1907 — NASCE LA CASA DEGLI EMIGRANTI DI MILANO

L’UMANITARIA DI MILANO

Premessa – La Società Umanitaria è un'istituzione nata oltre cento anni fa, nel 1893, grazie al lascito di un mecenate mantovano di nome Prospero Moisé Loria , che le assegnò molteplici beni finanziari, ed un'intera area edilizia situata nel pieno centro di Milano. Lo scopo dell'istituzione, riconosciuta presto come ente morale senza fini di lucro, risiede nel suo statuto, ancora oggi praticamente identico a quello originario del 1893:
“mettere i diseredati, senza distinzione, in condizione di rilevarsi da se medesimi, e di operare per l'elevazione professionale, intellettuale e morale dei lavoratori”.
Uno statuto che allora si imponeva per una differenza sostanziale rispetto a quei tempi: perché l'assistenza ai più deboli, nel pieno rispetto della loro dignità, doveva porsi non come una caritatevole elemosina, bensì spingendoli ad elevarsi da soli ricercando i propri valori intellettuali ed umani, grazie all'impegno individuale posto negli studi, nell'istruzione e nel lavoro. Si trattava dunque di una missione assolutamente laica.
In principio (i primi dieci anni circa), l'Umanitaria rimase come “in letargo”. Prima dovette superare alcuni problemi giuridici con gli eredi del Loira (che impugnarono il testamento), poi l'ente dovette accettare le leggi autoritarie del generale Bava Beccaris che, durante i moti milanesi del 1898 [ f2 ], ne chiuse i battenti, in quanto presunto covo di pericolosi sovversivi, vicina agli agitatori sociali dei primi scioperi operai di fine '800.
Per fortuna, nel 1902, grazie all'appoggio di tutta la città ed a una fitta rete di relazioni, di rapporti e di contatti con il mondo della cultura, dell'imprenditoria e dell'assistenza lombarda, l'Umanitaria cominciò ad occuparsi in concreto della sua missione, “tirandosi su le maniche” per adempiere le finalità del filantropo fondatore, sempre aggiornandole con motivazioni, intenti e impegno più adatti al mutamento dei tempi.
Vennero così realizzate numerose strutture sociali, come le Case del Lavoro, gli Uffici del lavoro coi laboratori d'arti e mestieri divenuti presto famosi in tutta Italia , le scuole “popolari” con i corsi professionali per i settori dell'industria meccanica e tipografica (la ormai celeberrima Scuola del Libro), il Teatro del popolo, e poi corsi di formazione ed aggiornamento per insegnanti e assistenti sociali.Accanto all'ex convento, ai chiostri e al Salone degli Affreschi con il passare degli anni sorsero vaste strutture edilizie che sono diventate un punto di riferimento costante della vita culturale e professionale di Milano e dell'Italia.Uscita indenne attraverso la Grande Guerra e la dittatura fascista (che però ne soppresse il 90 per cento delle attività), e gravemente danneggiata dai bombardamenti del 1943 l'Umanitaria risorse faticosamente grazie all'impegno e alla costanza di Riccardo Bauer , che seppe aggiornare e rilanciare le prerogative statutarie del fondatore, recuperando una lunga tradizione educativa e didattica, che portò a maturazione intere generazioni di lavoratori, non solo a Mialno, ma in tutta Italia, dove sorsero sedi e centri limitrofi: come quelli di Cagliari, Alghero e Carbonia, in Sardegna, uniche superstiti di una rete capillare (anche in Europa), tuttora attive con corsi e attività formative rivolte in particolare al mondo della scuola e al bacino degli anziani.E' proprio al mondo della “terza età” (quello che Bauer intendeva “educazione degli adulti”) che nel 1994 l'Umanitaria vara il progetto Humaniter, costituendo, prima a Milano e poi a Napoli, una vera Fondazione che rappresenta un inedito “Centro di Socialità, Volontariato e Cultura”, ove non solo si offrono molteplici corsi e iniziative di arricchimento culturale, ma all'insegna dei valori della solidarietà si fanno nuove conoscenze, si scambiano esperienze, si condividono interessi e nuove sollecitazioni.Oggi, l'Umanitaria è il fulcro di manifestazioni e programmi che combinando assistenza e cultura, ne fa un centro-pilota, riconosciuto e apprezzato a Milano e in Lombardia, dove continua ad assolvere il suo ruolo di centro educativo e formativo per assecondare e promuovere tutte quelle attività (incontri, mostre, convegni, seminari, conferenze, laboratori per l'infanzia, stagioni concertistiche e borse di studio, pubblicazioni) che servono a favorire l'interesse, la curiosità e soprattutto la “crescita” d'ogni singolo cittadino, e dare a ciascuno i mezzi più moderni e idonei per trovare la sua dimensione, libera e autentica, all'interno della società. All'insegna del dialogo, della convivenza e della solidarietà dei fatti.
1907 – NASCE LA CASA DEGLI EMIGRANTI DI MILANO

