di Enrico Sabatino
In Libano la tensione tra il governo di Fuad Siniora e l’opposizione guidata da Hezbollah sta registrando un repentino aumento di livello, grazie anche alle ultime misure decise ieri dal governo che in poche ore ha ordinato la chiusura della rete di telecomunicazioni gestita da Hezbollah e la rimozione del capo della sicurezza dell’aeroporto di Beirut perché ritenuto vicino al movimento sciita.
Il Ministro dell’Informazione ha motivato la prima decisione affermando che la rete telefonica privata del partito sciita è “illegale e rappresenta una minaccia alla sovranità dello Stato e alle sue proprietà pubbliche. Perseguiremo legalmente chiunque ne sia coinvolto”.
Alla decisione di Siniora aveva replicato lo sceicco Naim Qassem, vice segretario generale di Hezbollah, ammonendo che “la rete telefonica è equivalente alle nostre armi. Coloro che hanno preso di mira il nostro network telefonico hanno come obiettivo le nostre armi. Ci stanno avvertendo di non combattere contro Israele.”
Questa rete, che copre le roccaforti di Hezbollah nel sud e nell’est del Libano, così come nei sobborghi meridionali di Beirut, è stata infatti fondamentale per Hezbollah nella guerra con Israele dell’estate 2006.
Ma come se ciò non bastasse, Siniora ha deciso anche la rimozione del generale Wafiq Shuqeir dall'incarico di responsabile della sicurezza dell'aeroporto della capitale, a una settimana dalla scoperta dell'esistenza di un apparato di video-sorveglianza installato nei pressi dello scalo aereo.
Secondo Siniora questo sistema di telecamere era utilizzato da Hezbollah per controllare la principale pista di decollo e monitorare i movimenti dei mezzi e delle personalità libanesi più influenti.
Ma Hezbollah ha sempre negato ogni attività di spionaggio nell'aeroporto, come invece aveva sostenuto a gran voce nei giorni scorsi il druso Walid Joumblatt accusando Hezbollah di aver pronto un piano per assassinare alcuni esponenti governativi.
E a questa gravissima situazione politica si aggiunge anche quella economica. Oggi infatti era in programma una manifestazione nel centro di Beirut in seguito allo sciopero nazionale indetto dal sindacato della Confederazione del Lavoro per il mancato accordo con il governo sull'aumento dei minimi salariali fermi al 1996. Il governo aveva offerto 330 dollari al mese, contro i 600 chiesti dal sindacato.
Ma già dalle prime ore della mattinata le strade della capitale erano bloccate da barricate di copertoni in fiamme, così come le vie verso l'aeroporto internazionale, rendendo quindi impossibile il raggiungimento dei punti di raccolta per dare poi inizio al corteo.
La manifestazione perciò è stata annullata ma puntualmente si sono verificati scontri con raffiche di mitra ed esplosioni in varie zone di Beirut tra i sostenitori delle opposte fazioni, in particolare tra i militanti di Hezbollah e quelli legati al partito governativo sunnita Mustaqbal di Saad Hariri e al partito di Joumblatt. E migliaia tra soldati e poliziotti sono stati dispiegati nelle strade della capitale.
Quindi l’ennesima contrapposizione violenta che avviene dopo 6 mesi, e 17 tentativi andati a vuoto, in cui non si è trovato un accordo in Parlamento per l'elezione del successore di Emile Lahoud alla presidenza della Repubblica.
E se a tutto ciò si aggiungono anche le pesanti accuse di inettitudine che la settimana scorsa Israele ha mosso contro l’UNIFIL, il quadro generale del Paese è sull’orlo del precipizio mentre tutti i nodi irrisolti stanno venendo al pettine.