturgie del partito. Abbiamo bisogno, piuttosto, di qualcosa che abbia semplicità, fluidità, capacità di inclusione, apertura. Le forme che assumerà questo soggetto le discuteremo insieme ma è indispensabile che parta non soltanto da noi ma direi, piuttosto, dalla nostra insufficienza. Questo per cercare di raccogliere pezzi della società politica che ci sono e hanno bisogno di trovare forme di partecipazione e di protagonismo. Penso all'assemblea di Firenze, alle molte case comuni della sinistra. La forma mi pare l'ultimo dei problemi. Il problema è il patto associativo che tiene insieme questo soggetto e va cercato nelle cose che ho detto, attraverso uno sforzo di verità. Mettersi in discussione assieme ai linguaggi, alle categorie interpretative, alle forme dello stare insieme. La stessa interpretazione che abbiamo dato di questo paese è un po' datata.

Sarà una sinistra di governo o, come adombra qualcuno, un bagno rigeneratrice nell'impostazione di opposizione?

Non farei una distinzione fra governo e opposizione come se si trattasse di categorie inconciliabili. Credo che esista in primis un sinistra e abbia il compito di trasformare il Paese: questo lo fai da i luoghi che il Paese ti ha dato. Se ci fossero le condizioni di assumere responsabilità di governo rifiutarle non sarebbe una posizione politica, ma una fuga, una scelta di piccolo egoismo. Supererei questa distinzione, purché la ragione che hai ti permetta di rappresentare le posizioni con assoluta coerenza, non importa da quale ruolo, che sia l'opposizione o il governo. In questo senso credo, penso che questo Paese abbia bisogno di un'opposizione forte, assai più forte che sta facendo intendere il Pd. Sono molto preoccupato di questa apertura generica al Popolo della libertà sul tema delle riforme istituzionali. Mi sembra più utile stabilire in anticipo quali sono le riforme all'ordine del giorno del centrodestra, forse alcune delle loro priorità non sono quelle dell'opposizione. Mi spaventa anche questo giudizio assai semplificatorio sul discorso dell'investitura di Berlusconi, come se tutto potesse essere ricondotto alla correttezza dei toni. Prendiamo atto che i modi di Berlusconi sono molto più cortesi (lo erano molto meno quando lei si trovava all'opposizione e doveva legittimare un governo regolarmente eletto), ma a me interessa giudicare il governo Berlusconi non dalla cortesia delle parole spese alla Camera. Piuttosto sono importanti i fatti politici che questo esecutivo sta mettendo in campo: il ritorno al nucleare, il ponte sullo stretto di Messina, la costruzione di nuovi Cpt, la reclusione senza verifica giudiziaria per gli immigrati clandestini. Rispetto alle scelte normative il paese sta assumendo un profilo rispetto al quale l'opposizione dovrebbe spendere qualche parola. Ma questo “volemose bene” che sta prendendo piede in Parlamento non tiene conto di ciò che questo governo ha già cominciato a fare contro il Paese.
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Ha escluso coloro che fanno riferimento al progetto della Costituente comunista. E' disponibile a tentare un approccio con il Partito socialista in fase precongressuale?

Credo che questo processo unitario debba raccogliere le idee di fondo che hanno rappresentato e possono ancora rappresentare per la sinistra in Italia. Abbiamo bisogno tuttavia di recuperare il senso di quelle idee e rivolgerci a quei mondi, molto meno ai ceti politici che le hanno portate avanti fino a questo momento. Se dovessimo pensare di ridurre tutto ad un incontro di dirigenti delle varie parti politiche, senza capire che l'esperienza socialista è l'esperienza di una cultura politica della quale questo Paese non può fare a meno, faremo un pessimo servizio alla causa della sinistra. Sono nella famiglia del socialismo europeo e lo ritengo un asse portante ma credo che dobbiamo provare a cambiare l'approccio, tentare di sganciare le varie culture politiche dal concetto di ceto politico e cominciare a vederle per ciò che sono. Ci vuole uno sguardo diverso sulla qualità del progetto politico che può essere contrapposto a quello di Berlusconi e all'ansia di moderazione che emerge dal Pd.

Con Veltroni ha già abbozzato un dialogo. Che atteggiamento terrà nei suoi confronti?

Ci vedremo la settimana prossima e gli dirò le cose che ho già avuto modo di dire in questi giorni: la presunta autosufficienza del Pd mi sembra un alibi per non affrontare i nodi politici di questo Paese, riconducibili al fatto che la destra ha costruito una cultura egemone e noi siamo opposizione. Cercherò di capire se esiste un terreno di contenuto sul quale si possa lavorare insieme, ciascuno nel rispetto assoluto della propria autonomia, e sottolineo il concetto di autonomia altrimenti viene meno il senso di questo ragionamento. Dobbiamo costruire un centrosinistra che sia l'opposto di ciò che era l'Unione, un cartello elettorale dentro il quale si stava con fortissime riserve mentali e con una logica di opportunismo. La conferma è che qualcuno è rimasto a bordo fino a quando gli era utile, poi sappiamo come è andata a finire. Penso a un centrosinistra che sappia esprimere la sensibilità politica di almeno la metà di questo Paese e che dentro abbia, accanto ad un imprinting di tipo moderato come quello del Pd, una forte vocazione di sinistra che è quella che vorremo costruire in queste stagioni. Su questo si può stabilire la qualità di un dialogo, però alcuni punti devono essere chiari per tutti. Conviene anche al Pd altrimenti da quel 33% che gli fa rappresentare solo un terzo dell'elettorato non si schioda. – (Aprileonline/ADL)

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