Parole pronunciate dal Presidente Avv. G. B. Alessi il 22 dicembre 1907 in occasione dell’inaugurazione della Casa per emigranti
(in ASU, pratica 139/2)

In nome della Società Umanitaria che ho l’onore di presiedere, alla quale, come espressione di fiducia e di solidarietà nel bene, il Comune di Milano volle affidare il funzionamento di questo asilo per emigranti (di che gli siamo infinitamente grati), io vi porgo il saluto del sodalizio ed il ringraziamento per il vostro intervento a questa cerimonia augurale, che non è vana ostentazione, ma è manifestazione di pietosi sentimenti per una classe di proletari emigranti in cerca di pane e lavoro, che il luogo natio non può loro assicurare. Come fu fatta questa Casa per gli emigranti è presto detto. A nessuno di voi è certamente rimasto inavvertito un senso di profonda commiserazione che destano i numerosi gruppi di emigranti appartenenti a più umili strati delle popolazioni in maggioranza rurali, agglomerati confusamente ed in uno stato di abbattimento fisico e morale sotto l’atrio e le tettoie esterne della nostra stazione centrale, sdraiati fra i loro rozzi sacchi e fra i loro attrezzi di lavoro ingombrando talvolta il passaggio dei viaggiatori. A nessuno di voi sarà sfuggito il bisogno di trovare rimedio a tale stato commiserevole e tra questi sentimenti che voi avrete certamente provato non potranno restare muti nell’anima della Società Umanitaria, la quale alla tutela ed all’assistenza degli emigranti aveva già da tre anni istituito il Consorzio per la tutela dell’emigrazione in Europa. Il rimedio quindi si escogitò dall’Umanitaria sotto l’impulso di queste penose impressioni iniziando pratiche colle Ferrovie dello Stato perché le cedessero il piccolo padiglione, costruito sul piazzale della stazione per ufficio alloggi all’epoca dell’Esposizione, a ricovero di codesti miseri viandanti, ma riconosciutosi questo (padiglione, ndr) insufficiente, si pensò a prendere in affitto (trattandosi di temporaneo provvedimento, finché la nuova stazione sarà costruita) parte dell’ Hotel Ideal che doveva essere abbattuto; ma il Municipio cui ci rivolgemmo per avere il consenso, con idee più larghe delle nostre si dichiarò pronto a costruire col concorso dell’Umanitaria un apposito locale offrente tutti i servizi che richiedeva il ricovero temporaneo degli emigranti di passaggio dalla nostra città. E così fu che per provvida munificenza dell’Amm.ne comunale a cui è da tributarsi il maggior merito, e col presidio pure della benemerita della Cassa di Risparmio sorse questa Casa, che voi signori siete invitati oggi ad inaugurare.
L’Umanitaria è orgogliosa di esercitare la sua funzione di tutela e di assistenza agli emigranti durante il loro transito fiancheggiata dal Comune che si assume in se le nobili tradizioni della collettività cittadina. È questo un onore e un appoggio che ci saranno invidiati; ma non tolti, perocché nella nostra azione e nel funzionamento della Casa tutto è preveduto e disciplinato con norme regolamentari rese pubbliche e quindi soggette a pubblico controllo, e nelle quali sta impresso il carattere della pura e sincera assistenza, scevra di ogni fine partigiano e politico.
Certo che noi, nell’esercizio delle nostre funzioni di assistenza, non potremo sconfessare noi stessi abituati a camminare nella via illuminata della ragione, che abbatte i pregiudizi e scopre la verità, ma siamo pur certi che qui mantenendoci in questa libertà di pensiero che informa la nostra coscienza non ci sarà impedito di avere con noi l’appoggio della più evoluta opinione pubblica e l’imparzialità del nostro Comune. Ci piace ricordare in questa occasione che nell’ultimo Congresso, tenutosi in Milano sotto gli auspici dell’Umanitaria nel quale si esaminarono i più importanti problemi riguardanti l’emigrazione, si è riconosciuta la necessità di aiutare l’emigrante lungo i viaggi disagiati. L’Umanitaria avrebbe mancato ai postulati di quel memorabile congresso ed al programma fatto suo, se non avesse rivolto la sua iniziativa alla creazione di questo Asilo.
Al Comune di Milano pertanto degnamente rappresentato in questa civile cerimonia ripeto le più vive grazie e la meritata lode pel suo valido aiuto – ed alla Cassa di Risparmio che ci presidiò nell’opera benefica, la nostra imperitura riconoscenza.

