di Daniela Gaudenzi
Mentre a Cannes si delinea il volto della Camorra e della Mafia e delle loro interconnessioni, per usare un eufemismo, con la politica attraverso i film di Garrone e di Sorrentino, il primo tratto da “Gomorra” di Roberto Saviano, impossibilitato a sfilare per motivi di sicurezza, il secondo un affresco della prima Repubblica attraverso il ritratto del suo “Divo” Giulio Andreotti, in Italia chi si ostina a parlare documentatamene di Mafia e politica è semplicemente interdetto.
E non mi riferisco solo a Marco Travaglio, marchiato come interessato fomentatore di risentimento e qualunquismo non solo dalla casta politica ma anche, ed è indice di particolare gravità come ha sottolineato con preoccupazione dalle pagine della Stampa Barbara Spinelli, da buona parte della cosiddetta informazione, per aver solo ricapitolato il curriculum vitae del presidente del Senato.
Lo scorso 10 maggio il divo Giulio ha declinato l’invito a ricevere il premio San Giuseppe da Copertino 2007 che gli doveva essere consegnato ad Osimo e che prevedeva tra l’altro la sua partecipazione alla festa di fine anno dell’istituto tecnico commerciale Corridoni Campana. La causa della rinuncia va ricercata nella protesta di un rappresentante dei genitori in consiglio di istituto, il Sig. Celestino Stronati che ha trovato in assoluta solitudine il coraggio civile di esprimere “disappunto per un’iniziativa che rischia di trasformare la festa degli studenti nella festa di un discutibile politico”. Inoltre ha invitato i genitori a far vedere ai ragazzi un’intervista a Giancarlo Caselli e a spiegargli di non subire nella loro festa “l’intrusione di politici e di personaggi che hanno fatto la storia non sempre limpida di questo paese”. Alcune testate nazionali, tra cui il QN ne hanno dato notizia sottolineando ovviamente le reazioni istituzionali improntate a contrarietà ed indignazione. In primis quella del sindaco Dino Latini che ha voluto dissociarsi, a suo dire, nome della città, stigmatizzando l’iniziativa del cittadino controcorrente con una dichiarazione decisamente di parte: “Per colpa di una sola persona tutta la città rischia di apparire antidemocratica ed irrispettosa. Ma quell’unica persona non è la città”.
Se ne può ricavare che un’unica persona informata e consapevole può fare la differenza anche se è un semplice e qualsiasi cittadino ma che deve pagare il prezzo dell’isolamento e degli attacchi da parte della politica e delle istituzioni.
Se poi la persona in grado di fare la differenza è un giornalista indipendente e coraggioso che con la sua presenza fa impennare lo share della trasmissione a cui partecipa raccontando dei fatti, che come ha spiegato puntualmente qualche giorno fa Peter Gomez sul sito www.voglioscendere.it , sono sotto un profilo squisitamente giornalistico anche delle notizie, allora le reazioni sono “adeguate” al caso a al soggetto.
Il sottosegretario con delega alle comunicazioni Paolo Romani e cioè uno dei rappresentanti più significativi del Governo ad personam di Silvio Berlusconi ha già espresso nello spazio ideale di Klaus Davi su You Tube una sorta di sentenza anticipata sul futuro di Marco Travaglio in Rai: “E’ inammissibile come figura inquadrata in un servizio pubblico. Contesto il suo modo di fare informazione. L’intervista a cui attribuiva a Schifani frequentazioni mafiose è stata solo un esempio di come la concepisce…. Non va bene per il servizio pubblico.”
Insieme alla fine della par condicio e al prossimo ritorno di Agostino Saccà (indagato dalla procura di Napoli in concorso con Berlusconi per corruzione per le raccomandate in Rai in cambio del sostegno da parte del premier alle sue future attività private) Paolo Romani ha lanciato anche messaggi “distensivi” a proposito dello slittamento in tarda nottata di PrimoPiano e giudizi pacati su Giovanni Floris e persino su Michele Santoro.
L’esperienza insegna ed il motto “divide et impera” ha dato buoni esiti da parecchi secoli.
Mai più editti bulgari collettivi, anche perché Biagi non c’è più e in Rai non c’è più stato da allora nemmeno Daniele Luttazzi, cacciato anche dalla “liberissima” La 7. Per l’irriducibile Travaglio basta qualcosa di meno rumoroso e più personalizzato.