1907. Un servizio di avvocatura per i poveri

E' tutto nero su bianco. Ci sono tabelle, dati e statistiche. Relazioni alle istituzioni pubbliche e petizioni al Parlamento finiti con la stessa formula diplomatica: tanti elogi e poca sostanza (in termini finanziari, si capisce). Era il 1907, e a Milano un gruppo di avvocati lungimiranti costituiva in seno all'Umanitaria un esperimento incredibile per i tempi di Turati e del primo socialismo riformista: in tre soli mesi, con la caparbietà e il pragmatismo di certi anonimi protagonisti di un'altra Italia (quella Italia dedita a tante opere e poche parole), quegli uomini creavano dal nulla un Ufficio di Assistenza legale per i poveri di Milano e delle limitrofe campagne.
Da una parte il lavoro e la costanza di un gruppo di uomini illuminati, e dall'altro l'apporto concreto dell'Umanitaria aveva presto dato forma ad un servizio sociale quasi avveniristico, ci cui forse si sente la mancanza anche oggi. Anche se l'Umanitaria non navigava nell'oro, i suoi dirigenti avevano subito concesso l'uso di due locali in via Manzoni al 9 [ f1 ] , un fondo spese per arredamento, telefoni, casellario e persino un impiegato fisso, nella speranza che anche lo Stato si muovesse e aprisse la sua borsa. E invece niente, nemmeno una lira, MAI. Eppure – riportiamo contestualizzando linguisticamente un documento non siglato del nostro Archivio – “nella nostra città da tempo si sentiva la necessità di un'istituzione in grado di coadiuvare razionalmente il gratuito patrocinio dei poveri [ f2 ]. A tale necessità aveva un tempo servito l'Avvocatura dei poveri, emanazione dell'Autorità dello Stato ma – sfortunatamente – allorché per la legge 6 dicembre 1865 sull'ordinamento giudiziario, rimasero soppressi gli uffici degli avvocati e procuratori dei poveri retribuiti dall'erario, essa non fu sostituita da altre analoghe iniziative. Eppure il problema persisteva, e molto, a danno dei poveri verso i quali il sistema giudiziario non è onesto. Perché con il sistema odierno, le onorevoli Commissioni presso le Corti d'appello e i Tribunali vagliano superficialmente il ricorso, obbligando molti poveri ad affrontare una causa senza un motivo reale, ma solo per ignobili motivi di lucro, anche quando basterebbero semplici pareri per questioni domestiche, amministrative, ecc., ecc”.A risolvere questo stato di cose doveva entrare in funzione l'Ufficio di avvocatura per i poveri, ideato proprio per “proteggere gli indigenti da cavallocchi sfruttatori, consigliarli ed assisterli nelle vertenze che insorgono, salvarli in tempo dall'avventurarsi in liti disastrose. Mettere in guardia il povero dall'affrontare liti temerarie, e ciò con pareri disinteressati e ponderati; proporne al caso in modo esauriente e chiaro le ragioni alla Commissione per il gratuito patrocinio; assisterlo con zelo nei giudizi così civili che amministrativi e penali, strappare molti poveri bisognosi per sé o per i loro cari implicati in processi penali a certe speculazioni di corridoio alle quali alcuni causidici si abbandonano a danno dei poveri, e porre in essere tale programma mercé un'istituzione di carattere perfettamente aprofessionale, apolitico, libera a quanti risultassero bisognosi, ecco in breve gli scopi di quella che sarebbe divenuta una consulenza legale per i poveri, messa in atto da un gruppo di avvocati milanesi, grazia al concorso morale dell'Umanitaria. E di nessun altro.Così nacque l'Ufficio legale di consulenza per i poveri, che col 1° luglio 1907 cominciò a funzionare, sempre senza la minima partecipazione da parte delle casse statali o comunali, come se il servizio non fosse di pubblica utilità, come se dietro a quest'opera gratuita si nascondessero chissà quali secondi fini. Al contrario, intorno al gruppo proponente si formava in breve una schiera numerosa di volonterosi professionisti, alieni da ogni idea di lucro o di réclame, desiderosi solo, per un ben inteso concetto di dignità professionale, di salvare il povero dalle notissime male arti di professionisti meno onesti e di pseudo patrocinatori da corridoio, e di offrire a costui, disinteressatamente e diligentemente, il patrocinio in sede penale, l'assistenza in sede civile, od anche il semplice consiglio che valesse a distrarlo a tempo debito da pericolose manie di litigiosità, troppo rischiose e altrettanto onerose.Fin dall'inizio, il buon seme gettato dava ben presto frutti insperati. Già col primo anno il numero dei Consulenti saliva a 27 e le pratiche svolte a 367. Nel 1908 i Consulenti salivano a 32, nel biennio successivo a 38. Le pratiche svolte aumentarono a 1315. Dopo il primo quadriennio era così possibile constatare come il sempre crescente numero di ricorrenti al consiglio e all'assistenza dei nostri Consulenti fosse la più sicura prova della rispondenza dell'Ufficio stesso ad un bisogno veramente sentito dalle classi meno abbienti, e della bontà del sistema seguito, nuovo in Italia e diverso da quello praticato in altre città. Un servizio reso tale da quanti, con assiduità, con intelligenza, con coscienza, prestarono la loro opera a favore di una istituzione che ad essi non offerse altro premio ed altro onore che quello di servire gli altri”.Purtroppo, come era sorto all'improvviso (luglio 1907), all'improvviso (dicembre 1914) l'Ufficio decadde, probabilmente per ovvii motivi di gestione e di rappresentanza. Ne rimane solo lo splendido ricordo di una delle prime opere di solidarietà sociale laica della nostra città.

Lettera/bilancio del primo mese di funzionamento (1908)
Milano, 22 gennaio 1908

Sig. Prof. Augusto Osimo
Segretario Generale della Società Umanitaria

Queste brevi note più che una relazione del primo mese di esperimento della Casa degli emigranti, vogliono essere una memoria che con le prossime relazioni sarà corretta e integrata. In verità, se volessimo trarre conclusioni definitive dai dati finora raccolti, noi cadremmo in facilissimo equivoco. Conviene tener conto che la nostra opera si è iniziata quando il rimpatrio già languiva sotto le feste natalizie e si raccoglie quando l’esodo non ha ancora preso il suo corso normale: nel tempo, dunque, di transizione tra i due periodi acuti dell’emigrazione osservata in patria. A ciò si aggiunge la novità dell’istituzione e la naturale diffidenza degli emigranti, così che la nostra azione doveva sovente arrestarsi davanti a ostacoli finora non vinti ma facilmente superabili nel prossimo avvenire. Ostacoli d’ogni maniera: discredito, tanto più diffuso perché non respinto dai così detti battipaglia (fattorini di trattoria) alla uscita della Stazione centrale; insufficiente servizio interno della Amm. Ferroviaria; inabilità e insufficienza iniziale del personale della Casa.
Quest’ultima confessione doverosa va certo al di là di ogni responsabilità personale, ma non è men vero che a tali difetti va portato un pronto rimedio se non si vogliano aggiungere nuovi danni a quelli generati dall’attuale stato di cose. È fuori di dubbio che un personale avventizio, per quanto amore porti all’Istituzione che serve, non può opporre alle resistenze rinnovatisi la forza che ha invece un personale regolare e fisso. E con questo non è detto che noi abbiamo avuto delle esitazioni nella nostra opera: e basterà che io Le ricordi che finora non mi fu possibile stabilire un orario che, soprattutto io e il custode, avremmo sempre dovuto violare e sempre a beneficio della Casa. lo per esempio torno per qualche ora ogni sera alla Casa degli emigranti e il custode provvisorio, in servizio normale notturno, dedica buona parte del giorno alla pulizia dei locali.
E non faccio menzione del Gerente dell’Alleanza Cooperativa che in questo periodo di tempo dette prova di una operosità eccezionale, di una onestà e di un amore alla Casa quali non si potrebbero desiderare maggiori. Dell’altro personale avventizio non faccio conto, saltuaria come fu la sua assunzione e rispondente a bisogni piuttosto sospettati che realizzati, ciò che del resto accade in ogni genere di esperimenti. Tali le sommarie impressioni lasciatemi dalla esperienza quotidiana.
Un’altra ancora tutt’affatto soggettiva: è, questa nostra, l’istituzione della Società Umanitaria che più di ogni altra ha bisogno di contatti assidui con gli Uffici che hanno funzioni affini, soggetta com’è alle crisi interne ed estere del mercato del lavoro e veicolo, come dev’essere, del buon nome della Società tuttUfficio complementare, dunque, soprattutto e però vantaggiosamente sottratto alla concorrenza sterile e – perdoni – vergognosa di altre consimili Istituzioni.
Detto così succintamente il mio pensiero sul funzionamento in generale e – anche per miglior illustrazione del prospetto che Le unico e che completa quello già inviatole alla fine dello scorso Dicembre – credo necessario esaminare rapidissimamente l’attività della Casa in rapporto alle sue diverse ripartizioni, così da raccoglierne i difetti più evidenti e speciali di ciascuna di esse.
Salone centrale: in questo si raccolgono tutti quelli che non possono approfittare dei dormitori, cioè quasi la totalità. Occorre dunque che esso sia atto a fornire agli emigranti il maggior comodo col minor spazio possibile. Ora io ho osservato che anche per cento persone – numero massimo da noi ospitato contemporaneamente – esso è insufficiente e lo apparirà anche più nelle prossime settimane.Perciò io consiglierei di aumentare almeno di otto il numero delle panche e di abolire magari il dormitorio degli uomini che nella pratica si dimostrò pressoché superfluo e che potrebbe anche adibirsi a Ristorante.

Dormitori. Del dormitorio degli uomini ho già detto che è apparso di assai scarsa utilità per quanto sia stato quasi ogni notte interamente occupato a ragione della tassa minima.
Gli uomini, salvo rarissime eccezioni di stanchezza e di infermità, trovano sufficiente riposo sulle panche comodissime; e non sarà del resto difficile poter ottenere speciali prezzi e tariffe in qualche locanda vicina.Il Dormitorio delle donne invece – che ha pur dato più scarsi risultati – credo si possa ancora conservare per un più serio esperimento.

Ristorante. Qui naturalmente l’attività della Casa ebbe la sua massima intensità, sia per i prezzi modici, sia per la bontà della vivande, sia soprattutto per l’instancabilità dell’incaricato di essa. La naturale sobrietà dell’italiano e sopratutto dell’emigrante si appagarono pienamente delle minestre fumanti che giorno e notte venivano loro scodellate, ma ciò determinò altresì un grave danno. Un sol uomo a tal fatica non poteva reggere e all’enorme sacrificio e non potè corrisponder proporzionalmente il guadagno. Così è che il Gerente dell’Alleanza Cooperativa deve per la fine del mese corrente rinunciare all’incarico.
Sarà pertanto necessario provvedere perché tale importantissimo servizio non subisca interruzioni.

I Bagni non si poterono ancora utilizzare: la stufa mandata per il riscaldamento dell’ambiente si è dimostrata inadatta e insufficiente.
Il Servizio delle informazioni non poteva avere in queste condizioni un notevole sviluppo, essendo anche i nostri ospiti in gran parte rimpatrianti. Piuttosto avvenne il contrario: fu l’Ufficio che si procurò notizie degli emigranti ripromettendosi di farne tesoro per il prossimo esodo. Si raccolse un caso di infortunio che fu passato al prof. Giani, si distribuirono schede e foglietti volanti e si fece il servizio delle indicazioni ferroviarie. Si pensò anche a fare una statistica degli emigranti secondo la provenienza, la destinazione e la professione, e finora fu possibile raccogliere tutti i dati. Vedremo se ciò sarà possibile quando l’affluenza sarà maggiore.

Accennerò infine a due deficienze gravi alle quali finora non si provvide: la mancanza di sfiatatoi in tutti i locali della Casa essendo necessario il continuo ricambio dell’aria, e mancanza anche di un tavolo per scrivere e di giornali da mettere a disposizione degli emigranti. Mentre la Società Umanitaria sta per dare una sistemazione definitiva al personale è necessario che tutte queste manchevolezze siano prese in serio esame e che sai difetti si ponga riparo.
Per ciò possono essere non inutili queste note affrettate che io ho l’onore di trasmetterLe.

L'assistenza ai rimpatriati nella Casa per emigranti (1914)

L’opera si iniziò coll’assistenza organizzata per le migliaia e migliaia di operai emigranti, costretti improvvisamente ad abbandonare le località della Francia, della Svizzera, della Germania e del Lussemburgo, ove attendevano alla feconde opere della pace, e a ritornare in patria. Si trattava di provvedere d’urgenza al torrente dei rimpatrianti che, superati tutti gli ostacoli e le difficoltà creati e ingigantiti dalla stato di guerra, cacciati dal panico e tormentati dalle preoccupazioni dell’ignoto avvenire, ritornavano in folla a Milano o ne transitavano diretti alle loro terre, dopo aver sofferto miserie e umiliazioni inenarrabili.I servizi da anni creati dall’Umanitaria in favore degli emigranti rivelarono in quest’occasione tutta la loro efficacia. Tra l’agosto e il settembre, più di 100.000 persone transitarono dalla nostra Casa degli Emigranti, e tutte ebbero assistenza e conforto. La Casa Emigranti fu ordinata per le nuove esigenze, fornendosi di un posto di primo soccorso, affidato all’ Assistenza pubblica, di una infermeria e di dormitori per donne e bambini.
Un gruppo di signore, per iniziativa del Comitato Pro Umanità, coadiuvò attivamente il personale dell’Umanitaria, apprestando cure e soccorsi alle donne e specialmente ai bambini, Un apposito locale, con bagno e posto di medicazione, venne destinato ai bambini, ove essi venivano nutriti e vestiti a nuovo, e le amorose cure delle pietose signore ai fanciulli cancellavano dai volti delle madri le sofferenze del triste viaggio.In agosto e settembre la Casa Emigranti funzionò ininterrottamente giorno e notte. Furono somministrati, gratuitamente, più di 50.000 pasti di pane, brodo e carne; ai bambini e alle donne si provvide con una larga distribuzione di latte e altri cibi adatti; agli ammalati si somministrarono le medicine; i più bisognosi furono provvisti di scarpe, indumenti, ecc. e a quelli diretti ad altri Comuni si diede un tenue viatico pel proseguimento del viaggio.In quest’opera di soccorso e conforto a imprevisti dolori, l’Umanitaria trovò efficace, spontaneo aiuto negli Enti pubblici e nella cittadinanza. La sottoscrizione aperta in favore degli emigranti rimpatriati, fruttò circa 35.000 lire; le oblazioni più cospicue furono quelle del Ministero degli Interni (10.000 lire), della Deputazione Provinciale (2500 lire), della Cassa di Risparmio (4000 lire), della Camera di Commercio (1500 lire), del Secolo (5000 lire), del signor Gustavo Sforni (3000 lire), del Municipio di Milano (2000 lire), della Società Piemonte benefico (750 lire, destinate specialmente a sussidiare rimpatriati piemontesi).Accanto a quelli che chiameremo i “primi soccorsi” per la massa dei rimpatriati, l’Umanitaria non trascurò l’aiuto ai singoli, nei modi e forme che si presentavano migliori in ciascun singolo caso. Così, si provvide a raccogliere tutte le indicazioni necessarie pel ricupero di circa 400.000 lire di crediti per salari non riscossi, e pei quali l’Ufficio di Emigrazione fece le necessarie pratiche; si curò il ricupero e lo svincolo di masserizie e di bagagli a centinaia; si procacciò alloggio, collocamento, lavoro ai braccianti e a donne di servizio. Molti furono rimpatriati o indirizzati a luoghi dove era probabile o sicura una pronta occupazione; altri furono trattenuti alla Casa di Lavoro o iscritti alle Scuole per disoccupati, istituite presso la stessa.Così l’Umanitaria, coadiuvata dalla fervorosa collaborazione di enti e di privati generosi, cercò di provvedere nel miglior modo possibile a soccorrere le migliaia e migliaia di connazionali rimpatriati in causa della guerra. Un’azione non meno importante l’Istituto svolse a favore dei disoccupati della città a mezzo dei suoi Uffici di collocamento, della Cassa di sussidio alla disoccupazione e della Casa di Lavoro.

(Notizie tratte dal volume “L’opera dell’Umanitaria per i disoccupati e i rimpatriati nel 1914”)

1919 L'odissea di emigranti rumeni

Ci è segnalato dal nostro Ufficio di Ventimiglia.

Si tratta di rumeni che dagli Stati Uniti tornano nel loro paese. Gli ultimi gruppi, non avendo il visto di un console italiano occorrente per attraversare l’Italia, giunti a Ventimiglia, sono stati rimandati dalla polizia a Nizza, presso quel Consolato italiano, per la formalità del caso. I rumeni, in questo andare e venire, sono stati sfruttati senza scrupolo dai pisteur di Ventimiglia, per mezzo di uno di loro che mastica un po’ d’inglese e che li accompagnava, evidentemente col consenso della polizia francese. Questo tale esigeva, in principio, il doppio, il triplo e più da ciascuno, di quanto era dovuto ai Consolati rumeno e italiano di Nizza per la vidimazione dei passaporti. Più, e sempre in dollari, faceva pagare profumatamente il servizio reso e cambiava la moneta a un tasso dimezzato.
Il nostro Segretario dell’Emigrazione ha protestato per tanta indegnità, appoggiando la sua intromissione sulla ragione che gli emigranti stranieri non cessavano, perché tali, di essere uomini, e non cessava per loro il diritto a un trattamento umano. Ed ha interessato del caso il Prefetto della provincia e il Commissariato dell’Emigrazione di Roma, e quindi, per riflesso, il Ministero degli Interni, dopo di essersi rivolto invano, indicando una soluzione molto logica e semplice, alla polizia locale. Dopo di che la cuccagna dei pisteur è finita. Ma poiché la polizia si è ostinata a rimandare i sopraggiunti rumeni non in regola sino a Nizza, invece di affidare la cura delle pratiche necessarie al Segretariato d’Emigrazione, offertosi di occuparsene, è avvenuto un fatto che costituisce una vera truffa. Un individuo vestito da ufficiale della marina francese, parlando e dicendosi rumeno, è comparso con l’ultimo centinaio di rimpatrianti rumeni a Ventimiglia, la notte del 30 agosto. Tutti i passaporti mancavano del visto voluto. L’ufficiale radunò gli emigranti nel Buffet della Stazione, raccolse tutti i passaporti e l’importo della spesa per i diritti consolari e 50 lire, individuali pure, per acquistare loro il biglietto Ventimiglia-Trieste. Alle 5 del mattino si fece seguire da tutti fino a Mentone, dove li fa fermare. Ed egli, partì, così diceva, per Nizza per la vidimazione. Il giorno 2 i rumeni, non vedendo più il loro uomo, si riversarono di nuovo a Ventimiglia e la polizia ha dovuto decidersi ad inoltrarli, con documento cumulatIvo, a Trieste. Si ricevette ora notizia che il 2 a Marsiglia lo stesso personaggio, truffava in egual maniera altri sei rumeni.Indubbiamente il fatto non sarebbe avvenuto se la polizia avesse acceduto subito (solo più tardi convenIte in questa opportunità) al punto di vista del Segretariato d’Emigrazione. Gli inconvenienti furono denunciati al Prefetto il 25. Il 30 agosto c’era l’assicurazione che eran già state date disposizioni alla P.S perché si sorvegliasse affinchè angherie a danno degli stranieri fossero evitate. E perché allora la notte del 30, sotto il naso della polizia stessa, un tizio qualunque, in divisa di ufficiale della marina francese, poteva raccogliere passaporti e denari di emigranti rumeni? Non aveva la polizia il dovere di subito indagare, poichè si può saper parlare il rumeno senz’essere di Romania? Ma si trattava di stranieri… Per fortuna che esistono i nostri Uffici.

Dalla “Corrispondenza settimanale” del 23 settembre 1919

1924 Storia dell'Ufficio di Napoli

Una delle prime aspirazioni dell’Ufficio, da quando fu riorganizzato nel 1910, è stata quella di poter istituire a Napoli una propria Sezione od un Segretariato. Nel porto principale d’Italia pel movimento viaggiatori, dove si accentrava il maggior numero di emigranti, le istituzioni esistenti male adempivano al loro compito; d’altra parte, l’Ufficio comprendeva le necessità di allargare la sua azione all’emigrazione transoceanica ed all’Italia meridionale.Un primo passo fu fatto nel 1912, entrando l’Umanitaria in contatto con la Società di Patronato degli Emigranti, alla quale versava un contributo di L. 800 annue con diritto ad un posto nel Consiglio Direttivo; e vi nominò il chiaro Prof. Graziani, della Regia Università. I rapporti con la Società di Patronato si limitarono, si può dire, al pagamento del contributo e alla partecipazione personale del Prof. Graziani alle sedute di Consiglio; dal punto di vista tecnico e dell’assistenza agli emigranti, nulla. Il Patronato tralignò e l’Umanitaria tolse il contributo. Il rimpatrio dei riservisti e il movimento di smobilitazione dell’esercito dopo la vittoria d’Italia, misero in tutta evidenza la questione principale del porto di Napoli: la mancanza di un Asilo degli Emigranti, adeguato all’importanza dell’emigrazione meridionale. La costruzione degli Asili nei porti era stata una delle ragioni determinanti della legge sull’emigrazione del 1901; la decennale accademia del Consiglio Superiore dell’Emigrazione la aveva compromessa, facendosi involontaria alleata di tutti gli interessi contrari alla liberazione degli emigranti dagli odiosi sfruttamenti dei punti di concentrazione obbligatoria. L’Ufficio ripropose nel 1919 che l’Umanitaria si affermasse a Napoli; dare un secondo impulso alla soluzione dell’Asilo Emigranti, assistere l’emigrazione in partenza ed in arrivo, organizzare una rete di Segretariati nell’Italia meridionale, dove l’inerzia pubblica e privata non si era scossa, ecco i compiti che doveva assumere e condurre in porto la vagheggiata sede di Napoli.La Direzione Generale dell’Umanitaria ritenne opportuno affidare, nel 1920, gli studi preliminari per l’Istituzione della sede al Signor Luigi Chiaretti, direttore degli Istituti di Assistenza ai Lavoratori di Parma e Provincia e membro, in rappresentanza dei Segretariati aderenti all’Ufficio Centrale, della Commissione Consultiva dell’Emigrazione presso l’Umanitaria. Il Chiametti fece due viaggi a Napoli: l’ufficio fu aperto nel 1921 e a dirigerlo fu chiamato l’on.le Avv. Corso Bovio, giornalista ed organizzatore, eletto il 15 aprile 1921 deputato per la XXVI legislazione, nella lista socialista.
La scelta, opera esclusiva della Direzione Generale dell’Umanitaria, non fu felice, perché inspirata
da considerazioni meramente politiche ed utilitarie invece che dal fermo proposito di porre a capo di un Ufficio di sì grande importanza persona che per la sua indiscussa competenza ed esperienza, il suo disinteressato amore per gli emigranti, il fermo volere, offrisse alla Umanitaria la garanzia di saper creare un organismo di redenzione per gli emigranti e che fosse di decoro per la Nazione.
Al contrario, il direttore non seppe imprimere all’Ufficio il carattere e l’importanza desiderate e necessarie, e non fu, forse, incoraggiato dalla Sede Centrale a farlo; qui si badava più alle apparenze che alla realtà. L’assenza di indirizzo, la deficienza della direzione, associata forse a megalomania, originarono uno stato di cose che non fu più possibile correggere.
L’Ufficio si assunse anche l’assistenza degli infortunati sul lavoro nell’industria e nell’agricoltura, costituendo apposito Patronato; si presero impegni con professionisti senza cautelarsi; la mancata sorveglianza fu causa di incidenti poco piacevoli dei quali la Sede Centrale fu informata; tuttavia, per quanto mi consta, nessun provvedimento fu preso al riguardo.
Fu soltanto alla fine del 1922, allorquando apparve evidente che la situazione finanziaria dell’Umanitaria non consentiva di continuare l’esercizio di un Ufficio costoso e di nessun reddito, che si provvide a svincolarsi del Direttore, per diretto intervento del Presidente, come primo passo per lo scioglimento. Come si sia proceduto e come non si sia saputo raggiungere l’obbiettivo, per indecisione ed inerzia, o forse per calcolo, è noto.

Francesco Cafassi
(aggiunta a mano la data 17.3.1924)

Le norme di funzionamento della Casa degli Emigranti

Art. 1
La Casa per emigranti si propone di prestare ricovero e assistenza gratuita ai lavoratori di passaggio dalla stazione di Milano che si rechino in altre Provincie del Regno o all’Estero per ragioni di lavoro o che ne ritornino.

Art. 2
La Casa per gli emigranti fornisce ospitalità a ciascun emigrante e famiglia nelle ore di sosta determinate dagli orari ferroviari, in appositi locali dove essi possono:
a) depositare i loro bagagli;
b) provvedere alla loro pulizia personale, a mezzo di bagni, docce, lavatoi;
c) provvedere alla loro refezione nell’apposito locale

Art. 3
La Casa dispone pure di un limitato numero di letti per quegli emigranti che, secondo le norme da stabilirsi con regolamento interno, presentano maggiormente il bisogno dell’asilo

Art. 4
La Casa darà agli emigranti, nei casi d’urgenza, indicazioni sugli istituti cittadini ove più facilmente essi possano trovare asilo e assistenza.

Art. 5
Essa provvederà direttamente alla refezione degli emigranti per mezzo di Ristorante interno da affidarsi preferibilmente a un istituto cooperativo ed in base a lista di cibi e a tariffe di prezzi da approvarsi dall’Umanitaria. Gli emigranti potranno consumare nella sala di refezione i cibi di cui fossero provvisti.

Art. 6
La Casa, per l’assistenza sanitaria, sarà in comunicazione con l’apposito ufficio della Amministrazione ferroviaria, e per la tutela igienica sarà sottoposta alle cure dell’Ufficio d’Igiene Municipale.

Art. 7
La Casa assicura inoltre agli emigranti:
a) assistenza in tutte le pratiche ferroviarie
b) notizie intorno alle condizioni dei mercati del lavoro del Regno e dell’Estero
c) notizie ed informazioni intorno alle disposizioni legislative dei paesi di immigrazione sugli infortuni d i lavoro e in genere sulla legislazione sociale
d) distribuzione di quelle pubblicazioni che la Dante Alighieri crederà di mettere a disposizioni della Casa per l’educazione morale ed intellettuale dell’emigrazione italiana.

Art. 8
Alla Casa è preposto un dirigente, nominato dal Consiglio della Umanitaria approvato dalla Giunta Municipale, responsabile dell’osservanza delle presenti norme e del buon funzionamento della Casa così nei riguardi dell’ordine, come dell’igiene, della pulizia ecc.
È assistito dal personale di servizio necessario.

Art. 9
Nella Casa sono vietati conferenze e giochi di qualsiasi genere.

Art. 10
Apposito regolamento interno, da approvarsi dal Consiglio dell’Umanitaria e dalla Giunta Municipale, disciplinerà l’applicazione delle norme su esposte.

http://www.umanitaria.it/

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